Il contenzioso climatico innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenze KlimaSeniorinnen, Duarte Agostinho e Carême) Fra ortodossia e progressi giurisprudenziali[1]

01 Ott 2024 | articoli, contributi

1 .Introduzione. Benché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) si fosse già espressa sul fatto che diversi tipi di inquinamento ambientale (acustico, atmosferico, chimico) provenienti da impianti di depurazione, di scarico, e da impianti industriali ricadessero nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 CEDU, non si era ancora pronunciata su controversie di carattere climatico. Il 9 aprile 2024, la Corte EDU si è pronunciata per la prima volta a tal riguardo unendo la causa svizzera (KlimaSeniorinnen c. Svizzera, n° 53600/20), quella portoghese (Duarte Agostinho c. Portogallo e altri 32, n° 39371/20) e quella francese (Carême c. Francia, n° 7189/20). Pur avendo giudicato irricevibili l’istanza francese e quella portoghese, essa ha comunque elaborato, nell’ambito di una sentenza di 288 pagine nella causa KlimaSeniorinnen, una serie ambiziosa di obblighi a carico degli Stati che si è ritenuto non fossero stati soddisfatti dalla Svizzera. In un primo tempo, ricorderemo i motivi che hanno portato la Corte a dichiarare irricevibili i ricorsi dei sei portoghesi nella causa Duarte Agostinho c. Portogallo. Dopodiché, commenteremo gli insegnamenti della sentenza KlimaSeniorinnen.

2. Obiezioni. Nella causa KlimaSeniorinnen, le ricorrenti – delle persone anziane e relativa associazione – ritenevano che le autorità svizzere non avessero adempito a numerosi obblighi sanciti dalla CEDU, ovvero quello di proteggere efficacemente la loro vita (articolo 2 CEDU) e quello di garantire il rispetto della loro vita privata e familiare, nonché del domicilio (articolo 8 CEDU).  

Esse si lamentavano, per altro, di non aver avuto accesso a un tribunale ai sensi dell’articolo 6 §1 CEDU per poter rivendicare i propri diritti civili.  Esse sostenevano, infine, che l’articolo 13 CEDU fosse stato violato, poiché non avevano disposto di un ricorso giudiziario effettivo per rivendicare i propri diritti derivanti dagli articoli 2 e 8 CEDU. 

Nella causa Duarte Agostinho c. Portogallo e altri 32, i ricorrenti, che erano cittadini portoghesi di età compresa tra 11 e 24 anni, adducevano la violazione dell’articolo 14 (Divieto di discriminazione) in combinato disposto con gli articoli 2 e 8, sostenendo che il riscaldamento climatico interessasse in particolare la loro generazione.A eccezione del Portogallo, i ricorrenti non rientrano nella giurisdizione degli Stati convenuti.

Infine, nella causa Carême, pur avendo ritenuto il Consiglio di Stato della Francia che il comune di Grande-Synthe avesse un interesse a ricorrere «con riguardo al suo livello di esposizione ai rischi derivanti dal fenomeno del cambiamento climatico», il ricorso del Signor Damien Carême, sindaco di tale comune, era stato rigettato come irricevibile, poiché il suo interesse appariva leso in modo troppo incerto. Invocando l’articolo 2 (Diritto alla vita) e l’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio), il ricorrente adduceva che le misure adottate dalla Francia per combattere contro il cambiamento climatico fossero insufficienti.

