Inquinamento elettromagnetico e limiti di tollerabilità

04 Lug 2019 | giurisprudenza, civile

di Marta Silvia Cenini

CASSAZIONE CIVILE, Sez. II – 25 marzo 2019, n. 8277 – Pres. Matera, Rel. Giannaccari – Ente Autonomo Volturno S.r.l. (avv. Soprano) c. Giffoni e al. (avv. Di Loreto)

In tema di inquinamento elettromagnetico, la ratio della fissazione dei valori-soglia previsti dall’art. 1, comma 1, lett. b) della L. 36/2001 (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità definiti come valore campo), rimessa allo Stato, non consiste esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico, ma risponde ad una ratio più complessa e articolata, trattandosi, da un lato, di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche e, dall’altro, di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, la realizzazione degli impianti e delle reti, rispondenti a rilevanti interessi nazionali. La fissazione a livello nazionale dei valori – soglia non è dunque derogabile dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo [Massima non ufficiale]

Per l’accertamento del nesso di causalità tra immissioni e danno alla salute, il giudice di merito stabilisce il parametro di riferimento con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità (nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che non vi fosse stata corretta applicazione della normativa assunta come paramento di riferimento per accertare l’intollerabilità delle immissioni ed il pericolo di danno alla salute, sulla base del principio di precauzione) [Massima non ufficiale] 

  1. Il fatto

L.M.M. e A.M.S., proprietarie di due appartamenti ubicati in un fabbricato confinante con gli impianti di una società di trasporti ferroviari, convenivano in giudizio la società esponendo che nella notte alcuni operai avevano installato abusivamente dei pali per l’alta tensione che emettevano radiazioni lesive per la salute. Chiedevano pertanto la condanna della convenuta alla rimozione di manufatti e al risarcimento dei danni.

Si costituisce in giudizio la società. Il Tribunale di primo grado, con sentenza confermata in sede di appello, accoglie le domande attoree. La società ricorre in Cassazione, che accoglie parzialmente il ricorso e cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello.

  1. Il quadro giuridico.

Il caso di specie riguarda un’ipotesi di immissioni intollerabili la cui disciplina, come noto, è rinvenibile nell’art. 844 c.c. e nelle normative specialistiche che dettano limiti pubblicistici alle emissioni. In particolare, in tema di inquinamento elettromagnetico, la normava di riferimento è la Legge quadro n. 36 del 22 febbraio 2001 “Protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”.

Questa normativa ha introdotto i concetti di limiti di esposizione, di valori di attenzione e di obiettivi di qualità; i primi due rappresentano i valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non devono essere superati in situazione di esposizione acuta o prolungata; l’obiettivo di qualità invece è stato introdotto per garantire la minimizzazione dell’esposizione.

La legge quadro aveva poi demandato a successivi decreti ministeriali il compito di individuare i limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità; in particolare, nel 2003 erano stati emanati i DPCM n. 199 e n. 200 i quali avevano fissato i limiti con riferimento alle frequenze superiori a 50 hz.  Nonostante vi fosse una indicazione in questo senso nella legge quadro, nessun decreto, invece, aveva disciplinato l’ipotesi, come vedremo rilevante nel caso di specie, di campi elettromagnetici generati a frequenza nulla ossia pari a 0 hz.

  1. Pronunce di illegittimità costituzionale della normativa regionale.

Il primo motivo di interesse della sentenza in commento è che la Cassazione aderisce esplicitamente all’orientamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune leggi regionali che avevano introdotto livelli di tutela superiori a quanto stabilito con la normativa statale (v. sentenza Corte Cost. n. 307 del 2003).

La Cassazione ricorda che nella sentenza citata la Consulta ha affermato innanzitutto che la fissazione dei valori soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità definiti come valori campo) deve avvenire a livello di legislazione statale, essendo la competenza in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione di tipo concorrente ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3. Tali valori soglia sono dunque uniformi su tutto il territorio nazionale e le Regioni non possono derogarvi, nemmeno in senso più restrittivo.

La ratio della normativa, infatti, non consiste esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico, ma nello stabilire il punto di equilibrio tra tutela della salute ed esigenza di realizzare impianti necessari al paese.

