di Ginevra Ripa
Corte di Cassazione Penale, Sez. III – 15 luglio 2021 (dep. 18 ottobre 2021), n. 37601 – Pres. Galterio, Est. Liberati – ric. F.A., L.P.L.
In tema di individuazione del dies a quo del termine di prescrizione del reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 3, la Corte di Cassazione afferma che la permanenza cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell’autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area, o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado; al di fuori di tali ipotesi, in capo al gestore permangono gli obblighi previsti dalla legge, anche in caso di mutamento dell’organo amministrativo.
- La vicenda oggetto del procedimento e i motivi di ricorso
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in merito a doglianze relative all’individuazione del termine di prescrizione del reato di realizzazione di discarica abusiva ai sensi dell’art. 256, comma 3, D.Lgs. 152/2006, stabilendo inoltre, a partire da tale questione, alcuni principi in tema di mutamento dell’organo amministrativo sociale e obblighi del gestore della discarica.
Sintetizzando una vicenda processuale lunga e complessa, la Corte di Appello di Brescia ha condannato gli imputati in relazione a tre contestazioni del reato di realizzazione di discarica abusiva di rifiuti speciali non pericolosi provenienti da lavori di scavo e di realizzazione di una galleria stradale, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, rideterminando le pene irrogate in primo grado in sette mesi di arresto e 3.500,00 € di ammenda per il primo e in un anno e quattro mesi di arresto e 12.500,00 € di ammenda il secondo, a seguito della declaratoria di non doversi procedere relativa ad una di tali contestazioni, essendosi il reato estinto per prescrizione.
I due imputati erano rispettivamente Presidente del Consiglio di Amministratore e legale rappresentante della società L. G. S.p.a. che aveva sottoscritto il contratto di appalto per la costruzione della galleria stradale da cui erano derivati i materiali da scavo all’origine della imputazione penale.
Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, con censure sovrapponibili e riconducibili alla individuazione del momento di cessazione della permanenza del reato contestato e alla conseguente estinzione per prescrizione dello stesso. In particolare, essi hanno lamentato il vizio della motivazione e l’errata applicazione dell’art. 158 c.p., con riferimento alla individuazione del termine da cui deve decorrere la cessazione della condotta esigibile in capo agli imputati e quindi la mancata pronuncia di estinzione del reato per prescrizione prima della sentenza del primo grado di giudizio, sul presupposto della sopravvenuta inesigibilità di qualsiasi condotta da parte dei ricorrenti già dalla data del sequestro del gruppo di aziende facenti capo alla L. G. S.p.a.
Nelle impugnazioni, la cessazione della permanenza di tali reati è stata individuata nella data del commissariamento della L. G. S.p.a.., in quanto, nell’ambito di altro procedimento, nei confronti di quest’ultima era stata disposta la misura cautelare di cui al D. Lgs. 231/2001, art. 45, comma 3, con conseguente affidamento del prosieguo dell’attività d’impresa, della gestione degli appalti e delle forniture pubbliche in corso al commissario incaricato. La doglianza, in altri termini, era incentrata sulla inesigibilità di fatto della condotta in capo ai due imputati, dopo che essi erano stati spogliati dei poteri gestori e non erano più autorizzati ad operare sulle aree ove si trovavano i materiali.
Inoltre, i detriti erano di proprietà della società e le aree affittate dalla medesima società; pertanto, emergevano precisi vincoli contrattuali che impedivano a soggetti terzi rispetto alla società di operare su tali aree per rimuovere i detriti e bonificarle, attività cui si era, invece, obbligata la società e non i singoli imputati personalmente.
Uno dei ricorsi ha poi evidenziato, con riguardo al commissariamento della società, come esso avesse determinato, in relazione a tutti e tre i siti interessati dalle discariche, una situazione di assoluta indisponibilità, non solo relativamente all’area, ma che si estendeva all’azienda in sé considerata, ai mezzi, agli strumenti, alla gestione operativa, alle aree utilizzate dall’impresa ai fini della propria attività.