3. Esaurimento delle vie di ricorso. L’esaurimento delle altre vie di ricorso è una condizione preliminare richiesta dall’articolo 35 della CEDU. Nella causa Duarte Agostinho, i ricorrenti avevano intentato il proprio ricorso avverso 32 Stati facenti parte del Consiglio d’Europa, senza tuttavia aver prima intentato un ricorso innanzi a ciascuna giurisdizione nazionale. Essi sostenevano di non avere a disposizione alcuna azione appropriata in numerosi Stati convenuti, che fosse loro impossibile perseguire le autorità statali innanzi a 32 giurisdizioni e che la protezione del clima fosse troppo impellente per venire a capo delle procedure nazionali. La CEDU ha respinto il loro ricorso per un altro motivo, ovvero la mancanza di competenza extraterritoriale (cfr. infra n° 4). Per quanto concerne gli Stati convenuti non portoghesi, la Corte non ha ammesso che gli effetti extraterritoriali delle loro emissioni di GES abbiano potuto violare i loro diritti fondamentali. La questione dell’esaurimento delle vie di ricorso si poneva, quindi, solo nei confronti del Portogallo, nella misura in cui i ricorrenti rientrassero nella sua giurisdizione. A tal proposito, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti non avessero esaurito le vie di ricorso interne (§ 217 e segg.), malgrado il fatto che l’ordinamento giuridico portoghese prevedesse un «sistema completo di ricorso» e che la sua efficacia non potesse essere messa in causa (§§ 224 e 225).

4. Portata transnazionale dei diritti fondamentali. Il principio consuetudinario internazionale della territorialità della giurisdizione si oppone, in linea di massima, alla portata transnazionale dei diritti fondamentali. Nelle cause KlimaSeniorinnen e Duarte Agostinho, i ricorrenti adducevano che gli Stati convenuti avessero una competenza extraterritoriale non solo per gli effetti esterni delle emissioni nazionali di GES, ma anche per le emissioni esterne generate per via dell’importazione di prodotti fabbricati all’estero, nonché dell’esportazione di prodotti o servizi nazionali che provocano emissioni di GES all’estero. Tuttavia, il criterio territoriale che si desume dall’articolo 1 della CEDU non è adeguato ai contenziosi climatici.

Conformemente a tale disposizione, ciascuno Stato è tenuto ad assumersi, «nell’ambito della propria giurisdizione territoriale», «le proprie responsabilità in materia di cambiamento climatico» (Klima Seniorinnen, § 443, Duarte Agostinho, § 202). Malgrado le specificità della problematica (Duarte Agostinho, §§ 192 – 194), la Corte EDU ha ritenuto che tra i sei ricorrenti e gli Stati convenuti (eccetto il Portogallo) non sussista alcun legame o fattore di collegamento particolare che le permetta di ritenere che spettava agli Stati convenuti adempiere agli obblighi positivi a causa della situazione particolare dei ricorrenti (Duarte Agostinho, § 200). Per altro, il fatto che i ricorrenti siano cittadini dell’Unione Europea per via della loro nazionalità portoghese non può servire a stabilire un collegamento giurisdizionale tra essi e i ventisei Stati convenuti che sono legalmente membri dell’Unione Europea (§200). Nemmeno il fatto che le emissioni di GES abbiano effetti extraterritoriali comporta l’estensione del controllo giurisdizionale della Corte EDU. L’extraterritorialità della CEDU è quindi respinta.

Si noterà che la Corte EDU ha distinto la questione della giurisdizione da quella della responsabilità dello Stato (Duarte Agostinho, §§ 178 e 202). Essa ha riconosciuto implicitamente che uno Stato è responsabile dei propri impatti transfrontalieri. Infine, per quanto concerne la responsabilità della Svizzera per le emissioni indotte dai prodotti che vi vengono importati, la Corte EDU si è agganciata a una concezione puramente territoriale.

5. Portata del controllo giurisdizionale. Il cambiamento climatico, uno dei temi più preoccupanti della nostra epoca (§ 410), è diventato, agli occhi della Corte EDU, «una preoccupazione comune dell’umanità» (KlimaSeniorinnen, § 451).  Basandosi sulle prove scientifiche raccolte in particolare dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change – Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), essa ritiene senza mezzi termini che si tratti di «una grave minaccia per il godimento dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione» (§ 436). Ciò premesso, la giurisdizione dichiara in primo luogo di trovarsi in qualche modo bloccata tra i principi di sussidiarietà e di responsabilità condivisi, da un lato, che limitano il suo intervento giurisdizionale, in quanto non può sostituirsi, in un ordinamento democratico, al potere legislativo ed esecutivo, e il controllo della proporzionalità delle misure generali adottate dal legislatore nazionale per contrastare dei rischi che minacciano dei diritti fondamentali (§§ 411 e 412), dall’altro. Non potendo, di norma, escludere la sua competenza (§ 451), occorre operare una distinzione tra l’autonomia spettante alle autorità pubbliche nella determinazione degli obiettivi e dei mezzi per combattere contro il cambiamento climatico, giustificata nel quadro del principio della sussidiarietà, e «il controllo necessario della conformità» dell’azione pubblica con riferimento alle esigenze convenzionali (§ 412).

