La collocazione sistematica dell’art. 452 quaterdecies c.p. nel titolo vi bis c.p.: nuovi spunti dalla Cassazione

01 Set 2024 | giurisprudenza, penale, in evidenza 2

CASSAZIONE PENALE, Sez. V – 11 gennaio 2024 (dep.  27 marzo 2024), n. 12722 Pres. Zaza, Est. Borrelli Ric. M.D.C., S.P.

La disposizione dell’art. 452 duodecies c.p., che prevede quale pena accessoria il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, è applicabile anche al reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., essendo lo stesso incluso nel titolo VI bis del libro II del codice penale.

1. La questione oggetto della pronuncia

La sentenza in esame, adottata dalla Sez. V (e non dalla Sez. III), in quanto correlata a reati fallimentari, si esprime – per quanto noto in termini inediti – sulla correlazione tra le disposizioni in materia di sanzioni amministrative accessorie[1] contemplate all’art. 452 duodecies c.p. e quelle – esposte in termini lievemente differenti – di cui all’art. 452 quaterdecies c.p.

L’art. 452 duodecies c.p. prevede, infatti, che nel caso di sentenza di condanna o di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. in relazione a uno dei reati del titolo VI bis, il giudice ordini il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi (richiamando espressamente, per quanto riguarda il solo ripristino, le disposizioni del titolo II della parte sesta del T.U.A., in cui sono incluse le “Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”).

L’art. 452 quaterdecies, comma 4 c.p. prevede, invece, che, sempre a fronte di una sentenza di condanna o di patteggiamento, il giudice ordini il ripristino dello stato dell’ambiente (non “dei luoghi”), senza fare riferimento al recupero, disponendo, altresì, che la sospensione condizionale della pena possa essere condizionata all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.

Come anche ravvisato nella sentenza, la differente formulazione discende dalle diverse fonti delle disposizioni: per l’art. 452 duodecies c.p., la L. n. 68/2015 in materia di ecodelitti (che ha inserito nel codice penale l’intero titolo VI bis); per l’art. 452 quaterdecies c.p. la L. n. 21/2018 in materia di riserva di codice, che ha trasferito testualmente all’interno del suddetto titolo la fattispecie incriminatrice antecedentemente collocata nel D.Lgs. n. 152/2006 (art. 260).

La decisione in commento perviene ad una lettura sistematica delle disposizioni, colmando in via interpretativa una lacuna (non certo l’unica) del legislatore del 2018, che pur dando corso, come detto, a un “trasloco a scatola chiusa” dell’art. 260 T.U.A. nel Codice Penale, non si è curato del necessario coordinamento con le altre disposizioni generali del titolo VI bis, in particolare quelle in materia di ravvedimento operoso, confisca, recupero e ripristino.

Per quanto riguarda la specifica questione dedotta nel giudizio oggetto della sentenza di legittimità, la Corte d’Appello di Milano, nel condannare gli imputati per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, aveva applicato nei loro confronti la sanzione accessoria del recupero dello stato dei luoghi, escludendo, invece, quella del ripristino, non ravvisando l’esistenza di danno ambientale.

I ricorrenti avevano censurato la statuizione della Corte di merito, rilevando che l’art. 452 quaterdecies c.p. contempla esclusivamente il ripristino dello stato dei luoghi, senza appunto far cenno alla misura del recupero; per quanto si intende dalla motivazione, i motivi di ricorso prospettavano la sostanziale sovrapponibilità delle nozioni di recupero e ripristino, facendo leva sulla disposizione dell’art. 240, comma 1, lett. q) T.U.A, che definisce quale “ripristino e ripristino ambientale”, gli “interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici”.

In tal senso, dunque, i ricorrenti ritenevano che i due lemmi (recupero e ripristino) fossero sovrapponibili e pertanto non “scorporabili”, come invece indicato dalla Corte d’Appello: qualora, dunque, non siano ravvisati gli estremi di danno ambientale, e dunque non vi siano i presupposti per disporre il ripristino, non sarebbe nemmeno applicabile l’ordine di recupero, in quanto (secondo i ricorrenti) attinente alla medesima attività di natura ripristinatoria.

