Sulla possibilità di riutilizzo come sottoprodotto delle terre e rocce da scavo

01 Dic 2023 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 4

di Eleonora Gregori Ferri

T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 10 ottobre 2023, n. 2262 – Pres. Bignami, Est. Fornataro sul ricorso n. R.G. 155/2023: M. S.p.A. (Avv. Vanetti) c. Regione Lombardia (Avv.ti Pujatti e Farite) e nei confronti di Comune di Sesto San Giovanni, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) – Lombardia e P. S.g.r. S.p.A., non costituiti in giudizio; sul ricorso n. R.G. 208/2023: P. S.g.r. S.p.A. (Avv. Vanetti) c. Regione Lombardia (Avv.ti Pujatti e Farite) e nei confronti di Comune di Sesto San Giovanni, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) – Lombardia e M. S.p.A., non costituiti in giudizio.

Quando un sito è stato bonificato alle concentrazioni soglia di rischio (CSR), sulla base di una specifica Analisi di Rischio che riflette un particolare modello concettuale dell’area, non è possibile collocare le terre e rocce da scavo al di fuori del sito stesso al fine di riutilizzarle come sottoprodotto, qualora il valore delle CSR di bonifica ecceda quello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui alla tab. 1 dell’All. V al Titolo V della Parte IV del D. Lgs. n. 152/2006.

Nei siti in cui i valori delle CSR sono superiori ai valori delle CSC, l’escavazione del terreno modifica lo stato dei luoghi e altera la situazione di fatto sulla base della quale è stato elaborato il modello concettuale del sito e formulata l’analisi di rischio sito-specifica (ADR); in altre parole, l’escavazione rende inadeguati, perché non più attuali, sia il modello concettuale, sia l’ADR e inficia anche i valori delle soglie CSR individuati sulla base di siffatti documenti. In tali contesti le terre e rocce da scavo non possono essere qualificate come sottoprodotto, perché portare al di fuori del sito tali materiali determinerebbe un impatto negativo sull’ambiente.

  1. Introduzione

Nel corso degli ultimi anni, la materia delle terre e rocce da scavo[i] ha ricevuto grande attenzione da parte del legislatore ed è stata oggetto di numerose modifiche normative, fra le quali la più importante è stata l’emanazione del d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120, ossia il “Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo[ii].

In seguito, nel 2019 è intervenuto il SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) con le “Linee Guida n. 22/2019 sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo” (delibera di Consiglio SNPA, seduta del 9 maggio 2019, doc. n. 54/19), divenute sin dalla loro pubblicazione uno strumento essenziale di orientamento non solo per le agenzie ambientali territoriali, ma anche per gli operatori del settore e per le pubbliche amministrazioni.

Oggi, a distanza di pochi anni dall’emanazione del Regolamento e delle Linee Guida SNPA, il Governo è tornato a metter mano alla disciplina delle terre e rocce da scavo, al fine di assicurare il rispetto delle tempistiche di attuazione del PNRR.  In particolare, l’art. 48 del Decreto-Legge 24 febbraio 2023, n. 23 (c.d. “Decreto PNNR 3”) prevede che entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto[iii], “il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e sentito il Ministro della salute, adott[i], ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un decreto avente ad oggetto la disciplina semplificata per la gestione delle terre e delle rocce da scavo” (comma 1).

Il termine di 180 giorni sopra menzionato è scaduto il 18 ottobre scorso. Il testo del nuovo regolamento non è ancora stato varato nella sua versione definitiva, ma il 21 settembre di quest’anno il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha posto in consultazione uno schema della nuova disciplina, che è stato sottoposto a consultazione pubblica fino al 1° ottobre[iv].

  1. La sentenza TAR Lombardia n. 2262/2023.

2.1.      I fatti di causa.

Senza entrare nel merito delle disposizioni contenute nello schema di regolamento reso pubblico e in attesa dell’emanazione del testo definitivo, la giurisprudenza civile, penale e amministrativa continua ad essere chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione del d.P.R. n. 120/2017, al fine di risolvere situazioni che non hanno trovato né nel Regolamento, né nelle Linee Guida SNPA una precisa definizione (cfr. ex multis: Corte Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2023, n. 26805; TAR Brescia, Sez. I, 18 maggio 2022, n. 492; Trib. Udine, 2 luglio 2021, n. 1039; Corte cass. civ., sez. Trib., 15 dicembre 2020, n. 28567).

