Pianificazione acustica: quali sono i limiti del potere discrezionale dei Comuni?

18 Feb 2021 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 4

di Claudia Galdenzi e Federico Boezio

T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 4 gennaio 2021, n. 1 – Pres. ed Est. Di Benedetto – B. S.r.l. e altri (avv.ti L. Scambiato, A. Ezechieli) c. Comune di Milano (avv.ti E. D’Auria, M. Dal Toso e A. Mandarano).

La pianificazione acustica non ha lo scopo di mantenere la situazione esistente, ma deve perseguire la riduzione dei rumori al fine di realizzare le finalità di tutela ambientale e della salute umana previste dalla legge quadro in materia di inquinamento acustico.

Questa sentenza concerne un contenzioso avviato nel 2014 avverso il Piano di classificazione acustica approvato dal Comune di Milano con deliberazione consiliare n. 32 del 9 settembre 2013 e tuttora in vigore.

Il giudizio – instaurato con ricorso straordinario al Capo dello Stato e poi trasposto in sede giurisdizionale – verteva sulla scelta di classificazione acustica effettuata dal Comune di Milano con riferimento a un isolato urbano che, seppur ricadente in “zona industriale” in base alle destinazioni della pianificazione urbanistica, era stato inquadrato in parte in classe acustica “IV” (corrispondente alle “aree di intensa attività umana”, ai sensi della tabella A allegata al D.P.C.M. 14 novembre 1997) e in parte in classe acustica “V” (corrispondente alle “aree prevalentemente industriali”, ai sensi della suddetta Tabella A). Secondo le società ricorrenti, titolari di uno stabilimento insediato all’interno dell’isolato in questione, il Comune avrebbe dovuto attribuire all’area di loro interesse la classe acustica “VI” (corrispondente alle “aree esclusivamente industriali”, ai sensi della medesima Tabella A).

Con la sentenza in commento il TAR ha illustrato la funzione del piano di classificazione acustica, ravvisata nella ricognizione del territorio comunale al fine di individuare – tenendo conto delle destinazioni d’uso delle varie zone – i “valori di qualità” di inquinamento acustico da applicare a ciascuna di esse: ciò al duplice fine di contenere il livello di emissioni sonore nei limiti stabiliti in considerazione della concreta destinazione delle varie porzioni di territorio e di fornire un criterio utile a verificare le attività eventualmente autorizzabili in ciascuna di esse.

In questa prospettiva, il TAR ha respinto il ricorso rilevando, innanzitutto, che le scelte di classificazione acustica sono una tipica espressione di discrezionalità tecnica. Esse, pertanto, sono soggette al sindacato giurisdizionale solo per vizi macroscopici di illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti, non rilevati dal TAR nel caso di specie, principalmente in quanto nell’isolato non si trovavano soltanto “insediamenti produttivi”, ma anche attività commerciali, non ammesse in classe acustica “VI”.

In secondo luogo, il TAR ha precisato che non sussiste una normativa che impedisca al Comune di suddividere in due diverse zone acustiche un medesimo isolato urbano o che imponga al Comune di garantire un’estensione territoriale minima per ciascuna delle sei classi acustiche previste dalla Tabella A allegata al D.P.C.M. 14 novembre 1997. Di conseguenza, anche sotto questo diverso profilo, il ricorso è stato ritenuto infondato.

La sentenza in commento affronta uno dei temi più frequentemente trattati nei contenziosi promossi avanti ai giudici amministrativi in materia di inquinamento acustico: l’interpretazione e l’applicazione dei parametri dettati dalla legislazione nazionale per la redazione dei piani di classificazione acustica da parte dei Comuni[i].

A livello nazionale, la materia è disciplinata dalla L. n. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) che, all’art. 4, comma 1, attribuisce alle Regioni la competenza a definire con legge i criteri in base ai quali i Comuni devono procedere alla classificazione acustica. La classificazione acustica è uno strumento di pianificazione che consiste nell’assegnare a ogni porzione omogenea di territorio comunale una classe acustica tra le sei individuate dalla normativa nazionale, all’interno delle quali si applicano differenti valori limiti di rumorosità, anch’essi fissati a livello nazionale dalla relativa normativa di attuazione (D.P.C.M. 14 novembre 1997).

La legge quadro fissa direttamente alcuni principi generali per procedere alla c.d. “zonizzazione acustica” da parte dei Comuni.