Per giustificare il proprio controllo, la Corte EDU ha insistito sulla dimensione intergenerazionale della problematica del cambiamento climatico, che riveste un’importanza particolare, sia per le diverse generazioni di persone attualmente viventi che per le generazioni future» (§ 420). Si ricorderà che nella sua sentenza Neubauer, la Corte costituzionale tedesca aveva tenuto conto anche del diritto delle generazioni future (BVerfG 24.03.2021 1 BvR 2656/18, 78, 96, 288/20 (Neubauer et al), BVerfGE 157, 30). Del resto, il fatto che gli interessi e le preoccupazioni a breve termine possano prevalere sul «bisogno imperioso di adottare decisioni sostenibili» giustifica ancora di più, ai suoi occhi, il controllo da parte sua dell’inattività dello Stato (§ 420). Ne consegue che il potere giudiziario è chiamato a controllare il potere legislativo (§ 412).

6. Specificità dell’interferenza dell’omissione dello Stato nei diritti fondamentali. Mentre nelle cause ambientali decise finora dalla Corte EDU l’interferenza con i diritti fondamentali è lineare (effetto dell’inquinamento atmosferico sulla salute degli abitanti, ecc.), la catena di causalità in materia di cambiamento climatico è, per contro, nettamente più complessa (§§ 415 – 422, 425, 427). Infatti, le emissioni di GES hanno come conseguenza l’aumento della temperatura, che sia a livello globale o a livello locale, il che comporta dei cambiamenti meteorologici che modificano le condizioni di vita naturali. In fine, tali cambiamenti provocano dei danni alla salute, alla proprietà, ecc. Se il nesso di causalità tra le emissioni di GES e i danni è certo, resta il fatto che è difficile prevedere in quale misura alcune persone saranno più colpite di altre. Nemmeno il carattere individuale dei diritti fondamentali è adeguato agli effetti del cambiamento climatico, dove il rischio è, per definizione, di natura collettiva.

A motivo delle differenze fondamentali con i contenziosi ambientali aventi ad oggetto ingerenze di natura lineare e localizzata ((§§ 415 – 420), la Corte EDU ritiene di essere investita «di questioni inedite» (§ 413) e che, pertanto, essa non è in grado di applicare mutatis mutandis la propria giurisprudenza anteriore alle cause climatiche che le vengono sottoposte (§ 422). Tuttavia, essa invocherà regolarmente, più avanti, le sentenze che ha pronunciato nelle cause di inquinamento e di rischi ambientali.

7. Legittimazione a ricorrere della vittima. Nella causa Carême, la Corte EDU ha ritenuto che il ricorrente non dimostrasse alcun legame pertinente con il comune di Grande Synthe e, inoltre, che non vivesse in Francia. Di conseguenza, non potrebbe beneficiare, in base ad alcuno degli elementi dell’articolo 2 o dell’articolo 8, della qualità di vittima ai fini dell’articolo 34 della Convenzione.

Nella causa KlimaSeniorinnen, le ricorrenti sostenevano che, in quanto persone anziane, erano esposte a una maggiore probabilità di soffrire di ondate di caldo. Si trattava di un’ingerenza nei loro diritti.  Ora, considerato che la cerchia delle potenziali vittime del cambiamento climatico potrebbe rivelarsi particolarmente ampia (§ 483), per la Corte EDU un’interpretazione troppo «ampia e generosa» (§ 484) della legittimazione a ricorrere rischierebbe di sfociare in un’actio popularis che non è riconosciuta nel diritto convenzionale (§ 460, 500). Un tale ampliamento della qualità di vittima potrebbe altresì far vacillare la separazione dei poteri (§ 484). 