È questo il caso oggetto della sentenza in commento, in cui il Giudice amministrativo è stato chiamato a esprimersi sulla possibilità di riutilizzare come sottoprodotto in siti esterni, le terre e rocce da scavo provenienti da un sito con destinazione produttiva, oggetto di bonifica e certificato alle CSR.

Come noto, le Linee Guida SNPA escludono la possibilità di gestire le terre e rocce da scavo come sottoprodotti, nel caso in cui, come quello in esame, non solo esse provengano da aree certificate alle CSR, bensì lo scavo rientri nell’area della sorgente della contaminazione individuata in sede di analisi di rischio e le CSR del sito siano superiori alle CSC di col. A (siti ad uso verde pubblico, privato o residenziale) o di col. B (siti ad uso commerciale e industriale), a seconda della destinazione d’uso prevista [v].

La vicenda in commento, però, si discosta da quanto previsto nelle Linee Guida SNPA per un particolare, ossia la circostanza che il materiale di scavo per il quale la società proprietaria del sito aveva chiesto l’autorizzazione al riutilizzo come sottoprodotto, pur trovandosi all’interno dell’area sorgente, presentava in realtà concentrazioni inferiori alle CSC di col. B. Questo in quanto le stesse CSR sito specifiche erano, in realtà, inferiori alle CSC di col. B.

Ciononostante, l’autorità competente aveva comunque diniegato l’autorizzazione al riutilizzo come sottoprodotto, richiamando quanto previsto nelle Linee Guida SNPA e adottando una linea interpretativa molto restrittiva, nell’ambito della quale un eventuale riutilizzo avrebbe potuto essere autorizzato solo in presenza di valori inferiori alle CSC di col. A (nonostante la destinazione d’uso del sito di origine fosse produttiva).

Impugnato avanti il TAR il diniego, la società ricorrente ha sostenuto in giudizio che lo stesso fosse destituito di fondamento, in quanto basato sull’unico presupposto che i materiali di scavo non fossero conformi alle CSC di col. A, in violazione del principio di prevenzione dei rifiuti (artt. 178 e 179 del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) che, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, imporrebbe di valutare il riutilizzo come sottoprodotto di un materiale tenendo conto delle caratteristiche del sito di origine e di quello di destinazione e non sulla base di criteri meramente formali, come quelli dettati nel Regolamento o dalle Linee Guida SNPA.

Nel caso di specie, infatti, sempre secondo la società ricorrente, la circostanza che le CSR approvate risultassero inferiori alle CSC di col. B del sito di produzione sarebbe stata condizione sufficiente ad autorizzare il riutilizzo dei materiali di scavo come sottoprodotti nell’ambito di siti esterni con destinazioni d’uso compatibili. Non solo. Secondo la ricorrente, il caso in esame costituirebbe una fattispecie diversa da quelle previste nel Regolamento e prese in esame nelle Linee Guida SNPA, che non conterrebbero – sempre a dire della ricorrente – specifiche disposizioni in merito alla possibilità di riutilizzare i materiali di scavo conformi alle CSC dei siti di destinazione, ancorché provenienti da siti bonificati con analisi di rischio sito specifica.

La normativa e le Linee Guida, infatti, tratterebbero del solo riutilizzo del materiale conforme alle CSR nel sito di produzione, sull’assunto che le CSR siano sempre e in ogni caso superiori alle CSC delle aree di riutilizzo, senza considerare che vi possono essere ipotesi, come il caso in esame, in cui così non è.

2.2.      La decisione del TAR.

Il Giudice di primo grado non ha accolto le ragioni addotte dalla società, ritenendo che il Regolamento volutamente disciplini in modo diverso il riutilizzo delle terre e rocce da scavo qualificabili come sottoprodotti, dalla diversa ipotesi relativa alla gestione delle terre e rocce da scavo originate in siti oggetto di bonifica, a cui deve essere ricondotto il caso in esame.

