“Pronti per il 55%”? L’obiettivo climatico dell’UE e gli strumenti per raggiungerlo

28 Gen 2022 | focus, articoli, contributi, in evidenza 3, green new deal

di Dario Bevilacqua

  1. Introduzione

Con una nuova Comunicazione della Commissione[i], l’Unione europea compie un ulteriore passo avanti nell’ambizioso percorso verso lo sviluppo e l’attuazione del Green New Deal. L’obiettivo è chiaro e definito: ridurre le emissioni nette di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050.

Come specifica la stessa Commissione, “questi obiettivi non sono più aspirazioni o ambizioni, ma obblighi sanciti dalla prima normativa europea sul clima, che crea nuove opportunità per l’innovazione, gli investimenti e l’occupazione” (p. 1). Si registra, quindi, una novità importante: il GND si appresta a entrare nel vivo, traducendo una serie di progetti, programmazioni, piani e orientamenti politici in norme, obblighi e atti vincolanti[ii]. Ciò accadrà non solo con la cosiddetta “legge sul clima”[iii], richiamata dalla Comunicazione in parola come uno degli strumenti attuativi del programma di transizione ecologica, ma anche con una serie di proposte di nuovi atti legislativi e di modifica di alcuni esistenti che mirano a dare esecuzione concreta al programma del GND.

Si tratta quindi di un “pacchetto di proposte” che la Commissione ha presentato in occasione di una riunione informale a Consiglio e Parlamento e che ora sarà oggetto di discussione all’interno delle due istituzioni, che dovranno tradurre obiettivi e linee guida in norme vincolanti.

Tra le varie proposte esplicitate in “Fit for 55%” si devono menzionare:

  • una revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (EU ETS), che comprende la sua estensione al trasporto marittimo, la revisione delle norme sulle emissioni del trasporto aereo e l’istituzione di un sistema di scambio di quote di emissione distinto per il trasporto stradale e l’edilizia;
  • una revisione del regolamento sulla condivisione degli sforzi che disciplina gli obiettivi di riduzione degli Stati membri nei settori non compresi nell’EU ETS;
  • una revisione del regolamento relativo all’inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti dall’uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura;
  • una revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili;
  • una rifusione della direttiva sull’efficienza energetica;
  • una revisione della direttiva sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi;
  • una modifica del regolamento che stabilisce le norme sulle emissioni di CO2di autovetture e furgoni;
  • una revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici;
  • un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere;
  • un fondo sociale per il clima;
  • una strategia forestale dell’UE.

Al di là delle singole proposte contenute e descritte nella Comunicazione della Commissione, quest’ultima mette in evidenza tre aspetti di particolare interesse.

Il primo concerne il punto di riferimento valoriale delle politiche europee sul GND. Come si legge nelle pagine del testo in commento, quest’ultimo si richiama al principio della solidarietà, a conferma della teoria che vede in quest’ultimo il fondamento del diritto alla tutela ambientale[iv]. Nondimeno, nel disegno della transizione ecologica, il principio solidaristico è bilanciato – in un difficile e ambizioso progetto regolatorio – con gli obiettivi della competitività e della crescita.

In secondo luogo, vista l’ingente somma di investimenti pubblici destinati a convertire le attività economiche alla sostenibilità e alla lotta al cambiamento climatico, si conferma altresì l’approccio dello “Stato promotore”[v], in cui le istituzioni pubbliche incidono in modo rilevante su scelte, iniziative e attività economiche private, indirizzandole verso un percorso orientato alla tutela ambientale. Il GND, quindi, dà nuovo vigore all’interpretazione del 3° comma dell’art. 41 della Costituzione[vi] secondo cui l’intervento pubblico in economia può e deve essere intrusivo e condizionante, includendo programmi e controlli e indirizzando e coordinando le attività private a “fini sociali” determinati da strutture pubbliche.

Infine, seppur con riflessi meno importanti sotto il profilo strettamente giuridico, con la strategia “Fit for 55%” l’Ue mira a costituire un punto di riferimento e un modello di transizione ecologica anche per il resto del mondo. Le aspettative di successo del Vecchio Continente, se portate a termine, possono dar vita a un percorso di sviluppo orizzontale e transnazionale del GND, con l’Europa a fare da pioniere.

