Discrezionalità urbanistica tra interessi privati, tutela ambientale e pianificazione sovraordinata.

01 Giu 2024 | giurisprudenza, corte costituzionale

T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. IV, 19 febbraio 2024, n. 423.

La scelta di un Comune di destinare un’area precedentemente edificabile a verde agricolo non deve necessariamente essere volta a soddisfare, in via diretta e immediata, interessi agricoli. Ben può tale decisione perseguire esigenze di ordinato governo del territorio, legate al bisogno di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano.

In materia di pianificazione urbanistica il Comune gode di un’ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di arbitrarietà e irragionevolezza manifeste, ovvero di travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono soddisfare nel concreto. Tale regola è derogabile soltanto in presenza di situazioni di affidamento qualificato dei privati, che però sono espressamente individuate. Laddove ciò non sussista, la potestà pianificatoria dell’Amministrazione non è soggetta al principio del divieto di reformatio in peius e l’interesse dei privati alla conferma (o al miglioramento) della propria posizione è relegato a un mero interesse di fatto, non tutelabile in sede giurisdizionale.

Il potere di individuare i limiti distanziali applicabili allo spandimento dei fanghi in agricoltura spetta esclusivamente alla Regione, l’Ente a cui il legislatore statale ha assegnato la competenza regolamentare, al fine di garantire l’uniformità della disciplina a livello territoriale ed evitare che la suddetta attività (da incoraggiare, in quanto volta al recupero di un rifiuto), venga ingiustificatamente ostacolata per interessi particolaristici.

La sentenza in commento prende le mosse dall’impugnazione di uno strumento urbanistico comunale – il PGT del Comune di Torre d’Isola – ad opera dei proprietari di due terreni che, a seguito dell’approvazione della nuova disciplina urbanistica, hanno visto le proprie aree – in precedenza destinate a fini produttivi – private di ogni possibilità edificatoria e inserite in ambiti a prevalente vocazione agricola e attraversati da corridoi ecologici e reti ciclabili.

I ricorrenti lamentavano sia l’illogicità della nuova destinazione impressa alle aree di proprietà dei ricorrenti, sia la violazione del principio di affidamento, sia infine il contrasto con gli strumenti di pianificazione sovraordinata.

Nella sentenza in commento, che sul punto respinge il ricorso, il giudice amministrativo ripercorre i principi giurisprudenziali che da tempo e con costanza hanno definito i limiti del sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere di pianificazione comunale, evidenziando come per l’esercizio del potere di pianificazione all’Amministrazione comunale sia riconosciuta un’ampia discrezionalità, sindacabile in sede giurisdizionale solo in presenza di macroscopiche illogicità, evidenti abnormità o travisamento palese dei fatti in relazione alle esigenze che si intendono tutelare in concreto (cfr. ex multis, T.A.R. Milano, sez. IV, 05/12/2023, n. 2951, T.A.R. Roma, sez. II, 21/07/2023, n. 12303).

All’ampiezza della discrezionalità in capo al Comune consegue un onere motivazionale ridotto, essendo sufficiente che l’Ente espliciti le ragioni di fondo che hanno determinato il nuovo assetto del territorio, senza essere vincolato alle zonizzazioni e alle localizzazioni preesistenti.  Il ridotto onere motivazionale trova un’eccezione solo quando le scelte urbanistiche “incidono su aspettative dei privati particolarmente qualificate, come quelle ingenerate da impegni già assunti dall’Amministrazione mediante approvazione di piani attuativi o la stipula di convenzioni” (T.A.R. Brescia, sez. II, 10/03/2022, n. 238).

La Sentenza ricorda infatti che vi può essere affidamento del privato solo in casi specifici, come: “I) il superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; II)l’esistenza di pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; III) i giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; IV) la modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo” (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 02/01/2023, n. 21; T.A.R. Milano, IV, 05/12/2023, n. 2951; nonché Corte costituzionale, 16/07/2019, n. 179). In queste ipotesi prevale la posizione del privato, che deve essere tutelata.

