I poteri di ordinanza nei confronti di soggetti non responsabili: interventi per limitare la diffusione dell’inquinamento.

18 Feb 2020 | giurisprudenza, amministrativo

Di Luca Prati ed Elena Capone

T.R.G.A. Regione autonoma Trentino-AltoAdige/Südtirol, Sede di Trento, Sez. Unica, 15 novembre 2019, n. 154- Pres. Vigotti; Est. Polidori- S. S.p.a. (Avv.ti Mazzoleni, Schramm e Complojer) c. Comune di Trento (Avv. Colpi), Prov. Aut. di Trento (Avv.ti Pedrazzoli, Biasetti e Fozzer), MATTM (Avvocatura Distr. dello Stato di Trento); nei confronti del Consorzio di Bonifica di Trento Nord S.C.A.R.L. (Avv. Sanguini).

La competenza ad imporre coattivamente ai “soggetti non responsabili della potenziale contaminazione” l’attuazione delle misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 152/2006, seppure attraverso l’esercizio del diverso potere previsto dall’art. 304, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, appartiene al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Laddove, quindi, il proprietario o il gestore dell’area non responsabili dell’inquinamento non attivino spontaneamente le misure di prevenzione di cui all’art. 245, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, l’unico rimedio possibile per imporre a tali soggetti l’attuazione di tali misure è l’adozione di un’ordinanza ministeriale ai sensi dell’art. 304, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006.

L’art. 243, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 – nel prevedere che per impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati “devono essere individuate e adottate lemigliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall’articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette” – si riferisce al sito ove si trova la fonte della contaminazione e non al sito che risulta inquinato per effetto dello scorrimento delle acque di falda.

La sentenza in commento presenta indubbi profili di interesse poiché interviene a fare chiarezza in una controversia che presenta numerose complessità dal punto di vista del corretto svolgimento del procedimento amministrativo presupposto. In particolare, affronta il tema dell’esatto riparto di competenze per la tutela dei c.d. proprietari incolpevoli che si trovino nella situazione di non poter utilizzare il sito di loro proprietà perché contaminato da sostanze provenienti da terreni limitrofi, inseriti all’interno del perimetro di un SIN, in relazione ai quali non è stato possibile individuare il responsabile della contaminazione e per i quali non sono state adottate le idonee misure per prevenire la diffusione dell’inquinamento.

  1. Il Fatto.

La Società ricorrente è proprietaria di un terreno confinante con il SIN di “Trento Nord”, comparto ex SLOI, il cui utilizzo a fini edificatori è stato limitato in ragione della circostanza che il Comune di Trento, nell’esercizio dei suoi poteri pianificatori, ha subordinato l’edificabilità dello stesso terreno e delle altre aree ad esso limitrofe, rientranti nella “zona C6” del PRG del Comune di Trento, all’avvenuta integrale bonifica dell’intero SIN.

La ricorrente ha quindi avviato volontariamente un procedimento di bonifica del terreno di sua proprietà mediante caratterizzazione del sito ed elaborazione dell’analisi di rischio. La conclusione di tale procedimento ha attestato la mancanza di necessità a procedere con la bonifica del terreno e, sulla base di tali conclusioni, il Comune di Trento aveva ipotizzato un’integrazione delle previsioni urbanistiche che consentissero l’utilizzo temporaneo del terreno a fini edificatori fino all’avvenuta bonifica dell’intero SIN di “Trento Nord”. Tuttavia, nel corso di una successiva campagna di monitoraggio della falda acquifera, l’Agenzia Provinciale per la tutela ambientale (“APPA”), ha rilevato il superamento delle soglie di tollerabilità di piombo dietile e trietile nel piezometro posto a valle del terreno di proprietà della ricorrente, il Comune ha quindi bloccato nuovamente la procedura per l’utilizzo temporaneo del terreno stesso, subordinandone la riapertura ad una nuova caratterizzazione e conseguente analisi di rischio. In tale occasione, il Comune ha inoltre invitato il Consorzio di bonifica, gestore dei terreni inseriti all’interno del SIN per conto dei proprietari dei terreni non responsabili della contaminazione, a verificare la sorgente di origine del piombo rinvenuto in falda al fine di approntare efficaci sistemi di contenimento degli inquinanti, comunicando al contempo l’avvio del procedimento finalizzato all’adozione di un’ordinanza di diffida ex art. 244 D. Lgs. 152/2006 (di seguito anche “TUA”), nei confronti del Consorzio, per l’adozione di eventuali “misure di contenimento degli inquinanti” al confine sud del SIN, confinante con quello della ricorrente.

La competenza all’adozione dell’ordinanza ex art. 244 nella Provincia di Trento, infatti, per effetto di quanto previsto dal comma 6 dell’art. 102-quater del T.U. delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti, approvato con D.P.G.P. del 26.01.1987, n. 1-41/Legisl., ricade in capo al Comune di Trento.