  1. Il GND tra solidarietà e competitività

Secondo la visione del GND la salvaguardia dell’ambiente non è più solo il fine di politiche pubbliche di tutela, ma è anche il mezzo con cui attori pubblici e privati possono creare una nuova ricchezza che sia anche sostenibile[vii], quindi in grado di tutelare l’ambiente e favorire sviluppo ed equità sociale.

La centralità dell’ambiente non si pone più in contrapposizione dialettica con le prerogative della crescita economica, ma ne diviene lo strumento fondamentale. Nell’idea del GND c’è quindi l’ambizione di superare la dialettica con cui hanno sempre dovuto fare i conti regolatori e policy-makers, costretti a scegliere tra crescita e tutela dell’ecosistema o ad accontentarsi di un compromesso che combinasse i due interessi in gioco. L’ambiente come motore della crescita costituisce un percorso che annovera, tra le finalità delle politiche pubbliche “verdi”, anche il benessere economico-sociale. Di più, le misure contenute nei documenti che sino a oggi compongono il Green Deal europeo contengono anche riferimenti alla redistribuzione della ricchezza, alla lotta alla povertà, al rafforzamento dell’uguaglianza: le policy che tutelano l’ambiente devono quindi muoversi secondo un disegno che, mediante attività ecologicamente compatibili, conduca a un nuovo sviluppo che non coincida con la mera crescita economica, ma che importi anche misure di equità sociale.

Ne consegue che la declinazione del GND è coerente con la ricostruzione interpretativa che individua nel principio fondamentale della solidarietà la base giuridica costituzionale della tutela dell’ambiente[viii]. Mutuando questa lettura, infatti, si può dire che il GND si colloca tra i doveri di solidarietà e costituisce un presupposto per la realizzazione del programma costituzionale relativo allo sviluppo della persona umana, riferibile ovviamente anche all’ambiente di vita dell’uomo, secondo una prospettiva che non richiama la categoria del (preteso) diritto all’ambiente, ma la tutela, espressione connotata dalla doverosità della funzione da esercitare, indicante un comportamento doveroso di tutti i soggetti dell’ordinamento, tanto pubblici che privati[ix].

Tale presupposto produce due conseguenze, di segno opposto, ancorché collegate tra loro: da un lato il GND diviene opportunità, valore fondamentale su cui si basano incentivi e investimenti pubblici a tutela dell’ambiente per produrre maggiore ricchezza e incrementare lo sviluppo e il benessere (qui il dovere di solidarietà è in capo allo Stato e alle istituzioni pubbliche, anche sovra-nazionali, che devono promuovere siffatte opportunità); dall’altro esso si conferma limite, inteso come dovere che restringe le libertà individuali – di tutti i soggetti dell’ordinamento – per realizzare obiettivi di solidarietà e maggiore equità (in tal caso invece il dovere di solidarietà pesa sulle spalle dei privati, siano essi individui o aggregazioni sociali, chiamati a non danneggiare l’ecosistema e a contribuire a uno sviluppo sostenibile).

Il principio di solidarietà[x] di cui all’articolo 2 della nostra Costituzione si allaccia e va a dare forza di principio fondamentale al diritto alla tutela dell’ambiente, imponendo doveri ulteriori in capo a diversi soggetti (pubblici e privati), secondo una visione di reciprocità che prende in considerazione i rapporti tra autorità nazionali e cittadini, tra gli Stati membri, tra Stati e Ue, tra privati, in ambito domestico e transnazionale. Questo approccio è presente anche nel GND e lo si rinviene nella Comunicazione “Fit for 55%”, “dalla condivisione degli sforzi per raggiungere gli obiettivi climatici, cui gli Stati membri contribuiscono in funzione della loro ricchezza relativa, fino alla considerazione riservata alle loro diverse capacità in sede di distribuzione dei proventi e all’eliminazione delle disuguaglianze all’interno di ciascuno Stato membro”[xi].