La Cassazione, tuttavia, ha condiviso l’impostazione della Corte d’Appello, sostenendo la distinzione tra recupero e ripristino, sia a livello sintattico (trattandosi di due termini collegati da una congiunzione), sia in quanto la disposizione pone condizioni (“ove possibile”) e specificazioni (il riferimento alle norme del T.U.A. sul danno ambientale) solo in relazione al ripristino.

In tal senso, la circostanza invocata dai ricorrenti in ordine alla collocazione del termine “recupero” nell’ambito della definizione di ripristino di cui all’art. 240, comma 1, lett. q) T.U.A. non coglierebbe nel segno, in quanto l’argomento ometterebbe di “confrontarsi con la precisa delineazione delle due diverse attività nella norma codicistica di riferimento”.

I giudici di legittimità, inoltre, hanno condiviso l’interpretazione di quelli milanesi, laddove questi ultimi avevano perimetrato l’ambito della nozione di recupero come un quid minus rispetto al ripristino: il recupero sarebbe costituito dalle “sole attività tese al reintegro dell’ambiente tramite la rimozione degli elementi alteranti, senza lo svolgimento di attività più complesse” (da ricondursi alla nozione di ripristino) “e che impongano la riallocazione o riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse”.

Nessun dubbio, in ogni caso (e parrebbe che tale aspetto non sia stato censurato espressamente nemmeno dai ricorrenti), che le disposizioni dell’art. 452 duodecies c.p., in quanto espressamente riferibili all’intero titolo VI bis, vadano applicate anche all’art. 452 quaterdecies c.p., benchè tale fattispecie successivamente introdotta non contemplasse espressamente, tra le sanzioni accessorie, l’attività “minore” di recupero ambientale, applicabile (secondo la lettura qui prospettata) anche in assenza di eventi di danno.

2. Osservazioni sulla definizione di recupero dello stato dei luoghi di cui all’art. 452 duodecies c.p.

La sentenza in commento costituisce un utile spunto interpretativo per dare concretezza a uno dei numerosi concetti che la riforma del 2015 aveva introdotto con labile determinatezza nell’assetto sanzionatorio, ovvero, appunto, quello di recupero.

Sin dall’introduzione dell’art. 452 duodecies c.p. si era infatti osservato, in dottrina, che non vi sono specifiche norme del D.Lgs. n. 152/2006 relative al recupero dello stato dei luoghi o dell’ambiente, trattandosi di nozione che trova esplicito riferimento normativo solo in relazione al trattamento di rifiuti[2].

Sono state individuate, pertanto, soluzioni interpretative volte a colmare tale lacuna, sia pure con prospettazioni non concordanti: secondo una lettura, il termine dovrebbe essere inteso in una accezione tecnica ed extragiuridica, ricomprendendovi quelle operazioni volte a conseguire la bonifica di un sito contaminato o comunque eliminare i segni dell’intervento umano che ha alterato l’ambiente, distinguendole dalle più complesse attività di ripristino[3]; secondo una diversa prospettiva, il lemma dovrebbe essere interpretato omnicomprensivamente, includendovi ogni attività materiale e giuridica necessaria per il recupero dell’ambiente inquinato o distrutto (con particolare riguardo alle attività di bonifica), mentre in ripristino si collocherebbe su un piano ulteriore, che contempli – ove possibile – la ricollocazione o riattivazione delle componenti distrutte o rimosse[4]; ancora, e più specificamente, si è inteso trovare riferimento nella fonte citata dallo stesso art. 452 duodecies c.p. (sebbene in specifica relazione al solo ripristino), ovvero l’allegato 3 alla parte sesta T.U.A, riportando alla nozione di ripristino le misure di riparazione primaria (atte a riportare l’ambiente alle condizioni originarie), mentre alla nozione di recupero sarebbero correlabili le misure di natura complementare o compensativa[5].

La sentenza in esame pare dunque avere condiviso, pur in chiave di semplificazione, il tratto comune delle prospettazioni offerte dai commentatori, rilevando come il recupero implichi un risultato diverso e di minore effetto rispetto all’integrale ripristino, rispetto al quale costituisce un quid minus[6].

