di Ginevra Ripa
Cassazione Penale Sez. III, 27 novembre 2019 (dep. 24 febbraio 2020), n. 7220 – Pres. Andreazza, Est. Di Stasi – Ric. Nigro
L’omessa indicazione di prescrizioni di regolarizzazione da parte dell’organo di vigilanza ai sensi dell’art. 318 ter T.U.A. non rende improcedibile l’azione penale, non essendo obbligatoria la procedura di cui alla Parte Sesta bis D.Lgs. 152/2006.
Premessa
Con il provvedimento in esame, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in merito alla procedura estintiva introdotta ormai cinque anni fa con la L. 68/2015, la quale, come noto, sulla scorta dell’analoga normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro di cui agli artt. 20 e seguenti D.Lgs. 758/1994, ha disposto l’inserimento nel D.Lgs. 152/2006 di una Parte Sesta bis tesa all’estinzione di taluni reati contravvenzionali in materia ambientale mediante un determinato iter, il quale si sostanzia nell’adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza e nel pagamento di una somma determinata a titolo di sanzione pecuniaria.
Tale procedura, in gran parte salutata con favore dai commentatori[i] perché attuativa, almeno nelle intenzioni del Legislatore[ii], del principio di proporzionalità e della conseguente eliminazione dal circuito penale di contravvenzioni con minor grado di offesa al bene giuridico ambiente e senza alcuna conseguenza sul piano del danno o del pericolo concreto ed attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche e paesaggistiche protette, pur trovando progressivamente sempre maggiore applicazione è incorsa nel tempo in più di un inciampo, a causa per lo più dell’insufficiente grado di determinatezza del testo.
Ciò ha provocato l’emanazione di direttive di segno diverso da parte delle Procure della Repubblica ed orientamenti pure non sempre convergenti delle A.R.P.A.[iii]; ed in tale contesto, a fronte della diffusa invocazione di un intervento del Legislatore, sinora rimasta inascoltata, la giurisprudenza di legittimità ha sovente intrapreso la via interpretativa più rigorosa, di fatto restringendo le possibilità di applicazione di una normativa che invece, forse, meriterebbe un’interpretazione più in linea con la propria ratio. Tanto vale anche con riguardo alla questione affrontata nella pronuncia in esame, relativa all’obbligatorietà delle prescrizioni di cui all’art. 318 ter T.U.A.
Il caso e le motivazioni della sentenza
La vicenda sottoposta allo scrutinio della Corte di Cassazione trae origine dal ricorso presentato da P.N., per il tramite del proprio difensore di fiducia, avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Taranto aveva dichiarato lo stesso responsabile del reato di cui agli artt. 192, 256 comma 2 D.Lgs. 152/2006, per aver abbandonato, nell’esercizio della sua attività, in modo incontrollato, rifiuti speciali non pericolosi, condannandolo alla pena di € 2.000 di ammenda.
Il predetto articolava tre motivi di ricorso, dei quali solo il primo assume rilievo nella odierna sede, poiché il secondo – che censurava la decisione di primo grado argomentando in punto di provvisorio accumulo in luogo di trasporto, nonché di qualifica di sottoprodotto in luogo di rifiuto – veniva valutato come aspecifico ed il terzo, accolto, concerneva l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cp.
Il ricorrente deduceva tuttavia in prima istanza la violazione di legge e l’omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione della procedura estintiva di cui all’art. 31 septies T.U.A., assumendo il vizio ab origine del procedimento penale poiché non era stato notificato all’imputato l’avviso di prescrizioni con termini, né era stata disposta la sospensione del procedimento, determinando in tal modo la nullità e l’illegittimità degli atti compiuti e connessi.
La Suprema Corte ha giudicato infondata tale censura, enunciando il principio di non obbligatorietà della procedura estintiva di cui agli artt. 318 bis e seguenti D.Lgs. 152/2006 ed affermando che “l’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell’azione penale”. Il Collegio, in particolare, ha espresso la propria valutazione sulla base di una articolata motivazione che prende le mosse da quanto elaborato dalla giurisprudenza di legittimità per la procedura “gemella” in materia di sicurezza del lavoro.