Il testo in commento lo dichiara in modo esplicito: “la solidarietà è un principio fondante del Green Deal europeo; solidarietà tra generazioni, tra Stati membri, tra regioni, tra zone rurali e urbane e tra diverse componenti della società, come esemplificato dal meccanismo per una transizione giusta e da una serie di altri strumenti messi a punto a livello dell’UE negli ultimi anni. Per raggiungere la neutralità climatica è necessario aderire a un obiettivo comune, effettuare sforzi collettivi e riconoscere i diversi punti di partenza e le diverse sfide da affrontare”[xii].

La Commissione riconosce quindi la necessità dei sacrifici e degli sforzi comuni per raggiungere gli obiettivi del GND e insiste sul lato dei doveri condivisi. Al contempo, nel medesimo documento richiama la solidarietà sotto il profilo del sostegno e dell’incentivo pubblico proveniente dall’Unione, per esempio con il “nuovo Fondo sociale per il clima [che] fornirà finanziamenti specifici agli Stati membri per sostenere i cittadini europei più colpiti o a rischio di povertà energetica o di mobilità, al fine di accompagnare l’introduzione dello scambio di quote di emissioni nel settore dei trasporti stradali e dell’edilizia” e “consentirà agli Stati membri di sostenere le famiglie vulnerabili a reddito medio e basso, gli utenti dei trasporti e le microimprese che soffrono le ripercussioni dall’estensione dello scambio di quote di emissioni all’edilizia e ai trasporti”[xiii].

Al binomio incentivi/doveri che va a comporre il principio di solidarietà su cui si fonda il GND, la Commissione aggiunge un ulteriore elemento fondamentale, quello della “competitività”: l’idea è che i cambiamenti sistemici che interesseranno l’economia – e che si ritrovano nelle varie proposte contenute nel pacchetto descritto dalla Comunicazione in parola – produrranno un’accelerazione sul piano della produzione, dell’innovazione e dell’efficienza economica, rendendo quindi competitive e redditizie le attività coerenti con la transizione ecologica[xiv].

Il rilancio di un’economia climaticamente neutra e al contempo innovativa e competitiva viene portato avanti con strumenti diversi, nei vari settori su cui si concentrano le proposte presentate nella Comunicazione “Fit for 55%”. Ad esempio, il sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’UE (EU ETS), che verrebbe rafforzato e applicato a settori in cui attualmente non si registrano riduzioni soddisfacenti delle emissioni, viene usato non solo per contrastare l’inquinamento, ma anche per reperire fondi da investire nell’innovazione e nelle scelte economiche[xv]. Ancora, in tal senso, e per favorire l’innovazione e creare posti di lavoro, il Fondo per l’innovazione metterà a disposizione più finanziamenti a favore di infrastrutture e progetti innovativi tesi a decarbonizzare l’industria, favorendone la crescita[xvi]. Oltre a quelli appena citati, i progetti contenuti nel testo sono numerosi e riguardano tutti la scelta di concentrare le attività pubbliche sul duplice obiettivo di indirizzare le scelte economiche verso modelli eco-compatibili e, contestualmente, in grado di rilanciare la crescita.

Riguardo a tale ultimo aspetto, appare evidente la difficoltà di trovare un incontro tra il pilastro della solidarietà – composto da interventi pubblici nell’economia, sia di natura incentivante, sia limitanti – e quello della competitività, che negli ultimi decenni si è sempre basato sugli effetti benefici della concorrenza ad armi pari, della libertà di movimento di beni, servizi e capitali, degli scambi commerciali senza restrizioni. La soluzione individuata dalla Commissione va cercata proprio nell’idea dello Stato promotore, che mira a dare vita a interventi pubblici che, incentivando, rilanciando e innovando le attività economiche, possano produrre ricchezza ed efficienza, anche a fronte di una riduzione delle libertà di scelta degli attori privati. Sul tema si dirà subito, nel prossimo paragrafo.