  1. Limiti pubblicistici e nesso di causalità.

Con riferimento, invece, ai parametri per determinare l’intollerabilità delle immissioni, nel corso del giudizio era emerso che gli impianti in questione funzionavano ad una frequenza di 0 hz, ipotesi non legislativamente disciplinata. Come detto, infatti, in attuazione della legge quadro, erano stati emanati solo i DPCM riguardanti le frequenze superiori a 50 hz.

Il CTU aveva tuttavia accertato l’assimilazione delle interazioni dei campi magnetici con le molecole e ioni presenti nel tessuto biologico alla frequenza di 0hz con quelli delle frequenze di 50hz, con la conseguenza che la corte territoriale aveva fatto riferimento, per stabilire l’intollerabilità delle immissioni, ai valori fissati dal DPCM del 2003. Nel merito, si accertava che nelle 4 ore di punta del traffico ferroviario i limiti di attenzione e qualità superavano i valori stabiliti dal DPCM n. 200 del 2003.

La corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, invoca anche il principio di precauzione previsto dall’art. 1 comma 1, lett. b), della L. 36/2001 nonché dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea all’art. 174, § 2; conclude pertanto che, nonostante la scienza medica non abbia accertato l’esistenza di un nesso causale tra esposizione ai campi elettromagnetici ed effetti negativi sulla salute, il danno alla salute doveva considerarsi presunto dal superamento dei limiti previsti dalla legge per le immissioni, indipendentemente dall’assenza di prova sul nesso di causalità.

La Cassazione rileva dunque innanzitutto che l’assimilazione tra interazione dei campi magnetici alla frequenza di 0hz e di 50 hz è un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità.

Rileva tuttavia che, una volta stabilito che il paramento di riferimento per accertare l’intollerabilità delle immissioni siano la L. 36/2001 ed il DPCM n. 200 del 2003, il giudice deve adeguarsi alle previsioni normative ivi previste. La corte territoriale, invece, al fine di stabilire l’intollerabilità delle immissioni, aveva applicato in maniera erronea i limiti ed i criteri fissati dalla normativa citata; in particolare, la corte d’appello, per quanto riguarda il valore di attenzione, aveva considerato i valori medi dei campi nelle quattro ore di punta del traffico ferroviario e non, come avrebbe dovuto, la mediana dei valori nell’arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio; in secondo luogo, aveva applicato il parametro di cui “all’obiettivo di qualità” nonostante esso si riferisca ai nuovi elettrodotti (mentre era incontestato che si trattasse di un elettrodotto già esistente).

La Cassazione pertanto, pur cassando la sentenza d’appello, sembra in parte aderire all’orientamento consolidato in sede di legittimità e richiamato dalla sentenza cassata che afferma che il superamento dei limiti pubblicistici è sufficiente per stabilire l’intollerabilità dell’immissione ed il conseguente danno alla salute; nel caso di specie, tuttavia, come detto, le corti di merito avevano fatto una erronea applicazione dei criteri e dei limiti previsti dalla normativa pubblicistica.

  1. Limiti pubblicistici e limiti privatistici.

Come osservato, la sentenza della Cassazione in commento rinvia alla corte di merito affinché applichi correttamente i criteri previsti dalla normativa specialistica.

Non si pronuncia, tuttavia, sul tema, anch’esso oggetto di varie pronunce giurisprudenziali (tra cui si ricorda Cass. 6906 del 2019, in questa rivista) sui rapporti tra limiti pubblicistici e limiti privatistici. A questo riguardo, infatti, come noto, l’orientamento costante della Cassazione è nel senso che il mancato superamento dei limiti alle emissioni stabiliti dalla normativa pubblicistica non esclude necessariamente che le immissioni possano considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. Come ha ricordato il giudice di legittimità nella sentenza sopra ricordata, in questo caso il giudizio in ordine alla tollerabilità delle immissioni va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto della particolarità della situazione concreta nonché di una pluralità di interessi e diritti inerenti la persona.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione cliccare sul pdf allegato.

Cenini_Cass. civ. 8277 del 2019

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