Resta ovviamente da comprendere se, come prospettato nel caso di specie (trattandosi, invero, di questione prettamente di merito), anche la misura remediale di “rango inferiore” possa prospettarsi laddove sia rilevata l’integrale assenza di danno ambientale ed in cosa consista, conseguentemente, la mera attività di “rimozione di elementi alteranti”.

Trattandosi di fattispecie di reato in materia di rifiuti, è possibile ipotizzare che l’attività di recupero possa contemplare, ad esempio la rimozione di rifiuti collocati in aree non autorizzate, comunque atte ad alterare “lo stato dei luoghi” pur non comportando necessariamente l’esistenza di un danno ambientale o, laddove non sia possibile la loro rimozione, porre in essere misure volte a prevenire che l’allocazione degli stessi possa generare una contaminazione dei terreni sui quali insistono.

In tal senso, un riferimento potrebbe rinvenirsi nell’art. 452 decies c.p., che pone quale condizione al riconoscimento del ravvedimento operoso “la messa in sicurezza, la bonifica e, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi”[7].

Operando un parallelo con la disposizione dell’art. 452 duodecies c.p. (che appunto contempla anch’essa, ove possibile, tale ripristino) se ne potrebbe evincere che il recupero possa consistere – come misura minima – nell’attivazione di misure di messa in sicurezza (fors’anche da intendersi in senso atecnico, e non esclusivamente nel quadro delle procedure di cui all’art. 240 ss. T.U.A.) volta a prevenire fenomeni di contaminazione o di ulteriore degrado dei luoghi.

3. Osservazioni sull’interpretazione sistematica della Corte di Cassazione

Pur trattandosi di una questione meno approfondita nella motivazione (anche perché non oggetto di specifica censura), appare di significativo interesse l’argomento sistematico prospettato dalla sentenza circa la necessaria riconducibilità delle disposizioni sanzionatorie dell’art. 452 duodecies c.p. alla fattispecie, successivamente introdotta nel titolo VI bis, di cui all’art. 452 quaterdecies c.p.

La questione, per il vero, non appariva del tutto pacifica, in quanto, in termini di stretta legalità ,si potrebbe invece intendere che l’assenza di un’espressa previsione sanzionatoria in punto di recupero nell’art. 452 quaterdecies c.p. precluda al giudice di emettere un ordine in tal senso.

Siffatto argomento potrebbe forse essere superato dalla considerazione che, pur nella differenza definitoria avallata dalla Cassazione, il recupero non sarebbe comunque un qualcosa di radicalmente diverso dal ripristino, ma solo una misura di natura genericamente ripristinatoria con effetti meno incisivi, giustificata dall’assenza di elementi di danno ambientale.

Non si può tuttavia escludere che, a seconda dei concreti casi di merito, la questione possa riproporsi, pervenendosi a conclusioni differenti (ciò, ancora una volta, per effetto di una tecnica redazionale censurabile sotto il profilo della determinatezza, che affligge in più parti la novella del 2015).

E in ogni caso, dando per valida la conclusione a cui è pervenuta la Suprema Corte, la questione della integrale riferibilità delle disposizioni in materia di recupero e ripristino anche alla fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti consente di sviluppare ulteriori argomentazioni sistematiche.

In primo luogo, si conferma (e in questo senso si era orientata anche la Corte di merito nel caso di specie) che anche in relazione al reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. la sanzione amministrativa dell’ordine di ripristino, pur di natura obbligatoria, vada applicata solo “ove possibile”, e sia dunque condizionata all’accertamento dei presupposti di danno ambientale[8].

E in termini ancor più rilevanti, la decisione sembra offrire nuovi elementi sulla base dei quali superare un orientamento particolarmente censurato dalla dottrina in ordine all’esclusione dell’art. 452 quaterdecies c.p. dal novero dei reati a cui è applicabile il beneficio di cui all’art. 452 undecies, comma 4 c.p. comma (la deroga alla confisca nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi).