 

  1. Stato e mercato: la promozione dei nuovi fini sociali nell’economia

Nella Comunicazione in esame si legge: “gli investimenti in un’economia a basse emissioni di carbonio possono dare una spinta a crescita economica e occupazione, accelerare la transizione verso l’energia pulita, aumentare la competitività a lungo termine e ripercuotersi positivamente sulla ripresa verde”. In seguito, la Commissione specifica che “il 30 % dei programmi del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 è inteso a sostenere l’azione per il clima […]. L’obiettivo di destinare il 35 % dei finanziamenti per la ricerca e l’innovazione nell’ambito di Orizzonte Europa a investimenti verdi e i vari partenariati e le missioni del programma offrono le risorse necessarie per forgiare soluzioni sostenibili e innovative per la transizione verde”[xvii]. Attori di questo approccio sono sia gli Stati, chiamati a sfruttare le risorse del “Piano per la ripresa e la resilienza”[xviii] con misure che contribuiscono alla transizione ecologica, sia l’Unione, che deve continuare a stimolare gli investimenti in questa direzione.

Le proposte del pacchetto “Pronti per il 55%” contengono strumenti finanziari a sostegno di una transizione equa e basati sulle entrate generate dall’estensione e dal rafforzamento dello scambio di quote di emissioni[xix]. Il testo in esame conferma quindi un importante approccio regolatorio, proprio del GND, che è stato in più occasioni tradotto con l’espressione “Stato promotore” e che consiste in un intervento significativo e intrusivo da parte delle autorità pubbliche nelle attività economiche private, che condiziona le scelte degli operatori, orienta determinate attività, predefinisce obiettivi e strategie e altera quegli equilibri che sino a pochi anni fa si pensava dovessero essere lasciati esclusivamente alle dinamiche dei mercati[xx].

A tal riguardo, il settore ambientale certifica uno snodo problematico particolarmente attuale, che rende necessario un intervento pubblico nell’economia non limitato ai compiti dello Stato regolatore e dello Stato garante dei diritti, ma che si estende ad azioni proprie dello “Stato ‘protettore’, dello Stato ‘garante’, dello Stato ‘promotore’ della crescita e dell’innovazione, dello Stato ‘investitore’ o ‘finanziatore’, dello Stato ‘imprenditore’ o ‘gestore’, dello Stato ‘salvatore’”[xxi].

Emerge quindi, anche nel settore ambientale, un cambio di paradigma nell’approccio regolatorio, che individua come necessario e inevitabile l’intervento pubblico per correggere la market failure dell’inquinamento, ossia l’incapacità dell’attuale sistema economico di evitare o ridurre in modo significativo le esternalità negative che danneggiano la natura. Nondimeno, questo difetto del sistema convive con un’opportunità, anch’essa prodotta dalle dinamiche del mercato: continuare a sfruttare la competitività, la libera concorrenza e la ricerca del profitto ma seguendo un indirizzo strategico in grado di produrre ricchezza senza danneggiare l’ambiente. Per centrare tale connubio, esemplificato dall’idea della transizione ecologica, occorre comunque l’intervento pubblico. Quest’ultimo, tuttavia, presenta caratteri di novità: pur essendo intrusivo e condizionante non si limita a vietare e punire e pur affidando al mercato e all’intrapresa privata il compito di “salvare” l’ambiente, impone comunque limiti considerevoli alle libertà economiche.

Negli ultimi decenni il dibattito sulla dialettica tra regolazione e mercato è cresciuto molto, concentrandosi sui limiti alle attività delle amministrazioni, sui nuovi modelli di public management e sull’Analisi di Impatto della Regolazione (AIR)[xxii]. Nella produzione scientifica più recente è sempre prevalsa la tesi che propende per un modello market-oriented[xxiii], che ritiene che sia il “regolatore” a causare più danni di quelli che vorrebbe correggere con il suo intervento, seguendo l’idea secondo cui un’intrapresa economica con pochi limiti e restrizioni sia in grado di migliorare le condizioni di vita delle persone e di incrementare il benessere. Di qui, l’efficienza dei mercati non solo è capace di dare risposte sociali, ma anche di risolvere le contraddizioni ambientali e di abbattere le gerarchie attraverso lo sviluppo della rete e dell’economia della conoscenza. Secondo tale impostazione, quindi, in molti casi l’intervento pubblico non è necessario. E quando è proprio indispensabile deve comunque essere minimo, leggero, poco intrusivo o magari diretto solo a favorire la concorrenza e a evitare l’inefficienza monopolistica. Secondo tale idea vi sono numerosi settori in cui il mercato e la competizione tra gli operatori sono sufficienti, se accompagnati da pochi correttivi, a produrre benefici diffusi e sviluppo.