- La decisione e le argomentazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha giudicato i ricorsi infondati, riconducendo, come anticipato, la propria valutazione alla questione relativa alla individuazione del momento di cessazione della permanenza del reato contestato ai ricorrenti, identificata nella pronuncia della sentenza di primo grado, e alla conseguente mancata estinzione per prescrizione dello stesso.
I Giudici di legittimità hanno preliminarmente ribadito i criteri di individuazione del momento di cessazione della permanenza del reato, coincidenti o con il venir meno della situazione di antigiuridicità (che può verificarsi per rilascio dell’autorizzazione amministrativa, ovvero con la rimozione dei rifiuti e con la bonifica dell’area) o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell’area, oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado.
In seconda battuta, facendo riferimento allo sviluppo processuale della vicenda (già oggetto, tra l’altro, di una precedente pronuncia della stessa Corte), la sentenza ha concentrato le proprie argomentazioni sulle vicende societarie e sul commissariamento della società interessata.
In particolare la Corte, riferendosi alla impugnata sentenza della Corte d’appello di Brescia, ne ha condiviso, con riguardo al commissariamento, la valutazione di irrilevanza sul piano della cessazione della permanenza del reato, poiché “vale a tracciare una dirimente diversità il fatto che si tratti di vicende che attengono alla sfera soggettiva, mentre il sequestro ha una ben diversa e radicale portata di carattere oggettivo”.
Parimenti condivisa è stata l’argomentazione della Corte territoriale secondo la quale, testualmente, “nulla impediva personalmente al L. (al di là che fosse o meno ancora in posizione tale da poter gestire la società che aveva dato luogo alla creazione delle discariche di OMISSIS) di provvedere a eliminare la situazione antigiuridica venutasi a creare in quei siti a seguito della propria condotta, e altrettanto dicasi per il F., visto che (come si avrà modo di evidenziare) anch’egli ha avuto parte nella gestione di quelle discariche”.
Secondo la Corte di Cassazione, il commissariamento di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 45, comma 3, nel caso di specie non aveva incluso l’obbligo di provvedere alla fase “post-operativa” di gestione delle discariche tra gli incarichi assunti dal commissario giudiziale, il quale avrebbe dovuto proseguire l’attività d’impresa solo con la gestione di appalti e forniture pubbliche in corso, nonché adottare l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli verificatisi (ambientali).
Di conseguenza, la sentenza in commento ha insistito sul carattere personale dell’obbligo di provvedere alla fase post operativa di gestione di una discarica, che grava, secondo tale argomentazione, su chi l’ha realizzata e gestita e ha pertanto anche l’obbligo di provvedere a tutte le fasi successive; tale obbligo non viene intaccato dal mero mutamento dell’organo amministrativo dell’ente nel cui interesse la discarica sia stata realizzata e gestita.
La Corte di Cassazione ha inteso derivare il carattere “personale” dell’obbligo di gestione di una discarica dalla nozione di gestore di cui all’art. 2, lett. o), D. Lgs. n. 36/2003, ai sensi del quale è il “soggetto responsabile di una qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa”.
Nella pronuncia ci si è infine soffermati sulla differenza tra commissariamento e sequestro, laddove solo il secondo comporta l’apposizione di un vincolo di indisponibilità sulle aree, a cui la giurisprudenza ricollega la cessazione della permanenza del reato di gestione di discarica abusiva.
- Brevi considerazioni
La sentenza in commento sembra offrire una soluzione forse troppo semplice ad una questione complessa.
In primo luogo, infatti, giudicando la tesi difensiva relativa alla cessazione della permanenza del reato al momento del commissariamento della società, essa ha sostenuto la irrilevanza di tale mutamento dell’organo sociale, sulla base di un supposto carattere “personale” della qualifica di gestore delle discariche in capo agli imputati. Qualifica che, dunque, avrebbe dovuto prescindere o in ogni caso superare l’assunzione di cariche sociali gestionali; e ciò pur se le discariche abusive di rifiuti speciali non pericolosi contestate nelle imputazioni provenivano da lavori di scavo di una galleria stradale realizzata a seguito di sottoscrizione di un contratto di appalto dalla società L. G. S.p.a., di cui i due imputati erano rispettivamente Presidente del Consiglio di Amministratore e legale rappresentante.