Secondo tale indirizzo ermeneutico[9], infatti, la perimetrazione di tale beneficio ai soli reati espressamente indicati nella parte iniziale dell’art. 452 undecies c.p. (in cui, anche dopo l’inserimento nel titolo VI bis del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, non è stato incluso anche l’art. 452 quaterdecies c.p.) troverebbe giustificazione in ragione di una diversa natura della confisca prevista dall’art. 452 undecies c.p. (a cui è attribuito un carattere eminentemente risarcitorio-ripristinatorio, come testimoniato dal vincolo di destinazione attribuito ai beni attinti da tale misura) rispetto a quella imposta dall’art. 452 quaterdecies, comma 4 c.p. (di carattere prettamente punitivo).

Si prospetta, inoltre, la diversità strutturale tra le fattispecie elencate nell’art. 452 undecies p. e quella di all’art. 452 quaterdecies c.p., ben potendo quest’ultima essere integrata da condotte non richiedenti attività di bonifica o rispristino dello stato dei luoghi.

Entrambi gli argomenti si espongono a una pluralità di censure, diffusamente individuate in dottrina (e che qui si richiamano solo in sintesi).

In primo luogo, il fatto che la confisca di cui all’art. 452 undecies c.p. abbia in principalità natura ripristinatoria-risarcitoria non esclude che tale funzione sia oggettivamente affiancata da caratteri punitivi, incidendo in termini senza dubbio afflittivi sul patrimonio del condannato (tanto che è prevista anche la confisca per equivalente, di natura prettamente sanzionatoria).

Del resto, la natura punitiva di tutte le ipotesi di confisca ambientale è stata ampiamente tratteggiata dalla più approfondita analisi ermeneutica in materia[10],  evidenziando che l’effetto afflittivo, senza dubbio ”dominante” nella confisca per equivalente, appare ”prevalente” anche nella forma della confisca ambientale diretta; e ciò, senza che sia prospettabile una distinzione tra la confisca di cui all’art. 452 undecies c.p. e quella di cui all’art. 452 quaterdecies, comma 5 c.p., in quanto anche la prima disposizione presenta, appunto, anche indubbi caratteri afflittivi (in tal senso è stato osservato che “sul piano finalistico-funzionale, prevenzione, punizione, correzione, riparazione sono componenti che convivono nel duttile corpo dell’art. 452 undecies c.p., talora in conflitto tra loro” in quanto “il polimorfismo dell’istituto si spinga sino a comprendere una pluralità di funzioni della medesima misura nella stessa previsione legislativa”).

Pur, dunque, riconoscendosi alla confisca di cui all’art. 452 undecies c.p. anche una logica riparatoria e ripristinatoria, non  vi è dubbio che “nei confronti del reo si produce comunque una sofferenza patrimoniale (…) consistente nella coercitiva e perpetua sottrazione da parte dello Stato di strumenti del reato e proventi illeciti. Conseguenza, questa, peraltro gravida di ulteriori effetti, dissuasivi, tipici della generalprevenzione”; così come, di converso, anche nella confisca per equivalente (che ha indiscussa natura sanzionatoria) sono insite finalità ripristinatorie compresenti con  la (appunto dominante) finalità punitiva: il fatto che le risorse patrimoniali del reo vengano utilizzate per ripristinare lo status quo ante l’ecodelitto, non fa venire meno la debordante carica afflittiva che sorregge questa peculiare tecnica ablativa”.

Conclusivamente, dunque l’argomento della diversità strutturale delle ipotesi di confisca di cui all’art. 452 undecies c.p. e all’art. 452 quaterdecies, comma 5 c.p. pare fondato su logiche classificatorie rigide che non corrispondono alla multiforme connotazione che caratterizza egualmente entrambi gli istituti.

Inoltre, mentre i reati espressamente annoverati nell’art. 452 undecies c.p. non producono necessariamente effetti tali da rendere necessari interventi postumi di messa in sicurezza, bonifica o ripristino dei luoghi (caso emblematico è quello del reato di impedito controllo ex art. 452 septies c.p.), è invece del tutto probabile che tali attività rimediali debbano conseguire a condotte integranti l’art. 452 quaterdecies c.p. (tanto che è la stessa norma incriminatrice a imporre al condannato il ripristino dello stato dell’ambiente, a titolo di sanzione accessoria).