Con il GND la prospettiva muta: è sempre il mercato e sono sempre le scelte economiche che possono produrre nuovo benessere, ma queste – inter alia – vanno indirizzate verso determinati fini, ritenuti prioritari e non più procrastinabili, che le dinamiche economiche non riuscirebbero, da sole, a proteggere. Di qui, occorre un intervento pubblico che non si limiti a garantire la concorrenza, il rispetto delle norme, la tutela dell’eguaglianza formale e che ammetta solo come eccezione, da motivare e giustificare, la difesa di interessi sottoprotetti. Secondo la nuova visione le misure pubbliche stabiliscono i fini, elaborano programmi, predispongono incentivi, investono direttamente, fino a sostituirsi alle imprese private.

A riguardo, si può nuovamente aggiornare l’interpretazione dell’art. 41 della Costituzione e dell’istituto della “programmazione”, sino a oggi condizionata, secondo autorevole dottrina, dalla partecipazione dell’Italia all’ordinamento dell’Ue. Prima della rivoluzione del GND il terzo comma dell’art. 41 Cost., concernente la regolazione dell’attività commerciale mediante programmazione con l’obiettivo di indirizzarla a fini sociali, era da molti considerato come un sistema inattuato e non più attuale, giacché i piani e i programmi previsti ad esempio dalla legge 11 giugno 1971, n. 426, non hanno mai trovato vera applicazione[xxiv] e sarebbero stati in conflitto con i principi del diritto dell’Unione europea. Conforme a tale lettura è la visione dello stesso art. 41 per cui, tenendo conto di tutti e tre i commi, “risulta evidente da un lato come la programmazione non possa essere onnicomprensiva, nemmeno sotto un profilo di indirizzo, atteso che altrimenti si entrerebbe in contrasto con il primo comma, che sancisce invece, come valore primario, la libertà di iniziativa economica privata; dall’altro, e per conseguenza, che l’intervento programmatico e di controllo sia ammesso solo davanti a specificità concrete di fini sociali che necessitano tutela”[xxv]. A conferma, vi è chi ha notato come la formula “fini sociali” possa essere considerata “anodina, neutra, tale da non escludere che all’interno dei «fini» medesimi possa celarsi la libera concorrenza come “fine sociale» tout court, ovvero come «principio-mezzo» per il raggiungimento di quei fini sociali, che di tempo in tempo la volontà politica del legislatore ordinario ritenga di individuare e preferire”[xxvi].

Con il nuovo approccio del GND è la stessa Unione europea ad avviare, impostare e predefinire la programmazione e la pianificazione economica, secondo il “fine sociale” della tutela ambientale, ancorché accompagnato e strettamente connesso con quelli della crescita economica e della diffusione di benessere e sviluppo. E se gli obiettivi, come sottolineato supra, sono comunque sia di tutela sia di promozione e incentivo della competitività, si conferma il ruolo centrale delle autorità pubbliche, chiamate a intervenire, a promuovere, a finanziare e financo a sostituirsi alle imprese nell’attività economica finalizzata a proteggere l’ambiente.

  1. L’Ue e il resto del mondo: l’efficacia orizzontale del GND

L’ultimo tema evidenziato dalla Comunicazione in commento ha una valenza giuridica meno evidente e cionondimeno ha una sua importanza sotto il profilo politico, strategico e programmatorio. Infatti, l’Unione europea – consapevole del fatto che il percorso verso la neutralità climatica è da un lato necessariamente globale e da condividere con i Paesi extra-Ue, dall’altro privo di strumenti coercitivi efficaci su una scala così vasta ed eterogenea –, si propone di indicare e rendere nota al mondo la via da percorrere per una transizione ecologica che produca ricchezza e benessere. Di qui, l’obiettivo strategico delle politiche unionali è prevalentemente quello dell’esempio virtuoso, quindi della condivisione e della “globalizzazione” delle buone pratiche.

