A un anno di distanza, la Romagna è di nuovo sott’acqua. I fiumi sono ancora straripati, le strade sono ancora franate. Ancora migliaia di persone sono state evacuate.
Nel maggio del 2023 un fenomeno identico aveva provocato quasi ventimila sfollati, 15 morti. In entrambi i casi, incalcolabili sono i danni all’economia e all’agricoltura della regione, oltre ai danni agli abitanti.
Poco prima del secondo disastro in Romagna, nel maggio del 2024 il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per la siccità in Sicilia dove ogni anno 117 km2 di terreno si trasformano in deserto (https://focusicilia.it/desertificazione-la-sicilia-perde-117-kmq-ogni-anno-agricoltori-in-difficolta/) e l’acqua è razionata in molti comuni (su 100 litri d’acqua immessi nella rete di distribuzione, 51,6 si perdono lungo il percorso (www.futuroprossimo.it/2024/08/siccita-in-sicilia-la-regione-senza-acqua-getta-in-mare-quella-che-ha).
In tutti questi casi, il contributo del cambiamento climatico è stato rilevante. Lo confermano gli studi di attribution science, il settore della climatologia che ne individua il contributo al verificarsi di un determinato evento (per ciò che riguarda la Sicilia, secondo il World weather attribution la siccità è stata resa il 50% più probabile dal cambiamento climatico (www.worldweatherattribution.org/climate-change-key-driver-of-extreme-drought-in-water-scarce-sicily-and-sardinia/).
Le alluvioni in Romagna e la siccità in Sicilia si sarebbero potuti evitare o quantomeno limitare?
Sì, con le necessarie opere di prevenzione e di adattamento.
Ma secondo il Rapporto di Legambientedel 2024 (utilizziamo questa fonte perché mancano documenti ufficiali in proposito), dal 2013 al 2023 sono stati spesi una media di 1,9 miliardi l’anno per riparare i danni e soltanto 330 milioni per la prevenzione con il Piano di adattamento al cambiamento climatico. Una strategia di prevenzione – conclude il Rapporto – avrebbe permesso di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni.
La prevenzione consiste soprattutto nell’individuare, finanziare e realizzare le opere di adattamento necessarie. Deve subito essere chiarito che adattamento non è solo la realizzazione di interventi di tamponamento della situazione esistente. È preparazione e trasformazione dell’assetto economico e sociale di una specifica regione per un futuro clima diverso in modo da sfruttarne le potenzialità; è elaborazione di strategie, politiche e progetti per sfruttare le opportunità più vantaggiose offerte dal clima che cambia.
Ebbene, in Italia solo nel 2015 è stata approvata una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC), con grande ritardo rispetto ad altri paesi dell’Unione europei (tra cui Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna).
La SNAC ha indicato le azioni da adottare e gli organismi preposti alla loro adozione, individuando possibili azioni e indirizzi di adattamento e ha rinviato a un piano (PNAC) per stabilire le modalità, il monitoraggio e la valutazione degli interventi e la distribuzione dei finanziamenti erogati per attuare le azioni di adattamento previste.
Ci sono voluti otto anni per approvare, nel dicembre 2023, un Piano (nel frattempo, la maggior parte dei paesi dell’Unione europei sono giunti al loro secondo Piano di adattamento).
Sembra quasi una provocazione, ma il Piano dichiara di voler rispondere “all’urgenza di dare risposta alle criticità climatiche e ai relativi impatti già riscontrati in Italia”. Non indica però le azioni e misure di adattamento da realizzare, né tantomeno i necessari finanziamenti. L’indicazione manca perché l’obiettivo del Piano è solo quello di “fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni”.
E allora, quando saranno indicate le azioni di adattamento e i relativi finanziamenti? Ecco la risposta.
L’approvazione delle modalità e degli strumenti di attuazione delle misure del PNACC – ma non ancora le concrete azioni di adattamento – è prevista entro dodici mesi dall’attuazione delle strutture di governance e dall’insediamento dell’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Secondo il PNAC l’Osservatorio avrebbe dovuto essere istituito entro tre mesi dal decreto di approvazione, quindi entro marzo 2024 (si veda Tabella 7 – Sintesi delle misure e azioni sistemiche del PNACC, pag.87).
Otto mesi sono passati e dell’Osservatorio non c’è traccia, sicché la definizione degli strumenti di attuazione delle misure di adattamento. Le concrete misure di adattamento con i relativi finanziamenti sono rimandate a un imprecisato futuro.
Si parla e si scrive molto di controversie climatiche. Ma sarebbe il caso di valutare la proposizione di una domanda di risarcimento del danno provocato agli abitanti della Romagna alluvionata e della Sicilia desertificata nei confronti dei responsabili dell’omessa adozione di misure di adattamento al cambiamento climatico, sulla base dei dati e degli studi dell’attribution science.
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