La ricorrente ha quindi presentato una nuova caratterizzazione ed analisi di rischio, conclusasi con la presa d’atto della presenza del piombo dietile e trietile in falda. Contrariamente, il procedimento volto all’imposizione di “misure di contenimento” in capo al Consorzio è stato invece sospeso dal Comune, su richiesta dello stesso Consorzio, stante la prosecuzione del parallelo procedimento presso il Ministero dell’Ambiente per la bonifica del SIN. Il procedimento ex art. 244 D. Lgs. 152/2006 avviato dal Comune per l’eventuale imposizione di misure di contenimento nei confronti del Consorzio è quindi stato sospeso sine die.

Ciò che la ricorrente intendeva far valere in via giudiziale era quindi il proprio interesse all’adozione di misure di contenimento degli inquinanti nei confronti del Consorzio gestore del SIN, motivato dal fatto che il terreno di sua proprietà è risultato contaminato per effetto della mancata adozione di misure atte a bloccare la diffusione dell’inquinamento presente sul confinante SIN Trento Nord e dal fatto che l’utilizzo anche solo provvisorio del proprio terreno dipendesse dalla conclusione del procedimento avviato dal Comune.

Soltanto con nota successiva all’introduzione del ricorso principale, impugnata dalla ricorrente con motivi aggiunti, il Comune ha comunicato l’archiviazione del procedimento per l’emissione dell’ordinanza ex art. 244 TUA, rimasto sospeso nei confronti del Consorzio, motivando la mancata conclusione dello stesso per “carenza di competenza specifica del Comune ai fini dell’applicazione dell’art. 245 del D.Lgs. n. 152/2006”.

Il Collegio ha quindi dichiarato l’intervenuta improcedibilità del ricorso principale, rigettando invece nel merito il ricorso presentato con i motivi aggiunti contro il provvedimento di archiviazione.

  1. La decisione.

Il TRGA di Trento, al fine di decidere la complessa questione sottoposta al suo esame, ha dovuto far chiarezza sugli interventi ambientali effettivamente adottabili nel caso in esame e sui connessi poteri di ordinanza degli Enti, procedendo alla ricostruzione del quadro normativo vigente ed all’individuazione dell’esatta procedura amministrativa che avrebbe dovuto essere seguita nel caso sottoposto al suo esame.

Ha quindi rigettato la tesi della ricorrente che attribuiva al Comune di Trento la competenza all’adozione dell’ordinanza disciplinata dall’art. 244 D. Lgs. 152/2006 nei confronti del Consorzio gestore dell’area, rappresentante dei proprietari dei terreni inseriti nel SIN ma non responsabili dell’inquinamento.

Nel motivare la decisione di rigetto, il Collegio chiarisce in primo luogo come gli obblighi relativi alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino del sito contaminato gravino esclusivamente sul responsabile dell’inquinamento, mentre le misure di prevenzione previste dall’art. 240, comma 1, lett. i), D. Lgs. 152/2006 gravano, oltre che sul responsabile della contaminazione, anche sul proprietario o gestore dell’area non responsabili, ai sensi di quanto previsto dall’art. 245, comma 2, TUA; spiega altresì come l’ordinanza prevista dall’art. 244 TUA faccia riferimento solamente al responsabile dell’inquinamento quale soggetto destinatario dell’ordinanza.

Infatti, come rilevato nella ricostruzione del quadro normativo operata dal Collegio «Tale differente disciplina – ossia la previsione dell’obbligo di porre in essere le suddette procedure operative e amministrative in capo responsabile dell’inquinamento, da un lato, e la previsione di una mera facoltà di porre in essere tali procedure in capo agli altri soggetti interessati, ivi compreso il proprietario o il gestore dell’area, non responsabili dell’inquinamento, cui è imposto solo l’obbligo di “attuare le misure di prevenzione”, dall’altro – è stata in più occasioni posta in rilievo dalla giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2016, n. 4099; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 2088; T.A.R. Sardegna Cagliari, Sez. I, 16 dicembre 2011, n. 1239) nel senso che l’obbligo di bonifica dei siti contaminati grava sul responsabile dell’inquinamento (in base al principio “chi inquina paga”), e non sul proprietario dell’area, con la conseguenza che, una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione, gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica, di ripristino e di ripristino ambientale possono essere imposti solo ai soggetti responsabili dell’inquinamento, ossia a coloro che abbiano causato, in tutto o in parte, la contaminazione con un comportamento, commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità.

In sostanza, secondo tale condivisibile giurisprudenza, non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva in capo al proprietario o al gestore del sito in ragione di tale sola qualità, dal suesposto quadro normativo emergono le seguenti regole: A) il proprietario o il gestore dell’area, non responsabili dell’inquinamento, sono tenuti soltanto ad adottare le misure di prevenzione (art. 245, comma 2); B) gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano solo sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (art. 244, comma 2); C) se il responsabile non è individuabile o non provvede, gli interventi necessari sono adottati dall’amministrazione competente (art. 244, comma 4); D) le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito dopo l’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4); E) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato da un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).»