Ma vi è di più. Come strumento per convincere le altre nazioni, infatti, la Commissione propone un meccanismo di “adeguamento del carbonio alle frontiere” che introduce una dinamica di mercato a tutela dell’ambiente, spingendo i settori interessati ad ammodernarsi per divenire ecologicamente compatibili. Il meccanismo, che verrà introdotto gradualmente e solo per alcuni beni, prevede che i prodotti nazionali e quelli importati pagheranno per il carbonio lo stesso prezzo. Con tale proposta, non discriminatoria e compatibile con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, ci si appresta alla graduale eliminazione delle quote gratuite al fine di indurre le industrie dell’UE e straniere all’innovazione e alla riduzione delle emissioni. E indipendentemente dal luogo d’origine saranno le imprese più virtuose a beneficiare maggiormente del nuovo sistema[xxvii].

Si tratta di una proposta interessante anche sotto il profilo della regolazione pubblica su scala globale, che si sviluppa mediante un percorso orizzontale e transnazionale, perché tramite una misura di natura domestica si condizionano le scelte regolatorie di autorità pubbliche nazionali di altri Stati.

  1. Conclusioni

La Comunicazione “Pronti per il 55%” segna un cambio di passo e, al tempo stesso, un’evoluzione in continuum con le misure sin qui adottate per la realizzazione del Green New Deal nel continente.

Con riferimento al primo aspetto, la novità consiste nella fase attuativa del GND, più propriamente giuridica, che, entrando nel vivo, dà vita a modifiche legislative e all’introduzione di atti normativi vincolanti che mirano a dare esecuzione alla programmazione messa in piedi dall’Ue dal 2019.

In merito alle conferme della visione contenuta nei primi atti del European Green Deal[xxviii], si registra una concezione della tutela dell’ambiente fondata sul principio di solidarietà e combinata con l’obiettivo della competitività. Ciò comporta maggiori doveri e restrizioni, ma anche nuove opportunità, che passano prevalentemente dall’impegno delle istituzioni unionali. Grazie a queste, in secondo luogo, si afferma sempre di più il modello dello Stato promotore, in cui i poteri pubblici indirizzano, guidano e talvolta prendono il posto degli operatori economici per perseguire i fini sociali della tutela ambientale e della neutralità climatica. Ciò conferma un cambio di paradigma nell’approccio regolatorio, che vede una cospicua e condizionante presenza del pubblico all’interno delle attività economiche private. Infine, il progetto di transizione ecologica mostra un’aspirazione mondiale, non ristretta alla sola area europea, per cui i progressi che l’Ue sarà in grado di raggiungere potranno (secondo gli auspici della Commissione) essere esportati e trapiantati anche in altri Paesi, in modo da condurre questi ultimi sullo stesso percorso virtuoso.

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Bevilacqua – Pronti per il 55

[i] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Pronti per il 55%: realizzare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 lungo il cammino verso la neutralità climatica, Bruxelles, 14.7.2021 COM(2021) 550 final, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52021DC0550&from=HR.

[ii] Già in precedenza, in questo focus sul GND è stato rilevato che questi primi atti del GND hanno carattere prevalentemente programmatorio, con una forte componente politica e un’ancora troppo debole componente normativo-giuridica: “anche in questo caso, come per molte altre misure relative all’attuazione del GND, si è proceduto con un programma di azione. Quest’ultimo, contenuto in una Comunicazione della Commissione, quindi un atto non vincolante, contiene sia gli obiettivi e le finalità da perseguire, sia una sommaria descrizione degli strumenti che si intendono adoperare. Il testo ha natura di programmazione e non ha efficacia prescrittiva, pur provando a entrare nei dettagli in alcuni passaggi” (https://rgaonline.it/article/la-nuova-strategia-europea-per-le-foreste-un-modello-di-regolazione-del-gnd/).

[iii] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32021R1119.