La Corte EDU ha tradizionalmente applicato un criterio rigido in materia di qualità della vittima per ricorrere, ovvero che quest’ultima debba essere personalmente e seriamente coinvolta (Cordella c. Italia 24 giugno 2019, §§ 100-109, KlimaSeniorinnen § 487). Nella sentenza commentata, essa pone dei parametri piuttosto elevati, stimando che il «rischio reale» di un «impatto personale e diretto» sul ricorrente debba essere «particolarmente elevato» (§§ 486 – 488), il che esclude un semplice pregiudizio superficiale. Quindi, la vittima dovrebbe essere «esposta in modo intenso agli effetti del cambiamento climatico», il che implica «un bisogno imperioso di garantire la sua protezione individuale» (§ 487). Ammettendo in tal modo un’interpretazione stretta della legittimazione a ricorrere, la Corte ha concluso che le quattro ricorrenti non fossero riuscite a dimostrare che superavano la soglia di gravità richiesta. Alcune di loro non avevano prodotto elementi sufficienti a stabilire l’«impatto diretto» necessario (§§ 531-533).

Diverso è, tuttavia, il caso per la loro «associazione» che può ricorrere in virtù dell’articolo 34 della CEDU. La Corte EDU aveva già riconosciuto il fatto che un’associazione fosse legittimata a ricorrere per conto dei propri membri «esposti ad atti amministrativi particolarmente complessi» (Gorraiz Lizarraga e altri,27 aprile 2004), quand’anche non potesse assurgere a vittima, essa stessa, di una violazione della Convenzione (si vedano gli sviluppi ai §§ 473 – 477). Forte di tale giurisprudenza, essa conclude che, tenuto conto delle «considerazioni particolari relative al cambiamento climatico», un’associazione possiede, a determinate condizioni, il potere di rappresentare gli affiliati che adducano la violazione passata o futura dei propri diritti, benché tale associazione «non potrebbe assurgere essa stessa a vittima di una violazione della Convenzione» (§ 498). Tali condizioni annoverano, in particolare, quelle relative ai membri, alla rappresentatività e allo «scopo della costituzione» dell’associazione ricorrente. A ciò va aggiunto il fatto che è stata costituita ai sensi del diritto nazionale e che quest’ultimo le riconosce un locus standi (§§ 500, 523 e 524).  Ci si è appellati alla Convenzione di Aarhus, che era già stata invocata dalla Corte d’Appello di Bruxelles nella causa Klimaatzaak al fine di riconoscere l’interesse dell’associazione ricorrente. Per altro, gli insegnamenti di diritto comparato, nonché la «ripartizione intergenerazionale dello sforzo» militano in favore di una tale apertura (§§ 491 – 495, 499).

Senza tuttavia esigere che tutti i membri individuali siano vittime del cambiamento climatico, la legittimazione a ricorrere dell’associazione ambientale, il Verein KlimaSeniorinnen, in quanto rappresentante degli interessi collettivi delle persone colpite, è quindi ammessa.  La CEDU ha inoltre ampliato l’ambito della rappresentanza degli interessi collettivi.  Ciò nondimeno, essa insiste sul fatto di non essere, tuttavia, pronta ad ammettere un’azione popolare (si veda anche Asselbourg e altri c. Lussemburgo, 29 giugno 1999). È evidente che un tale sviluppo giurisprudenziale è innovativo nella misura in cui la formulazione dell’articolo 34 della CEDU subordini espressamente la legittimazione a ricorrere di un’«organizzazione non governativa o di un gruppo di privati» alla condizione che assurgano essi stessi a vittime di una violazione.