In questa ipotesi, secondo il TAR, solo l’utilizzo in sito è sempre consentito, purché i valori siano conformi alle CSC per la specifica destinazione d’uso ammessa. Viceversa, nel caso in cui il materiale scavato non sia conforme alle CSC, ma resti comunque inferiore alle CSR, l’utilizzo (sempre in sito) può essere ammesso, ma a determinate condizioni e in particolare purché il materiale rimanga nella medesima area individuata in sede di analisi di rischio e non venga stravolto il modello concettuale applicato in sede di bonifica.

Ciò, fermo restando che, secondo il TAR, in nessun caso si potrebbe autorizzare l’impiego di materiale scavato conforme alle CSR, in aree nelle quali è stato accertato il rispetto delle CSC.

Dalla disciplina richiamata”, si legge a pag. 10 della pronuncia, “emerge che quando un sito è stato bonificato alle CSR, sulla base di una specifica ADR, che riflette un particolare modello concettuale del sito, non è possibile collocare le TRS al di fuori del sito stesso, perlomeno qualora il valore CSR ecceda quello CSC di cui alla Tabella I, Colonna A o Colonna B, allegata al d.l.vo 2006 n. 152”.

Si tratta, senza dubbio, di una interpretazione letterale e restrittiva della disciplina normativa e delle raccomandazioni contenute nelle Linee Guida del SNPA, tenuto conto che, nel caso di specie, le CSR del materiale scavato nel sito di produzione erano inferiori alle CSC di col. B.

Quello che non convince della sentenza in commento, però, è la spiegazione offerta della ratio dell’interpretazione sposata dal Giudice: “Il suolo bonificato alle CSR, con bonifica approvata, rimane un terreno contaminato, in relazione al quale si è accertato che il livello di contaminazione residua è accettabile, perché non determina un rischio per la salute e per l’ambiente” (pag. 10).

Il passaggio sopra riportato non convince, perché assimila il sito bonificato alle CSR ad un sito contaminato, quando a livello normativo così non è. Ai sensi dell’art. 240, comma 1, lett. e) e f), del Codice dell’ambiente, infatti, è “contaminato” il “sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) (…) risultano superati”, mentre si qualifica come “non contaminato”, “un sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrice ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) oppure, se superiore, risulti comunque inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) determinate a seguito dell’analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica”.

Prosegue poi il Giudice di primo grado con un ulteriore assunto, secondo il quale: “qualora, come nel caso in esame, le CSR siano superiori ai valori di CSC della tabella 1 colonna A o colonna B – allegata al d.l.vo n. 152 – l’eventuale escavazione del terreno modifica lo stato dei luoghi e, pertanto, altera la situazione di fatto sulla base della quale è stato elaborato il modello concettuale del sito e formulata l’analisi di rischio specifica; in altre parole, l’escavazione rende inadeguati, perché non più attuali, sia il modello concettuale, sia l’analisi di rischio elaborati ai fini della bonifica alle CSR e ciò inficia anche i valori delle soglie CSR individuati sulla base di siffatti documenti” (pag. 11).

A ciò il Giudice aggiunge che l’escavazione e il trasporto presso un sito terzo, nel caso di specie, “determinerebbe un impatto complessivo negativo sull’ambiente”, derivante tanto dallo spostamento dei materiali, quanto dall’interferenza con il modello concettuale dell’analisi di rischio.

Anche il richiamo al principio di prevenzione dei rifiuti, citato dalla società ricorrente, viene considerato dal TAR non rilevante, “perché l’ostacolo al riutilizzo delle TRS non è formale, né collegato ad un mero adempimento burocratico, ma è sostanziale, trattandosi di materiale non qualificabile come sottoprodotto, in sé contaminato e il cui utilizzo extra sito vanificherebbe le risultanze di una bonifica condotta, per scelta dei ricorrenti, alle CSR e non alle CSC” (pag. 12). E in quest’ottica, prosegue il Giudice, è “irrilevante la conformità, più volte evidenziata negli atti di impugnazione, delle TRS alle CSC di Colonna B riferibili al sito di destinazione e a quello di origine. Non è questo il punto dirimente, perché la conformità suindicata lascia ferma l’incidenza dell’eventuale escavazione e spostamento del materiale sulle condizioni del sito di origine e sul suo livello di contaminazione, perché vanifica le risultanze della bonifica che presuppongono la conservazione dello status quo conseguente alla bonifica” (pag. 13).