[iv] F. Fracchia, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Dir. ec., 2002, p. 215 e ss.; G. Grasso, Solidarietà ambientale e sviluppo sostenibile tra Costituzioni nazionali, Carta dei diritti e progetto di Costituzione europea, in Politica del diritto, 2003, p. 581 ss. e P. Dell’Anno, La tutela dell’ambiente come “materia” e come valore costituzionale di solidarietà e di elevata protezione, in Amb. Svil., 2009, passim

[v] Per un approfondimento si veda F. Bassanini, G. Napolitano e L. Torchia (a cura di), Lo Stato promotore. Come cambia l’intervento pubblico nell’economia, Bologna, Il Mulino, 2021. Con riferimento al GND, il tema è stato già trattato, seppur con rapidi accenni, in questo focus: https://rgaonline.it/article/il-green-new-deal-gnd-e-la-regolazione-pubblica/.

[vi] “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”

[vii] Si tratta, come già evidenziato in questo focus (https://rgaonline.it/article/lo-sviluppo-sostenibile-e-il-green-new-deal-tratti-comuni-differenze-problematiche/), di una naturale evoluzione del principio dello sviluppo sostenibile. Quest’ultimo – che si basa appunto sul principio solidaristico, soprattutto secondo uno schema inter-generazionale, perché intende promuovere lo sviluppo della generazione presente senza compromettere quello delle generazioni future – compare in numerosi testi normativi di matrice internazionale, sovranazionale e domestica. Si veda, ad esempio, la Rio Declaration adottata dalla Conferenza internazionale delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED) del 1992 e l’UN Doc. A/57/329, New Delhi Declaration of Principles of International Law Relating to Sustainable Development, del 31 Agosto 2002, ove è riconosciuto come principio di diritto internazionale. Da citare, inoltre, il Preambolo dei Marrakech Agreements, che hanno istituito la WTO, ove esso è considerato uno degli obiettivi fondamentali dell’Organizzazione (https://www.wto.org/english/docs_e/legal_e/04-wto_e.htm). In ambito nazionale, si possono poi menzionare l’art. 34 (Criteri di sostenibilità energetica e ambientale) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Nuovo Codice Appalti”); il d.lgs. n. 152/2006, cosiddetto “Codice dell’ambiente”, in varie disposizioni. A livello europeo, tra i tanti atti legislativi si può citare la Direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, che facendo seguito alla Direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico nell’edilizia, stabilisce che, entro il 31 Dicembre 2020, tutti gli edifici di nuova costruzione siano edifici a energia quasi zero.

[viii] Sul tema si rinvia agli autori già citati supra, in nota iv.

[ix] In tal senso P. Dell’Anno, La tutela dell’ambiente, cit.

[x] Sul principio di solidarietà si veda, per tutti, S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma, Laterza, 2014.

[xi] Comunicazione Pronti per il 55%, cit., p. 5

[xii] Ibidem.

[xiii] Ibidem, pp. 5-6.

[xiv] “La transizione verde offre un gran numero di opportunità all’industria dell’UE, che può essere d’esempio al resto del mondo in termini di sviluppo dei mercati per le tecnologie e i prodotti puliti e creazione di posti di lavoro qualificati, sostenibili e locali nell’Unione. Il settore industriale dell’UE è pronto a investire, ma per farlo esige prevedibilità, un quadro normativo coerente, accesso alle infrastrutture e sostegno all’innovazione. Se da un lato il pacchetto impone all’industria nuovi obblighi di decarbonizzazione dei processi di produzione, dall’altro contempla anche meccanismi che favoriranno la diffusione di nuove tecnologie”, Ibidem, p. 7.

[xv] Ibidem, p. 7.

[xvi] Ibidem, pp. 7-8.

[xvii] Ibidem, p. 13.

[xviii] https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_it.

[xix] Comunicazione Pronti per il 55%, cit., p. 14.