8. Dimensione sostanziale dei diritti fondamentali in materia climatica. La protezione effettiva dei diritti fondamentali implica l’adozione di obblighi positivi che possono variare considerevolmente da una causa all’altra in funzione della gravità delle conseguenze dell’ingerenza per i diritti convenzionali del ricorrente. Ciò premesso, la valutazione degli obblighi positivi a carico dello Stato si basa sull’«esistenza di un rischio che raggiunga un certo livello», e su un nesso di causalità tra tale rischio e il supposto inadempimento degli obblighi positivi (§ 438).

Mentre i diritti fondamentali alla salute e alla proprietà costituiscono dei diritti sostanziali, è difficile riconoscere un diritto al clima. Le ricorrenti avevano invocato la violazione dell’articolo 2 CEDU (Diritto alla vita). Tale disposizione venne scartata in favore dell’articolo 8 (Diritto alla vita privata), per via del fatto che le ricorrenti non configuravano un «rischio reale e imminente» per la vita (§ 531).

Per quanto riguarda l’articolo 8, la Corte EDU ha ritenuto che le ricorrenti individuali non soddisfassero i requisiti giurisprudenziali, secondo i quali le conseguenze negative subite dalle interessate devono essere caratterizzate da «un livello e una gravità particolari» e il loro stato di vulnerabilità deve dar vita a un’impellente necessità di garantire la loro protezione individuale (§ 531). Per contro, la Corte ha ammesso che le obiezioni sollevate dall’associazione ricorrente per conto delle proprie affiliate rientravano nel campo di applicazione dell’articolo 8 (§ 525).  Per quanto riguarda l’articolo 2, essa ha ritenuto che fosse più contestabile che le presunte inadempienze avessero potuto avere delle conseguenze potenzialmente mortali (§ 536).

Come è noto, l’articolo 8 si applica solo indirettamente a problematiche ambientali (Kyrtatos c. Grecia, 22 maggio 2003).  Ad ogni modo, il livello di prova richiesto è simile per queste due disposizioni. L’articolo 8 comporta degli obblighi positivi a carico degli Stati, ovvero una «protezione effettiva» della vita, della salute, del benessere delle vittime contro i «gravi effetti nefasti del cambiamento climatico» (§ 519).

Sulla base di «elementi scientifici molto preoccupanti», nonché di un «crescente consenso internazionale» sui «gravi effetti del cambiamento climatico sul godimento dei diritti dell’uomo» (§§ 436 e 456), la Corte conclude che l’articolo 8 comporta degli obblighi positivi a carico dello Stato, ovvero una «protezione effettiva» della vita, della salute, del benessere delle vittime contro i «gravi effetti nefasti del cambiamento climatico» (§ 519). Nella determinazione di tali obblighi positivi,la Corte ricorda il principio di sussidiarietà e, pertanto, il ruolo chiave assunto dalle giurisdizioni nazionali (§§ 457, 541).

9. La teoria della «goccia d’acqua nell’oceano». Sebbene il riscaldamento climatico costituisca un «fenomeno mondiale», lo Stato convenuto non può sottrarsi alla propria responsabilità per il fatto che anche altri Stati contribuiscano a tale fenomeno (§ 442). Inoltre, la vittima non è tenuta a dimostrare che il danno non si sarebbe generato in assenza di un’omissione da parte delle autorità (§ 444).

10. Giusto equilibrio tra gli interessi e la separazione dei poteri. Secondo la CEDU, occorre instaurare un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti della vittima e della collettività, e «nella ricerca dell’equilibrio necessario, gli Stati devono tener conto delle considerazioni materiali nel loro complesso» (Hatton c. R.-U., 2 ottobre 2001, n° 36022/97, § 96).  Chiamato a valutare tale giusto equilibrio, lo Stato si trova a priori in una posizione favorevole, che è tanto più estesa quanto più ai diritti ambientali non venga accordato uno statuto speciale (Oneryildiz c. Turchia, 30 novembre 2004, § 107).  Inoltre, nel ponderare gli interessi, il potere giudiziario potrebbe immischiarsi nella sfera del potere politico (§ 412). Ebbene, uno dei limiti al potere discrezionale spettante alle autorità pubbliche è inerente al criterio della necessità dell’ingerenza. 