Nello specifico, è previsto che i piani di classificazione acustica debbano:

1) “tenere conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio” (art. 4, lett. a, L. n. 447/1995);

2) evitare il contatto diretto di aree, anche appartenenti a Comuni confinanti, con una differenza superiore a 5 dBA di livello sonoro, altrimenti – se il divieto non può essere rispettato nelle zone già urbanizzate a causa di preesistenti destinazioni d’uso – scatta l’obbligo per il Comune di adottare un piano di risanamento acustico (art. 4, lett. a, L. n. 447/1995).

Allo stesso tempo, la legge quadro prevede che i Comuni debbano procedere al “coordinamento degli strumenti urbanistici già adottati” con le determinazioni assunte nell’ambito della zonizzazione acustica (art. 6, lett. b, L. n. 447/1995). La stessa pianificazione urbanistica, inoltre, è indicata tra i “provvedimenti per la limitazione delle emissioni sonore” (art. 2, comma 5, L. n. 447/1995).

La casistica giurisprudenziale evidenzia però oscillazioni nell’individuare il punto di bilanciamento tra i diversi interessi generali coinvolti nelle scelte di pianificazione acustica: l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno del governo del territorio programmato nello strumento urbanistico in vigore (da cui deriva anche il legittimo affidamento dei privati nella conservazione delle potenzialità edificatorie e di utilizzo dei loro beni immobili) e l’interesse pubblico generale alla tutela dall’inquinamento acustico.

Da una parte si colloca quindi l’orientamento giurisprudenziale che – pur affermando che in materia di zonizzazione acustica le scelte dell’Amministrazione comunale non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica – tende invece a privilegiare le pregresse scelte di programmazione urbanistica, anche nell’ipotesi in cui queste non siano ancora state attuate. In questa prospettiva, nelle situazioni critiche il coordinamento tra pianificazione urbanistica e pianificazione acustica dovrebbe compiersi attraverso l’inserimento di c.d. “fasce cuscinetto” tra aree non urbanizzate, ovvero con l’adozione di piani di risanamento acustico a carico del Comune[ii] o con la prescrizione di adeguamenti impiantistici finalizzati all’introduzione delle migliori tecnologie di isolamento acustico[iii] o, da ultimo, con una diversa perimetrazione delle aree in fase di classificazione acustica[iv]. In ogni caso, secondo questa giurisprudenza sarebbe illegittimo “l’utilizzo di tale strumento (la zonizzazione acustica) al fine di precostituire le condizioni per una diversa allocazione degli insediamenti urbani[v].

In un’ottica parzialmente diversa si colloca quell’orientamento giurisprudenziale che invece valorizza al massimo gli interessi di tutela ambientale e della salute degli individui declinati dalla legge n. 447/1995. In questa prospettiva, si dovrebbe “escludere che la pianificazione acustica abbia come scopo il mantenimento della situazione esistente”, dovendo la stessa “perseguire la riduzione dei rumori al fine di realizzare la piena tutela del riposo e della salute, la conservazione degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo e dell’ambiente esterno[vi].

A questo secondo indirizzo sembra aderire la sentenza in esame: in essa si afferma infatti che la pianificazione acustica ha anch’essa (al pari della pianificazione urbanistica) il compito di orientare lo sviluppo del territorio, ma sotto il profilo qualitativo, per il miglioramento delle condizioni di vita attraverso la localizzazione delle attività antropiche in relazione alla loro rumorosità. In linea di principio, secondo questo orientamento, la pianificazione acustica potrebbe discostarsi dalla programmazione del territorio espressa con lo strumento urbanistico.

Questa impostazione pare coerente con quanto stabilito dalla normativa di riferimento: se è vero infatti che la legge quadro impone al “pianificatore” acustico di muovere dall’assetto urbanistico attuale, così da preservare le aspettative di coloro che sono già legittimamente insediati nel territorio in base alle disposizioni urbanistiche vigenti[vii], al tempo stesso la normativa stabilisce che i criteri regionali per la zonizzazione debbano tendere all’applicazione sul territorio comunale dei “valori di qualità”.

I “valori di qualità”, secondo la definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. h), della legge n. 447/1995, sono valori di rumore più restrittivi che rappresentano le soglie da raggiungere a breve, medio e lungo termine all’interno del territorio comunale e che, quindi, costituiscono gli obiettivi cui anche la zonizzazione acustica deve ispirarsi per conseguire le finalità di tutela dell’ambiente e della salute umana previste dalla legge quadro[viii].