Ciò in quanto quello che rileva è che “la bonifica abbia condotto ad evidenziare che il sito di origine, pur conforme alle CSR, non rispetta le CSC di colonna A, sicché il materiale che si vorrebbe estrarre è contaminato e, pertanto, non può essere spostato dal sito di origine, perché bonificato, per scelta dei ricorrenti, alle CSR e non alle CSC e quindi sulla base di un’analisi di rischio e di un modello di contaminazione che impongono di “cristallizzare” lo stato dei luoghi, escludendo l’escavazione finalizzata allo spostamento delle TRS al  di fuori del sito” (pp. 13-14).

Anche in relazione a questa seconda parte della motivazione addotta dal TAR si possono esprimere alcune riserve, in particolare nella parte in cui il TAR ribadisce, di nuovo, che un sito certificato alle CSR è un sito “contaminato”.

In conclusione, la pronuncia del TAR lascia aperte alcune perplessità, essendo costruita sulla base di un presupposto – la qualifica come “contaminato” di un sito certificato alle CSR – che introduce un pericoloso revirement rispetto a quanto affermato oggi nel Codice dell’ambiente. Non resta, dunque, che attendere l’emanazione del nuovo regolamento sulla gestione delle terre e rocce da scavo, auspicando che il Ministero colga l’occasione di questa ulteriore modifica normativa della materia per chiarire i tanti dubbi interpretativi che sono sorti in costanza del vigore del regime normativo attuale.

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Gregori Ferri RGA Online_Dicembre 2023_ TAR 2262_2023

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

TAR Milano_2262_2023

NOTE:

[i] Con il termine “terre e rocce da scavo” si fa riferimento al suolo scavato derivante da attività finalizzate alla realizzazione di un’opera tra cui: 1) scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee); 2) perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento; 2) opere infrastrutturali in generale (galleria, strade, ecc.); 3) rimozione e livellamento di opere in terra; 4) i sedimenti derivanti da operazioni di svaso, sfangamento e sghiaiamento (art. 2, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 120/2017). Le terre e rocce da scavo di distinguono sulla base della loro caratterizzazione, provenienza e destinazione, per cui le stesse possono essere qualificate come sottoprodotti (art. 184-bis del D. Lgs. n. 152/2006); riutilizzate allo stato naturale nel sito di produzione (art. 185, comma1 lett. c) del D. Lgs. n. 152/2006); oppure essere trattate come rifiuti. Specifiche disposizioni regolamentano, inoltre, le terre e rocce da scavo provenienti da siti con procedimenti di bonifica in corso o conclusi. La disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo è contenuta nel d.P.R. n. 120/2017.

[ii] Il Regolamento ha sostituito il precedente D.M. 10 agosto 2012, n. 161. La finalità per cui è stato emanato il d.P.R. n. 120/2017 è quella di riordinare e semplificare la disciplina inerente la gestione delle terre e rocce da scavo, “assicurando adeguati livelli di tutela ambientale e sanitaria e garantendo controlli efficaci” (art. 1).

Un intento meritevole che, tuttavia, nella pratica è risultato non facile da raggiungere: il Regolamento, infatti, si è presto rivelato un testo di non facile interpretazione.

[iii] Legge 21 aprile 2023, n. 41.

[iv] I documenti sono disponibili all’indirizzo: https://www.mase.gov.it/pagina/consultazione-con-le-parti-interessate-sullo-schema-di-regolamento-recante-disposizioni-la.

[v] È opportuno menzionare che, in questi casi, non solo l’impiego come sottoprodotto, bensì anche il riutilizzo in sito del materiale scavato in una sorgente certificata alle CSR è soggetto a limitazioni: le Linee Guida SNPA prevedono infatti, che “qualora il modello concettuale dell’analisi di rischio con cui sono state determinate le C.S.R. subisca una modifica in relazione agli scavi, occorre valutare l’eventuale variazione delle C.S.R. obiettivo di bonifica”.

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