Del resto, se è pur vero che la causazione di un pregiudizio ambientale per effetto di condotte contestate ai sensi dell’art. 452 quaterdecies c.p. è meramente eventuale (trattandosi, appunto, di un reato di pericolo), è la stessa previsione dell’art. 452 decies c.p. in materia di ravvedimento operoso a rimarcare che tale pregiudizio può in concreto verificarsi (e infatti al condannato vengono riconosciute attenuanti ad effetto speciale nel caso in cui ad esso sia posto rimedio prima dell’apertura del dibattimento).

In termini di “realpolitik”, inoltre, è evidente che l’esclusione del beneficio in relazione ai reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti non incentivi il responsabile a porre in essere celermente (appunto prima dell’inizio del processo) interventi di natura remediale; di converso, l’obiettivo di evitare la confisca costituirebbe un elemento di spiccato interesse premiale che si tradurrebbe in un più celere intervento ripristinatorie delle matrici ambientali compromesse, senza attendere i tempi e l’alea di un’attività imposta coattivamente in epoca successiva alla definitività del giudizio penale.

Appare dunque largamente preferibile un’interpretazione in forza della quale il beneficio di cui all’art. 452 undecies, comma 4 c.p. sia estensibile all’art. 452 quaterdecies c.p., a condizione che la condotta abbia determinato un pregiudizio ambientale e che esso abbia trovato rimedio attraverso condotte recuperatorie o ripristinatorie.

L’interpretazione ora prospettata pare appunto trovare sostegno nella sentenza in commento, ove appunto viene prospettata una lettura sistematica uniforme dell’intero titolo VI bis del codice penale, indipendentemente dalle fonti da cui derivano le disposizioni che in esso sono inserite.

In tal senso, dunque (e in attesa di un auspicato intervento normativo di coordinamento) l’elemento testuale dell’assenza dell’art. 452 quaterdecies c.p. nel novero dei reati contemplati dall’art. 452 undecies c.p. (e ai quali soli sarebbe dunque applicabile il beneficio in questione) sarebbe superato dalla generale applicazione della disposizione a tutti i casi in cui si sia effettivamente generato un pregiudizio rimediabile attraverso il recupero o, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi.


[1] La natura di sanzioni amministrative accessorie delle misure in commento è stata confermata, anche recentemente, da Cass. Pen., Sez. III, 20 dicembre 2023, n. 50772 (in questa Rivista, n. 52 – aprile 2024, con nota di F. PROCOPIO, La Cassazione sulle sorti dell’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente in caso di prescrizione del reato).

[2] Così osserva in particolare P. SCHIATTONE, Il recupero dello stato dei luoghi, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente (a cura di L. CORNACCHIA, N. PISANI), Torino, 2018, p. 272 ss.

[3] Si veda, P. SCHIATTONE, op. cit. e L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015 sugli ecodelitti, in Diritto Penale Contemporaneo, 9 luglio 2015.

[4] L’indicazione si rinviene nella Relazione del Massimario della Corte di Cassazione n. III/04/2015 ed è richiamata anche da G. AMARELLI e C. RUGA RIVA, in Reati contro l’ambiente e il territorio (a cura di M. PELISSERO), p. 159; come indicato, anche la sentenza in commento richiama letteralmente tale interpretazione con riguardo alla definizione di ripristino.

[5] Per una dettagliata analisi delle varie soluzioni interpretative si rimanda alla trattazione di P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano 2022, p. 202 ss. (in particolare, l’Autore, pur condividendo la caratteristica di minore incisività del recupero rispetto al ripristino, propugna la lettura basata sulle diverse forme di riparazione – primaria, complementare e compensativa – indicate nell’allegato 3 alla parte sesta T.U.A.).