In altre parole, ferma restando la necessità che la classificazione acustica permetta lo svolgimento delle attività umane già insediate sul territorio[ix], la definizione della classe acustica di una determinata area può non coincidere con la destinazione ad essa impressa dallo strumento urbanistico, in particolare in quei casi in cui il rispetto dell’astratta classificazione urbanistica si porrebbe in contrasto con le finalità di tutela proprie della normativa contro il rumore: in questi casi quindi sarà la pianificazione urbanistica a doversi eventualmente “coordinare”/adeguare alla zonizzazione acustica, così come previsto dalla legge n. 447/1995[x].

La funzione del piano di classificazione acustica, inteso come strumento di indirizzo dello sviluppo del territorio in una prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita, è ribadita dal TAR Lombardia anche nelle più recenti sentenze in materia, tra le quali si segnala TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 8 gennaio 2021, n. 33.

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Galdenzi-Boezio TAR Milano 2021_1

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TAR Milano n. 1-2021 (sentenza)

NOTE:

[i] In base agli ultimi rilevamenti di ISPRA, alla fine del 2017 il 39% dei Comuni non si era ancora dotato di un piano di zonizzazione acustica e alla fine del 2018 le Regioni che non avevano ancora emanato una legislazione in materia di inquinamento acustico erano 5: Sardegna, Sicilia, Basilicata, Molise e Campania. https://annuario.isprambiente.it/.

[ii] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2019, n. 8443: nella sentenza si precisa inoltre che ai fini dell’applicazione del divieto di contatto diretto di aree con differenze superiori a 5 dBA di livello sonoro (art. 4, lett. a, L. n. 447/1995), si deve tenere conto della pianificazione urbanistica, intesa non solo nel suo aspetto statico (la realtà dell’uso del territorio nel momento in cui la zonizzazione acustica viene adottata), ma anche in quello dinamico, connesso alle potenzialità edificatorie previste nello strumento urbanistico, anche se non ancora realizzate. In senso contrario, affermano che la zonizzazione acustica debba conformarsi all’attuale destinazione d’uso delle varie porzioni del territorio al momento dell’adozione del piano e non a quelle che si prevede possano essere nel prossimo futuro: Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2011, n. 2957; Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9302.

[iii] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 novembre 2015, n. 4405.

[iv] Cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 24 febbraio 2020, n. 155: va precisato che nel caso deciso le scelte programmatorie urbanistiche si erano già trasformate in destinazione di fatto dell’area (c.d. “preuso”), con conseguente presenza di attività umane già legittimamente insediate sul territorio comunale. Attribuiscono massima rilevanza al c.d. “preuso” del territorio: TAR Piemonte, sez. II, 20 agosto 2019, n. 956; TAR Abruzzo, sez. I, 10 luglio 2014, n. 597; TAR Veneto, sez. I, 18 aprile 2011, n. 649; TAR Toscana, sez. II, 11 dicembre 2010, n. 6724.

[v] TAR Toscana, sez. I, n. 1771/2016.

[vi] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, n. 133/2015. In senso conforme: TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 4 agosto 2018, n. 773; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 2 febbraio 2015, n. 478; TAR Piemonte, sez. I, 16 aprile 2014, n. 616; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 15 novembre 2012, n. 1792; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 9 novembre 2012, n, 2734; TAR Veneto, sez. III, 12 febbraio 2012, n. 24.

[vii] Le “preesistenti destinazioni d’uso del territorio” di cui all’art. 4, lett. a, L. n. 447/1995.  In Lombardia, cfr. anche la LR. n. 13/2001.

[viii] Art. 2, lett. h, L. n. 447/1995: “valori di qualità: i valori di rumore da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le metodiche di risanamento disponibili, per realizzare gli obiettivi di tutela previsti dalla presente legge”.

[ix] La giurisprudenza, sulla base della normativa nazionale e regionale in materia di inquinamento acustico, ha individuato diversi strumenti diretti a contemperare eventuali opposte esigenze tra i vari insediamenti presenti in una determinata zona: cfr. supra note 2, 3 e 4.

[x] Art. 6, comma 1, lett. b, L. n. 447/1995: “Sono di competenza dei Comuni (…) il coordinamento degli strumenti urbanistici già adottati con le determinazioni assunte” nel piano di zonizzazione acustica. Art. 2, comma 5, lett. e), L. n. 447/1995: la pianificazione urbanistica è uno dei provvedimenti amministrativi per realizzare il contenimento delle emissioni sonore.

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