Infatti, il TRGA di Trento condivisibilmente richiama l’art. 245, che disciplina la posizione dei “soggetti non responsabili della potenziale contaminazione”, sottolineando come la norma non faccia alcun riferimento al potere di ordinanza disciplinato dall’art. 244, pertanto deve concludersi che qualora il proprietario o il gestore dell’area non adottino volontariamente le misure di prevenzione richiamate dal comma 2 dell’art. 245 TUA, l’unica possibilità per obbligare tali soggetti a porre in essere tali misure, in presenza dei relativi presupposti, sia l’adozione di un’ordinanza ministeriale ai sensi dell’art. 304, comma 3 TUA.

Difatti, il Collegio richiama la distinzione tra la disciplina normativa relativa alla “bonifica dei siti contaminati”, di cui al titolo V della parte IV del D. Lgs. n. 152/2006, da quella disciplinante la “tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”, di cui alla parte VI del D. Lgs. n. 152/2006, chiarendo come «Nell’ambito di tale disciplina rilevano in questa sede le norme in materia di prevenzione del danno ambientale (definito dall’art. 300, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”).

In particolare ai sensi dell’art. 304, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 il Ministro dell’ambiente – nell’ambito dell’azione di prevenzione del danno ambientale di sua competenza – “in qualsiasi momento, ha facoltà di: a) chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente; b) ordinare all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, precisando le metodologie da seguire; c) adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie”. Ai sensi del comma 4 dello stesso art. 304, “Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non può essere individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall’effettuato pagamento”».

Va tuttavia sottolineato come i presupposti per l’applicazione dell’art. 304 non siano coincidenti con quelli di cui all’art. 242 del TUA; il primo, infatti, richiede l’esistenza di una “minaccia imminente” del verificarsi di un danno ambientale, che invece non necessariamente è presente nel caso di semplice superamento delle CSC, le quali fanno soltanto presumere l’esistenza di un sito potenzialmente contaminato. Sarebbe quindi un errore ritenere che l’art. 304 possa sovrapporsi alle norme in materia di bonifica ogniqualvolta il responsabile della contaminazione non possa o voglia attivarsi.

Il Collegio rileva poi come nella fattispecie sottoposta al suo giudizio il Comune non avrebbe nemmeno potuto imporre al Consorzio l’attuazione di misure di prevenzione essendo l’inquinamento della falda già in essere da un notevole lasso di tempo. Difatti, richiamando quanto statuito dal TAR Lombardia, Sede di Milano, Sez. IV, con la sentenza n. 2088 del 6 novembre 2017, secondo cui «le misure di prevenzione sono dirette a contrastare una minaccia ambientale imminente, che possa realizzarsi in un futuro prossimo, e non riguardano, dunque, né situazioni in cui l’inquinamento sia un fenomeno già ampiamente diffuso, né interventi che richiedano soluzioni tecniche incompatibili con la salvaguardia immediata del bene», il TRGA di Trento chiarisce che “le misure di contenimento degli inquinanti” alle quali fa riferimento il Comune di Trento ai fini dell’avvio del procedimento per l’adozione dell’ordinanza ex art. 244 D. Lgs. 152/2006 nei confronti del Consorzio, devono invece essere individuate con le misure di cui all’art. 243 TUA volte ad “impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati”.

Infatti come correttamente ricostruito dal Collegio, l’art. 243 «nel richiamare l’art. 242, si occupa delle specifiche procedure volte ad “impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati”. In particolare l’art. 243, comma 1, dispone – per quanto interessa in questa sede – che per impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati “devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall’articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette”».

È quindi corretto che il Comune abbia declinato la propria competenza ad adottare l’ordinanza ai sensi dell’art. 244 nei confronti del Consorzio essendo un soggetto che rappresenta esclusivamente i proprietari delle aree da cui ha origine la contaminazione del terreno della ricorrente, i quali però non risultano essere responsabili dell’inquinamento.

Il Collegio, infine, contraddice quanto sostenuto in giudizio dalla difesa del Ministero, secondo il quale la competenza ad adottare l’ordinanza ex art. 244 ricadrebbe in capo al Comune poiché il terreno della ricorrente ricade all’esterno al perimetro del SIN, specificando che ai sensi dell’art. 252, comma 4, TUA, nel caso di siti di interesse nazionale, la procedura di bonifica è espressamente attribuita alla competenza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare. Specificando inoltre che l’art. 243 TUA « nel prevedere che per impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati “devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall’articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette”, si riferisce evidentemente al sito nel quale si trova la fonte della contaminazione (nel caso in esame il sito ex SLOI) e non al sito che risulta inquinato per effetto dello scorrimento delle acque di falda.».

In conclusione il TRGA di Trento, ritenendo corretto il provvedimento di archiviazione adottato dal Comune, con cui ha riconosciuto la propria incompetenza ad esercitare il potere di ordinanza ex art. 244 del D. Lgs. 152/2006 nei confronti del Consorzio, per l’attuazione delle misure di cui all’art. 243 da attuare all’interno del SIN, ha rigettato nel merito il ricorso per motivi aggiunti contro il provvedimento di archiviazione.

Per il testo della sentenza in commento (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

Capone-Prati_TRGA Trento 154_2019

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Capone-Prati_10_feb20

 

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