Tuttavia, proprio in ragione di tali cariche, si suppone (la ricostruzione in fatto non è, sul punto, particolarmente esaustiva), è stata attribuita la qualifica di “gestore” in capo ai ricorrenti con riguardo ai materiali accumulatisi a seguito degli scavi per la realizzazione delle gallerie. Ed ancora, proprio in ragione di tali cariche gli imputati si sono trovati ad assumersi la responsabilità di una “delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa”, secondo la definizione contenuta nel D. Lgs. n. 36/2003 e richiamata dalla Corte di Cassazione.
Nel contesto descritto, lo spossessamento degli organi amministrativi precedenti in favore del commissario giudiziale – che ha carattere afflittivo – mira specificamente ad estromettere l’ente, in persona dei soggetti che vi ricoprivano cariche, dall’attività gestionale. Tale estromissione, come è stato opportunamente rammentato nel ricorso, non si estende solo all’area, ma all’azienda ex se considerata, ai mezzi, agli strumenti, alla gestione operativa, alle aree utilizzate dall’impresa ai fini della propria attività. Ne consegue una impossibilità in concreto di gestire la rimozione dei materiali accumulati, per la quale sarebbero condizioni necessarie da un lato l’apprestamento di un’area e l’attivazione di una organizzazione di persone, cose, macchine e strumenti e dall’altro una potestà di intervento, una autonomia decisionale e operativa con diretta disponibilità di mezzi, strumenti e aree. La Corte, pur evidenziando espressamente la “mancanza di impedimenti” alla realizzazione della fase post-operativa di gestione di tali materiali, non ha rilevato tuttavia alcuno spunto in concreto circa la possibilità di attuare tale pretesa condotta, eccezion fatta per “il permanere del rapporto esistente tra il L. e i suoi collaboratori e le discariche, realizzate avvalendosi quale strumento della società che lo stesso amministrava, con la conseguente irrilevanza delle successive vicende di quest’ultima inidonee a elidere detto rapporto di carattere personale”.
D’altro canto, la medesima definizione di “gestore” della discarica cui fa riferimento la Corte prevede testualmente che “tale soggetto può variare dalla fase di preparazione a quella di gestione successiva alla chiusura della discarica”; né la lettera della disposizione pare in alcun modo indicare il perdurare della qualifica sine die, a prescindere dai mutamenti del contesto che tale qualifica ha determinato.
Infine, proprio in ragione del fatto che al gestore viene attribuita una così gravosa responsabilità, sarebbe stato forse necessario soffermarsi con maggiore attenzione sulla corretta individuazione di tale figura, sulla quale poco si è indugiato nelle argomentazioni esposte e che assume invece fondamentale importanza alla luce del ragionamento condotto nella pronuncia, in quanto necessaria per poter ricondurre, in capo ad un preciso soggetto, la richiamata “posizione di garanzia” rispetto al bene giuridico tutelato, nonché, conseguentemente, al fine di individuare chi sia tenuto all’assolvimento degli oneri richiesti per la specifica attività di gestione e ascrivere le eventuali relative responsabilità.
Spesso, tuttavia, la precisa identificazione del “gestore” ai sensi della normativa ambientale non è così semplice come potrebbe sembrare dalla lettura delle motivazioni della sentenza; e ciò è ancor più vero proprio nel caso dei cantieri edili, ove la presenza contestuale di più soggetti giuridici (committenza, imprese appaltatrici e subappaltatrici, lavoratori autonomi) presenta un’articolazione estremamente complessa e dove spesso tali soggetti compaiono ed agiscono in veste di raggruppamento, nelle forme giuridiche di consorzi o società consortili, rendendo quindi ancora più arduo attribuire la qualifica di gestore ai sensi della normativa ambientale.
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ripa – nota a Cass. Sez. III, 18 ottobre 2021, n. 37601
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.