Nessuna delle suddette ipotesi è stata però riconosciuta sussistere nel caso oggetto del giudizio, nel quale, come evidenziato dal TAR, all’atto di avvio del procedimento di approvazione del nuovo strumento urbanistico, le aree di proprietà dei ricorrenti non erano oggetto di alcun piano attuativo, né per le stesse risultavano rilasciati permessi di costruire o erano state sottoscritte convenzioni che avrebbero potuto vincolare le scelte dell’Amministrazione.

Nulla, quindi, impediva al Comune di decidere per l’eliminazione dell’indice edificatorio precedentemente assegnato alle aree dei ricorrenti, una decisione assolutamente coerente con gli obiettivi generali fondanti il nuovo atto di pianificazione, volti a promuovere un modello di sviluppo attento alle questioni ambientali e al contenimento del consumo di suolo. “In tale ottica” si legge nella sentenza “va interpretata la scelta di destinare l’area dei ricorrenti a verde agricolo, poiché ciò non implica necessariamente che si debbano soddisfare in modo diretto e immediato interessi agricoli, ma ben si possono perseguire esigenze di ordinato governo del territorio, legate alla necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano, come accade nella fattispecie de qua” (si veda in sul punto: Consiglio di Stato, IV, 24/01/2023, n. 765).

Vero è, però, che nel caso in esame le previsioni del nuovo strumento urbanistico comunale derogano a quelle contenute negli strumenti pianificatori sovraordinati, in quanto estendono gli ambiti di tutela ecologica e rendono inedificabili dei lotti – comprese le aree dei ricorrenti – che nel piano territoriale regionale erano già considerati “suolo trasformato” e il cui sviluppo, dunque, non avrebbe comportato un nuovo consumo di suolo ai sensi delle leggi vigenti.

Il TAR, pur riconoscendo che le previsioni prescrittive e prevalenti contenute negli atti di pianificazione sovraordinata operano solo “nel verso di impedire al Comune, o all’Ente territoriale minore, la compromissione del bene oggetto di tutela (paesaggio, rete ecologica, ambito agricolo strategico, ambiti di interesse provinciale, ecc.), mentre nessun limite può essere posto laddove tale ultimo Ente volesse garantire maggiore tutela a tali beni o volesse estenderne l’ambito, pena l’intrinseca contraddittorietà di siffatta conclusione”, afferma altresì che questa volontà di maggiore tutela non può però significare il potere generale del Comune di invadere la competenza che la legge assegna agli altri Enti territoriali in materie specifiche.

Nell’ipotesi censurata dai ricorrenti, si tratta dell’avvenuta espansione, ad opera dello strumento urbanistico comunale impugnato, dell’ampiezza delle fasce di rispetto fissate nei regolamenti regionali per limitare l’utilizzo dei fanghi a fini agronomici. Lo strumento urbanistico comunale ha introdotto una distanza pari al doppio di quella fissata dalla Regione, andando così a incidere su una materia che tuttavia lo stesso legislatore statale – originario titolare della competenza esclusiva in materia ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera s) – ha espressamente attribuito alle Regioni.

In questa ipotesi “l’attribuzione alle Regioni” si legge nella sentenza “e non ai Comuni, della competenza a individuare i limiti distanziali applicabili all’attività di spandimento dei fanghi è dovuta al fatto che il legislatore statale vuole far sì che la materia trovi una disciplina uniforme, perlomeno a livello regionale, onde evitare che la suddetta attività (da incoraggiare, in quanto volta al recupero di un rifiuto) venga ingiustificatamente ostacolata per interessi particolaristici”. Pertanto, prosegue il giudice amministrativo, “i Comuni risultano privi di potestà in materia di spandimento dei fanghi biologici in agricoltura, fatto salvo il potere di sanzionare la violazione delle disposizioni regolamentari preventivamente stabilite dalla Regione, ove queste si sostanzino in violazioni della normativa in materia di igiene”.

Sotto questo profilo il ricorso è stato quindi accolto, con conseguente annullamento dello strumento urbanistico comunale, ma solo nella parte riguardante l’ampiezza della fascia entro la quale è vietata l’attività di spandimento fanghi a fini agronomici.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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