[xx] “Con il declino della ideologica (o ingenua) fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi è venuta crescendo, tuttavia, anche la domanda di politiche pubbliche di intervento non solo sul contesto, ma anche di diretto supporto all’economia di mercato e di contrasto o rimedio ai suoi fallimenti. Dove la parola politica industriale era divenuta quasi una bestemmia (come in Italia), se ne è riscoperta dunque la legittimità e la necessità. Dove era sempre stata praticata, ancorché senza enfasi e quasi sottovoce (come in Francia o in Germania), è ritornata ad essere oggetto di programmi politici e di aperti confronti nel merito. Anche i Paesi anglosassoni, del resto, in teoria paladini dell’approccio liberista, non hanno mancato di ricorrere all’intervento decisivo dello Stato di fronte ai fallimenti del mercato emersi nella crisi economico-finanziaria e di fronte alle sfide della competizione internazionale”, F. Bassanini, G. Napolitano e L. Torchia (a cura di), Lo Stato promotore, cit., Introduzione, p. 3.

[xxi] Ibidem, p. 5.

[xxii] Su questi temi, si vedano, ex multis, S. Cassese (a cura di), La nuova costituzione economica, Roma, Laterza, 2021, pp. 23 e ss. e 397 ss.; C. Pollitt and G. Bouckaert, Public Management Reform. A Comparative Analysis—New Public Management, Governance, and the Neo-Weberian State, 3rd ed., Oxford, Oxford University Press, 2011; M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2007; P.F. Lotito e O. Roselli, Il commercio tra regolazione giuridica e rilancio economico, Torino, Giappichelli, 2012; M. Cafagno e F. Manganaro (a cura di), L’intervento pubblico nell’economia, contenuto nella collata A 150 Anni dall’unificazione amministrativa Italiana – STUDI, a cura di Leonardo Ferrara e Domenico Sorace, Vol. V, Firenze University Press, 2016. In tema di AIR – ossia l’obbligo che ogni istituzione pubblica con funzioni di regolazione svolga una valutazione analitica e dettagliata dell’impatto della politica da adottare sui destinatari – si veda C.M. Radaelli (a cura di), AIR. L’analisi di impatto della regolazione in prospettiva comparata, Dipartimento della funzione pubblica – Presidenza del Consiglio dei ministri, Analisi e strumenti per l’innovazione, Catanzaro, Rubettino, 2001 e l’osservatorio sull’AIR disponibile sul sito dell’Istituto di Ricerca sulla Pubblica Amministrazione:  http://www.irpa.eu/tag/osservatorio-air/

[xxiii] Su questo orientamento, di natura scientifica e socio-culturale, si rinvia a M. Mazzucato, in Lo Stato innovatore, Roma, Laterza, 2014, p. 24 ss. e letteratura ivi indicata

[xxiv] A. Orlando, Il Commercio, in Cassese, S. (sotto la direzione di), Trattato di diritto amministrativo, Parte speciale, 2003, p. 3548 ss.

[xxv] B. Libonati, in AA.VV., Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, cit., p. 128.

[xxvi] M. Draghi, in Ibidem, p. 90. In tal senso si veda altresì F. Cintioli, Commercio e liberalizzazione, in Lotito, P.F. (a cura di), Il commercio tra regolazione giuridica e rilancio economico, Torino, Giappichelli, 2012, p. 93, secondo cui il d. lgs. n. 114/1998 che disciplina il commercio e ha sostituito la l. n. 426/1971, mira alla liberalizzazione dei traffici commerciali, al decentramento dei poteri e alla semplificazione procedurale a favore della libertà di impresa; e si avvale “di un convergente indirizzo dell’ordinamento comunitario a sostegno della libera circolazione delle merci e della libertà di concorrenza”. Analogamente M. D’Alberti, M., La tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in Dir. amm., 2004, ha notato, a p. 171 ss. come negli ultimi decenni la regolazione “tent[i] di garantire i mercati ancor prima dei mercanti, ancorché con l’idea di non lasciare privi di tutela «alcuni aspetti “sociali», come le esigenze dei consumatori”.

[xxvii] Comunicazione Pronti per il 55%, cit., p. 16.

[xxviii] EU, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. The European Green Deal, Brussels, 11 dicembre 2019, COM (2019) 640, in https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/european-green-deal-communication_en.pdf.

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