In sintesi, rimarcando le evidenti analogie tra le due discipline, la Corte testualmente afferma che “secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. 758/1994, la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata”.
Il Collegio, infine, si sofferma sulla lettera della disposizione al fine di contestare l’argomentazione secondo la quale la natura obbligatoria della prescrizione si desumerebbe dall’uso dell’indicativo presente nell’art. 318 ter D.Lgs. 152/2006 (“impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente”), giudicato “mera scelta di stile espositivo”, nonché per ribadire come possa fisiologicamente accadere che l’organo di vigilanza si determini a non impartire alcuna prescrizione, perché non vi è alcunché da regolarizzare ovvero perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua.
Brevi osservazioni conclusive
Il percorso argomentativo della Corte di Cassazione non può che muoversi, come in effetti è accaduto, sul terreno della disciplina della sicurezza sul lavoro, la quale naturalmente si fregia di una evoluzione giurisprudenziale molto più lunga e consolidata rispetto alla normativa di cui alla Parte Sesta bis T.U.A.
E proprio in materia antinfortunistica la questione relativa alla natura obbligatoria o facoltativa dell’atto prescrittivo ha suscitato profonde incertezze, giungendo infine dinnanzi alla Corte Costituzionale, le cui indicazioni non hanno costituito peraltro la risposta definitiva al quesito. Brevemente, secondo la Consulta, “la procedura estintiva di cui agli artt. 20 ss del D.Lgs. 758/1994 è ontologicamente (e ragionevolmente) incompatibile con i reati in materia infortunistica aventi natura istantanea e non suscettibili di sanatoria mediante l’adempimento di prescrizioni”[iv] (c.d. impossibilità materiale); il Giudice delle Leggi si è inoltre pronunciato, nel tempo, anche in relazione ai casi di ripristino da parte dell’indagato dello status quo ante delictum in mancanza di una previa prescrizione, ovvero in ottemperanza ad una prescrizione irregolarmente impartita[v], stabilendo che “in questi specifici casi la prescrizione non costituisce requisito essenziale” per il regolare espletamento della procedura estintiva, potendo essere questa egualmente avviata anche in sua assenza, purché la mancanza o le irregolarità iniziali siano sanate dall’organo di vigilanza con una prescrizione “ora per allora”, ovvero con una ratifica. A maggior ragione, d’altronde, dovrebbe essere ammesso alla definizione del procedimento in via amministrativa colui che abbia regolarizzato l’eventuale violazione spontaneamente, dunque in caso di omessa prescrizione, ovvero di prescrizione impartita non in aderenza alle forme richieste dalla normativa.
Dal complesso delle argomentazioni poc’anzi riepilogate emerge, in ogni caso, come in materia di sicurezza del lavoro – e, analogamente, in materia ambientale – la prescrizione sia un atto “tendenzialmente obbligatorio”, pur con l’eccezione di situazioni in cui “la sua emanazione risulta impossibile ed inutile, non in forza di una valutazione discrezionale dell’organo di vigilanza, bensì in base a ragioni insindacabili e del tutto ragionevoli di natura oggettiva”[vi].
E la sentenza in commento si inserisce tendenzialmente nel solco di quanto sinora esposto, seppure non appaia chiara, dalla concisa esposizione dei fatti che hanno dato origine al ricorso, la ragione per la quale, nel caso di specie, è stata omessa in toto la procedura estintiva di cui alla Parte Sesta bis T.U.A.
Non è dato sapere, dunque, se una impossibilità materiale abbia ostacolato la emanazione di prescrizioni, né se il ricorrente abbia spontaneamente ripristinato lo status quo ante delictum; certamente occorre evidenziare, nel corpo motivazionale del provvedimento, il passaggio più importante, in cui viene ribadito che “l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata”. In altri termini, l’indicazione di prescrizioni può non avvenire, ma il contravventore, se sussistono le condizioni oggettive e soggettive, deve poter definire il procedimento nella misura prevista dalla normativa di cui al D.Lgs. 152/2006 più favorevole rispetto alla “classica” oblazione.