Nella causa KlimaSeniorinnen, insistendo sulla «natura e sulla gravità della minaccia, nonché sul consenso generale quanto alle implicazioni relative alla realizzazione dell’obiettivo fondamentale rappresentato da una protezione effettiva del clima» (§543), la Corte EDU ha, tuttavia, fatto pendere la bilancia degli interessi in favore dei diritti dell’associazione ricorrente.

Anche il margine di valutazione è ridotto per quanto attiene l’impegno dello Stato nel contrastare il cambiamento climatico e nello stabilire «degli obiettivi globali di riduzione delle emissioni di GES conformemente agli impegni internazionali» in materia di neutralità carbonica (§§ 450, 543). Da tale protezione effettiva deriva una serie di obblighi positivi.  La protezione effettiva occupa per altro una posizione centrale nella sentenza KlimaSeniorinnen.

Per contro, la scelta dei mezzi impiegati per raggiungere tali obiettivi rientra nell’ambito di valutazione dello Stato. Il suo margine di valutazione è nettamente più ampio a tal riguardo (§§ 538, 549). Spetterà alle giurisdizioni nazionali verificare se i mezzi – che possono essere molto diversi (tasse sui combustibili fossili, riduzione del traffico automobilistico, efficienza energetica, assorbimento della CO2 da parte degli ecosistemi, sviluppo di tecnologie destinate a captare il carbonio, ecc.) – siano sufficientemente adeguati a conseguire gli obiettivi dello Stato.

Per stabilire se la Svizzera sia rimasta entro i limiti del proprio margine di valutazione, la Corte EDU ha formulato una serie ambiziosa di misure che questo Stato avrebbe dovuto adottare per far sì che l’ingerenza nei diritti fondamentali possa essere accettata (§ 550). Il suo margine di manovra è, quindi, condizionato:

  • da una parte, dalle misure materiali di natura preventiva (un calendario per raggiungere la neutralità carbonica, delle riduzioni immediate, degli obiettivi intermedi di riduzione, l’attualizzazione di tali obiettivi, ecc.) (§ 550),
  • dall’altra parte, dalle misure procedurali (informazione, partecipazione, perizia) (§ 550).

La sentenza snocciola, in modo nettamente più preciso rispetto alle sentenze emesse da giurisdizioni nazionali in materia climatica, le misure che la Svizzera è tenuta ad adottare. Lo Stato è, quindi, obbligato ad adottare e ad applicare una regolamentazione e delle misure che attenuino gli effetti attuali e futuri e «potenzialmente irreversibili dei cambiamenti climatici» (§ 545). Ebbene, a differenza della Corte d’Appello di Bruxelles nella causa Klimaatzaak (N. de Sadeleer, «Belgian public authorities held liable for flawed climate policy: Klimaatzaak case», Elni Review, 2024, p. 4 – 11) la Corte EDU non impone tuttavia alla Confederazione Svizzera di raggiungere un obiettivo preciso, benché riconosca che i rischi climatici sarebbero inferiori se il riscaldamento fosse limitato a 1,5° C (§ 436), come previsto dall’Accordo di Parigi.  Tutt’al più, le misure devono consentire di «prevenire un aumento della temperatura media mondiale oltre livelli suscettibili di produrre effetti nefasti gravi» (§ 546). Trattandosi di diritti procedurali, la Corte EDU aveva già imposto, al fine di garantire il giusto equilibrio, il rispetto di obblighi di ordine procedurale il cui contenuto si ispira alla Convenzione di Aarhus (Giacomelli, 2 novembre 2006, § 104)

La Corte EDU ha poi verificato se le autorità competenti, siano esse legislative, esecutive o giudiziarie, abbiano debitamente soddisfatto tali requisiti (§ 558 – 563). Essa ha constatato delle «gravi lacune» nell’attuazione del quadro normativo interno, nonché la mancanza di quantificazione, per mezzo di un bilancio del carbonio, dei limiti nazionali applicabili alle emissioni di GES. La Svizzera non è, quindi, pervenuta a concepire e a realizzare «in tempo utile e in modo adeguato» le norme pertinenti conformi agli obblighi positivi che derivano dall’articolo 8. I progressi che ci si deve aspettare dalla nuova legge sul clima del 2022 non potranno del resto rimediare alle inadempienze del passato (§ 568).