[6] La diversa portata delle misure ripristinatorie è evidenziata anche da L. RAMACCI, Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale, in Lexambiente, 8 giugno 2015, evidenziando che la nozione di recupero “implica un risultato diverso e di minore effetto, che pur non raggiungendo il risultato di ristabilire l’integrità e le funzionalità originarie dei luoghi, ne elimina comunque il degrado restituendoli all’uso”; tale lettura è richiamata anche da M. TELESCA, La tutela penale dell’ambiente, Torino, 2021, p. 54 ss. (ove l’Autrice si diffonde anche a individuare i principi comunitari sottesi alla disposizione codicistica).

[7] Anche secondo G. AMARELLI e C. RUGA RIVA, op. cit., la disposizione dell’art. 452 duodecies c.p. si pone in “rapporto di complementarietà secondaria” con quella dell’art. 452 decies c.p., in quanto essa trova applicazione in via sussidiaria e alternativa qualora il responsabile della compromissione ambientale non abbia volontariamente collaborato a eliminare le conseguenze dannose della propria condotta.

Come acutamente osservato da M. PIERDONATI, La confisca nel sistema dei delitti contro l’ambiente, Milano, 2020, pg 127, “la sanzione arriva a confondersi con il premio, al punto che sembra quasi infliggersi l’una per conferire l’altro”-

[8] Si veda, recentemente, Cass. pen., Sez. III, 29 dicembre 2022, n. 49487, (in questa in questa Rivista, n. 42 – maggio 2023, con nota di E. FASSI, Obbligo di ripristino dello stato dei luoghi: necessità di un effettivo pregiudizio per l’ambiente), laddove si afferma che l’obbligo di ripristino non può essere emesse a fronte di mere deduzioni presuntive o quale effetto diretto dell’accertamento della condotta incriminata, in quanto tale prospettazione non terrebbe conto della natura di reato di pericolo dell’art. 452 quaterdecies c.p., rispetto al quale dunque la causazione di un danno ambientale è meramente eventuale.

[9] Si vedano in particolare le sentenze Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2020, n. 15965; Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2020, n. 11581; Cass. pen., Sez. III, 5 agosto 2021, n. 30691, secondo cui la confisca prevista dall’art. 452 quaterdecies c.p. sarebbe volta a “sottrarre i beni utilizzati per commettere tale reato, onde evitarne la ripetizione, e dissuadere dalla sua nuova futura commissione, dunque la realizzazione di scopi tipicamente correlati alla funzione della sanzione penale, rimessi alla scelta del legislatore”; Cass. Pen. Sez. III, 20 dicembre 2022, n. 4588 (in questa Rivista, n. 46 – ottobre 2023, G. BELLINI e F. PROCOPIO, Never ending story: la Cassazione torna (incidentalmente) sul perimetro applicativo dell’art. 452 undecies, comma 4 c.p. In tale nota, in particolare, le Autrici ravvisano come nella sentenza del 2022 la Cassazione sembrerebbe aver creato una possibile apertura rispetto a una valutazione potenzialmente della tenuta costituzionale dell’art. 452 undecies, commi 3 e 4 c.p., per come attualmente configurato, ravvisando in astratto la correttezza della deduzione difensiva circa la valenza delle misure ripristinatorie ai fini dell’esclusione della confisca, ma evidenziando che in assenza del loro perfezionamento, correttamente esse non  potevano essere valorizzate dai giudici di merito (e pertanto esprimendosi negativamente sul ricorso della difesa).

[10] Gli spunti qui citati sono tratti dalla pregevole monografia di M. PIERDONATI, op. cit, pg. 119 ss.

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NOTE:

[i] La natura di sanzioni amministrative accessorie delle misure in commento è stata confermata, anche recentemente, da Cass. Pen., Sez. III, 20 dicembre 2023, n. 50772 (in questa Rivista, n. 52 – aprile 2024, con nota di F. PROCOPIO, La Cassazione sulle sorti dell’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente in caso di prescrizione del reato).

[ii] Così osserva in particolare P. SCHIATTONE, Il recupero dello stato dei luoghi, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente (a cura di L. CORNACCHIA, N. PISANI), Torino, 2018, p. 272 ss.

[iii] Si veda, P. SCHIATTONE, op. cit. e L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015 sugli ecodelitti, in Diritto Penale Contemporaneo, 9 luglio 2015.