Più in generale viene comunque da auspicare, in assenza di precise indicazioni da parte del Legislatore, che la giurisprudenza si orienti in modo sempre più radicato nel senso di estendere quanto possibile l’area di operatività della procedura premiale in esame; e l’indicazione dell’obbligatorietà, se non delle prescrizioni della procedura estintiva nel suo complesso, costituisce senza dubbio una direzione a cui tendere.
Come è stato più volte ribadito, invero, simili istituti costituiscono un veicolo ottimale non solo per l’attuazione del “diritto penale minimo”, in ossequio al principio di extrema ratio, bensì anche per la tempestiva ed efficace riduzione dei rischi per l’ambiente, molto più dell’irrogazione in concreto delle pene previste edittalmente.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato
Ripa_cass. pen.24.2.2020, n. 7220
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Note:
[i] Così ad esempio C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati: commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015.
[ii] Così i Lavori Preparatori della Legge 22 maggio 2015 n. 68: “Questa impostazione, che trova analogie con quanto previsto nel settore della sicurezza sul lavoro, pare contemperare in maniera corretta, applicando un principio di proporzionalità, gli obiettivi pubblici di prevenzione ambientale con l’esigenza, altrettanto sentita, di non considerare lo strumento penale come l’unica risposta efficace a comportamenti non conformi alla normativa vigente. In particolare, così facendo, si consentirebbe alle imprese di regolarizzare la propria posizione avendo la garanzia di non subire un processo (che interverrà, come detto, solo in caso di accertata inottemperanza alle prescrizioni imposte dall’Organo di controllo) e contestualmente, si consentirebbe agli apparati giudiziari di concentrare le proprie risorse su questioni rilevanti e, soprattutto, effettivamente impattanti sullo stato dell’ambiente” (pag. 291).
[iii] Si cita, a titolo di esempio, quanto riportato nel documento riepilogativo Indirizzi per l’applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali ex parte VI-bis D.Lgs. 152/2006 emanato dall’I.S.P.R.A. il 29 novembre 2016 in ordine alla tipologia di contravvenzioni ammesse alla procedura: “L’individuazione delle contravvenzioni alle quali è applicabile la procedura estintiva è controversa, in quanto, da un lato l’art. 318-bis stabilisce un’applicazione generalizzata della procedura estintiva alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal D.Lgs 152/2006, dall’altro, l’art. 318-quater, prescrivendo, ai fini dell’estinzione della contravvenzione, il pagamento di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda, esclude dal beneficio le contravvenzioni punite con l’arresto, suscitando nell’interprete il dubbio se l’esclusione debba riguardare le sole contravvenzioni punite con il solo arresto o anche le contravvenzioni punite con arresto e ammenda. L’interpretazione suggerita, in linea con le indicazioni fornite dalla maggioranza delle Procure che si sono espresse, è quella di escludere dall’ambito di applicazione della procedura estintiva anche le contravvenzioni punite con arresto e ammenda, in quanto, l’assoggettabilità delle stesse alla procedura, a fronte dell’esclusione delle contravvenzioni punite con il solo arresto, darebbe luogo a una ingiustificata disparità di trattamento, data la tendenziale maggiore gravità delle contravvenzioni punite con arresto e ammenda rispetto a quelle punite con il solo arresto” (pagina 14).
[iv] Così nell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 416/1998.
[v] Così nella sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 19/1998.
[vi] Così G. Amarelli, Le ipotesi estintive delle contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro, Napoli, 2008, pag. 148, il quale riprende V. Valentini, Il meccanismo “ripristinatorio” ex artt. 19 ss. D.Lgs. 758/1994, in N. Mazzacuva, E. Amati (a cura di), Il diritto penale del lavoro, Torino, 2007, pag. 420 e ss. Dello stesso avviso G. De Falco, La repressione delle contravvenzioni e dei delitti in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, Padova, 2000, pag. 366.