11. Accesso a un tribunale (articolo 6 CEDU). La difficoltà di invocare l’articolo 6 CEDU nelle cause ambientali deriva dal fatto che la contestazione, reale e seria, deve vertere su un diritto di natura civile (Association des amis de Saint-Raphaël et Frejus c. Francia, 29 febbraio 2000). L’articolo 6, § 1 non garantisce un diritto di accesso a un tribunale che abbia il potere di invalidare o annullare le leggi promulgate dal Parlamento e/o di obbligare all’adozione di leggi (si veda in tal senso Athanassoglou e altri, § 54). Nondimeno, la Corte EDU aveva già ammesso che un ricorso per annullamento introdotto da un’ONG nei confronti di un’autorizzazione che permetteva l’ampliamento di un impianto nucleare, che non era stato sottoposto a un sondaggio pubblico, mette in causa dei diritti di carattere civile ai sensi dell’articolo 6, § 1, poiché tale ricorso è intentato allo scopo di «difendere l’interesse generale nei confronti di ciò che percepisce come un’attività pericolosa per la collettività» (Collectif national d’information et d’opposition à l’usine Melox – Collectif stop Melox et Mox c. Francia, 28 marzo 2006, § 4).

Nella causa KlimaSeniorinnen, il ricorso dell’associazione svizzera rivestiva un carattere «ibrido», poiché verteva tanto sulla legalità delle omissioni delle autorità svizzere quanto sugli effetti negativi su due diritti fondamentali, (§ 633). Tuttavia, la Corte ha ammesso il carattere civile di tale contenzioso per via del «legame reale e sufficientemente stretto» fra il ricorso e i diritti fondamentali in gioco (§§ 618, 621).

La questione risiedeva anche nel sapere se l’esito della «controversia»/della procedura fosse direttamente decisivo per i diritti dell’associazione ricorrente. A differenza delle cause Balmer-Schafroth e altri e Athanassoglou e altri in cui aveva risposto in senso negativo a tale domanda, la Corte ha ritenuto nel caso di specie che tale condizione fosse soddisfatta malgrado l’assenza d’imminenza di danno (§ 614). Anche il rigetto dei ricorsi intentati dall’associazione ricorrente, in un primo tempo da parte dell’autorità amministrativa e successivamente da parte dei tribunali interni, costituisce un pregiudizio al suo diritto di accedere al tribunale. Infatti, le giurisdizioni interne non hanno spiegato in modo convincente il motivo per cui hanno ritenuto che non fosse necessario esaminare la fondatezza delle sue obiezioni. In assenza di altre vie o garanzie legali, l’articolo 6, §1 si ritiene violato. Si noterà che la Corte EDU sottolinea a più riprese la «pertinenza particolare», dell’«azione collettiva riguardo al cambiamento climatico» (§ 622), nonché il ruolo rivestito dalle giurisdizioni nazionali in tali contenziosi (§ 639). L’obiezione desunta dall’articolo 13 non è stata esaminata separatamente.

12. Esecuzione della sentenza (articolo 46 CEDU) Sulla base dell’articolo 46 relativo alla forza vincolante e all’esecuzione delle sentenze, la Corte EDU ritiene che la Confederazione Svizzera si trovi in una posizione migliore rispetto ad essa per determinare le misure da adottare.  Spetta al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa verificare se le misure necessarie per conformarsi ai requisiti della Convenzione siano state adottate. 

