Legittimazione ad agire avverso i progetti di opere e impianti potenzialmente dannosi: quale onere probatorio incombe sul ricorrente?

04 Lug 2019 | giurisprudenza, amministrativo

di Linda Gavoni

Consiglio di Stato, Sez. V, 2 aprile 2019, n. 2176 – Pres. Saltelli; Est. Franconiero – D. A. S. e M. S.r.l. (avv.ti Mirabelli, Barosio e Dell’Anna) c. M. M. e altri (avv.ti Ludogoroff, Ferrero e Migliaccio), Comune di Piobesi Torinese (avv. Martino) e altri  

Per poter impugnare gli atti di approvazione di progetti per la realizzazione di opere e impianti potenzialmente impattanti sul territorio sotto il profilo ambientale, urbanistico e paesaggistico (come, ad esempio, il progetto per la costruzione di un forno crematorio), è sufficiente dimostrare – in aggiunta al requisito della vicinitas – una prospettazione plausibile dei pregiudizi potenziali dell’impianto solo progettato; questo in quanto pretendere una dimostrazione puntuale e precisa della concreta dannosità di un’opera ancora da realizzare si tradurrebbe in una vera e propria “probatio diabolica”.

Il Consiglio di Stato, mediante la sentenza in commento, è tornato ad esprimersi sulle condizioni dell’azione giurisdizionale necessarie al fine della valida proposizione del ricorso amministrativo dinanzi al giudice amministrativo. Nello specifico, la pronuncia in esame si sofferma sul requisito della legittimazione ad agire e sul tipo di onere probatorio che il ricorrente è chiamato a soddisfare nell’ipotesi di impugnazione di progetti di opere e impianti potenzialmente impattanti sul territorio sotto molteplici aspetti (ambientale, urbanistico e paesaggistico).

La vicenda trae origine dall’approvazione, ad opera del Comune di Piobesi Torinese, del progetto volto a realizzare un forno crematorio a servizio della popolazione ivi residente a seguito dell’indizione di una procedura di affidamento in concessione mediante project financing. Avverso tale decisione alcuni cittadini – unitamente al comitato spontaneo “per il No al forno crematorio” – hanno proposto ricorso al T.A.R. Piemonte, censurando sotto più profili la scelta localizzativa dell’opera da realizzarsi. Il giudice di prime cure ha accolto la tesi dei ricorrenti, ritenendo che il progetto presentato dalla società controinteressata fosse in contrasto con i criteri relativi al bacino di riferimento e all’efficienza fissati dal piano regionale di coordinamento per la realizzazione di nuovi cimiteri e crematori (1).

La società aggiudicataria della concessione affidata dal Comune di Piobesi Torinese ha proposto ricorso in appello, eccependo censure pregiudiziali e di merito alla decisione resa dal T.A.R. Piemonte.

Più specificamente (e per i fini che qui interessano), la società appellante ha sostenuto la tesi dell’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione ad agire degli originari ricorrenti, in considerazione del fatto che la condizione dell’azione giurisdizionale – pur in presenza del requisito della c.d. vicinitas – non sarebbe stata integrata dalla prova di un effettivo e concreto pregiudizio a danno della popolazione residente nei pressi dell’area interessata dalla costruzione dell’impianto. Secondo la società appellante, infatti, le valutazioni espresse dal consulente di parte nell’ambito del processo di primo grado si sarebbero limitate a descrivere i danni potenziali che l’impianto di cremazione causerebbe alla popolazione residente nel Comune di Piobese Torinese, senza fornire alcuna dimostrazione precisa e puntuale delle ripercussioni negative derivanti dall’opera da realizzarsi in relazione alla sfera giuridica dei singoli ricorrenti.

Il Consiglio di Stato ha tuttavia respinto l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione sollevata dalla società appellante sulla scorta delle seguenti argomentazioni.

Secondo i giudici, anche in considerazione del fatto che “la materia della tutela dell’ambiente si connota per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati” (2), pretendere in tale prospettiva la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute – ai fini della legittimazione a ricorrere – costituirebbe una “probatio diabolica”, tale da  minare il diritto costituzionalmente garantito di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive (artt. 24 e 113 Cost.).

Sul punto, il Consiglio di Stato ha richiamato la giurisprudenza amministrativa prevalente, secondo cui “la dimostrazione della legittimazione attiva dei soggetti che si trovano esposti ad un impianto avente potenziali riflessi negativi sull’ambiente non [può] essere subordinata alla prova puntuale della concreta pericolosità dello stesso, dovendo al contrario ritenersi sufficiente una prospettazione della diffusività delle emissioni e delle conseguenti ripercussioni sul territorio comunale e nelle immediate vicinanze di questo” (3).

I giudici hanno inoltre sottolineato come addossare alla parte ricorrente la dimostrazione concreta dei possibili danni futuri derivanti da un’opera ancora da realizzarsi non solo determinerebbe una palese violazione dei principi costituzionali in tema di tutela giurisdizionale ma addirittura comporterebbe l’errore “di sovrapporre un accertamento proprio del merito, eventualmente rilevante per fare emergere le illegittimità dedotte dei provvedimenti abilitativi impugnati e/o ai fini del risarcimento del danno” (4).

Di conseguenza, se nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione a ricorrere è pacifica l’esigenza di rappresentare al G.A. “una prospettazione plausibile dei pregiudizi potenziali di un impianto solo progettato, alla luce della sua collocazione territoriale e delle sue caratteristiche tecniche e funzionali”, è invece da escludersi tout court la pretesa di subordinare la condizione dell’azione giurisdizionale alla dimostrazione puntuale e concreta dei danni da esso in ipotesi derivanti.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

Gavoni_Cons. Stato 2176 – 2019

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