[iv] L’indicazione si rinviene nella Relazione del Massimario della Corte di Cassazione n. III/04/2015 ed è richiamata anche da G. AMARELLI e C. RUGA RIVA, in Reati contro l’ambiente e il territorio (a cura di M. PELISSERO), p. 159; come indicato, anche la sentenza in commento richiama letteralmente tale interpretazione con riguardo alla definizione di ripristino.

[v] Per una dettagliata analisi delle varie soluzioni interpretative si rimanda alla trattazione di P. FIMIANI, La tutela penale dell’ambiente, Milano 2022, p. 202 ss. (in particolare, l’Autore, pur condividendo la caratteristica di minore incisività del recupero rispetto al ripristino, propugna la lettura basata sulle diverse forme di riparazione – primaria, complementare e compensativa – indicate nell’allegato 3 alla parte sesta T.U.A.).

[vi] La diversa portata delle misure ripristinatorie è evidenziata anche da L. RAMACCI, Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale, in Lexambiente, 8 giugno 2015, evidenziando che la nozione di recupero “implica un risultato diverso e di minore effetto, che pur non raggiungendo il risultato di ristabilire l’integrità e le funzionalità originarie dei luoghi, ne elimina comunque il degrado restituendoli all’uso”; tale lettura è richiamata anche da M. TELESCA, La tutela penale dell’ambiente, Torino, 2021, p. 54 ss. (ove l’Autrice si diffonde anche a individuare i principi comunitari sottesi alla disposizione codicistica).

[vii] Anche secondo G. AMARELLI e C. RUGA RIVA, op. cit., la disposizione dell’art. 452 duodecies c.p. si pone in “rapporto di complementarietà secondaria” con quella dell’art. 452 decies c.p., in quanto essa trova applicazione in via sussidiaria e alternativa qualora il responsabile della compromissione ambientale non abbia volontariamente collaborato a eliminare le conseguenze dannose della propria condotta.

[viii] Si veda, recentemente, Cass. pen., Sez. III, 29 dicembre 2022, n. 49487, (in questa in questa Rivista, n. 42 – maggio 2023, con nota di E. FASSI, Obbligo di ripristino dello stato dei luoghi: necessità di un effettivo pregiudizio per l’ambiente), laddove si afferma che l’obbligo di ripristino non può essere emesse a fronte di mere deduzioni presuntive o quale effetto diretto dell’accertamento della condotta incriminata, in quanto tale prospettazione non terrebbe conto della natura di reato di pericolo dell’art. 452 quaterdecies c.p., rispetto al quale dunque la causazione di un danno ambientale è meramente eventuale.

[ix] Si vedano in particolare le sentenze Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2020, n. 15965; Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2020, n. 11581; Cass. pen., Sez. III, 5 agosto 2021, n. 30691, secondo cui la confisca prevista dall’art. 452 quaterdecies c.p. sarebbe volta a “sottrarre i beni utilizzati per commettere tale reato, onde evitarne la ripetizione, e dissuadere dalla sua nuova futura commissione, dunque la realizzazione di scopi tipicamente correlati alla funzione della sanzione penale, rimessi alla scelta del legislatore”; Cass. Pen. Sez. III, 20 dicembre 2022, n. 4588 (in questa Rivista, n. 46 – ottobre 2023, G. BELLINI e F. PROCOPIO, Never ending story: la Cassazione torna (incidentalmente) sul perimetro applicativo dell’art. 452 undecies, comma 4 c.p. In tale nota, in particolare, le Autrici ravvisano come nella sentenza del 2022 la Cassazione sembrerebbe aver creato una possibile apertura rispetto a una valutazione potenzialmente della tenuta costituzionale dell’art. 452 undecies, commi 3 e 4 c.p., per come attualmente configurato, ravvisando in astratto la correttezza della deduzione difensiva circa la valenza delle misure ripristinatorie ai fini dell’esclusione della confisca, ma evidenziando che in assenza del loro perfezionamento, correttamente esse non  potevano essere valorizzate dai giudici di merito (e pertanto esprimendosi negativamente sul ricorso della difesa).

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