13. Conclusioni. Inserendosi nella scia di varie sentenze emanate da giurisdizioni nazionali in materia climatica, che si tratti della Corte suprema dei Paesi Bassi (Urgenda), delle giurisdizioni francesi (causa Grande Scynthe, causa del secolo), della Corte d’appello di Bruxelles (Klimaatzaak), della Corte costituzionale tedesca (Neubaurer), la sentenza commentata è notevole sotto molti riguardi. In primo luogo, la Corte EDU stabilisce una netta distinzione tra i ricorrenti individuali che non hanno la qualità di vittime e l’associazione ricorrente che ha tale qualità nell’ambito del cambiamento climatico. Inoltre, si assiste a una consacrazione dell’«azione collettiva», benché distinta dall’actio popularis, e questo per via della ripartizione intergenerazionale dello sforzo. Ciò premesso, resta il fatto che l’apertura riguardo all’azione delle associazioni contrasta con i requisiti particolarmente rigorosi applicabili alle persone fisiche che si ritengano vittime del cambiamento climatico. 

In secondo luogo, la Corte coglie nell’articolo 8 un «obbligo fondamentale» dello Stato di contrastare il cambiamento climatico, il che impone a quest’ultimo di conformarsi a una serie di misure sostanziali e procedurali, poiché il suo margine di valutazione quanto agli obiettivi generali della sua politica climatica risulta limitato. La protezione delle potenziali vittime del cambiamento climatico occupa oramai una posizione centrale nell’articolo 8. Le giurisdizioni nazionali, conformemente al principio di sussidiarietà, sono chiamate a svolgere un ruolo essenziale nella tutela di tale diritto. Ciò premesso, i mezzi da impiegare per raggiungere tali obiettivi, che non vengono precisati, rientrano nel potere discrezionale degli Stati. Delimitato da imperativi scientifici e da obblighi internazionali, il potere discrezionale dei legislatori e dei governi non è più assoluto. Il programma politico nazionale non può annullare il dato scientifico e il consenso internazionale.

In terzo luogo, riconoscendo che il cambiamento climatico è «un problema realmente esistenziale per l’umanità», il che lo distingue da altre situazioni di causalità, la Corte EDU ammette che l’articolo 8 possa essere violato a causa di una politica climatica lassista e incoerente i cui effetti sui diritti fondamentali non sono immediati e sono più collettivi che individuali.

In quarto luogo, la Corte EDU ha ricordato i limiti del principio della separazione dei poteri, sottolineando che «un intervento giurisdizionale, …, non può prendere il posto delle misure che devono essere adottate dal potere legislativo e da quello esecutivo, o sostituire tali misure». Il principio in esame non è assoluto in quanto il controllo giurisdizionale è complementare ai processi democratici (§ 412). Nel tutelare le libertà fondamentali contro gli abusi del potere, le giurisdizioni nazionali non si intromettono nelle funzioni legislative ed esecutive. Lo spettro di un governo dei giudici deve, quindi, essere scartato in materia climatica. Ciò nondimeno, il principio della separazione dei poteri produce l’effetto di placare gli ardori del controllo giurisdizionale. Infatti, la Corte EDU non deve controllare i mezzi destinati a conseguire gli obiettivi climatici. Inoltre, i poteri pubblici dispongono di un ampio margine di manovra nella determinazione delle misure adeguate destinate, in particolare, a proteggere efficacemente i diritti fondamentali.

Sviluppando «un approccio più appropriato e più adeguato» (§ 421) in materia climatica, la Corte EDU ha voluto sottolineare le differenze tra il contenzioso che è stata chiamata a decidere e le controversie ambientali.  Trattandosi di contenziosi in materia di inquinamento diffuso, non siamo convinti che le differenze siano così marcate.

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NOTE:

[1] Sulle medesime sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono stati già pubblicate su questa rivista, nel numero di giugno, i contributi di Andrea Gallarini e di Tullio Scovazzi.

[2] Professore ordinario UCLouvain, St Louis, cattedra Jean Monnet.

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