Corte di Cassazione, Sez. III – 9 maggio 2024 (dep. 28 maggio 2024), n. 20841
Risponde della contravvenzione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti il produttore del rifiuto che non riesca a soddisfare l’onere della prova relativo alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183, D.Lgs. n. 152/2006, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria.
1) Premessa
Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito il perimetro del “deposito temporaneo” prima della raccolta rispetto alla “gestione” dei rifiuti con particolare riguardo alla attività di cernita finalizzata al raggruppamento secondo categorie omogenee di rifiuti eseguita preliminarmente al deposito temporaneo.
In particolare, il ricorrente lamentava la erronea qualificazione della condotta – ricompresa nell’alveo del paradigma contravvenzionale di cui all’art. 256, comma 1, lett. b, D.Lgs. n. 152/2006 – cui era pervenuto il Giudice di prime cure, confermata in sede di gravame, specificando come trattavasi di deposito temporaneo prima della raccolta e non di un deposito incontrollato.
Particolarmente apprezzabile risulta l’iter logico motivazionale con il quale i Giudici di legittimità delineano il perimetro del deposito temporaneo prima della raccolta, attraverso il richiamo a numerosi precedenti di legittimità nonché alla giurisprudenza euro-unitaria sul punto.
2) Il decisum della Suprema Corte
Nella sentenza in commento, gli ermellini prendono le mosse dalla nozione di deposito temporaneo prima della raccolta, di cui all’art. 183, lett. bb, D.Lgs. n. 152/2006, ovvero “la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediari) e prodromico allo svolgimento delle relative attività”, rispetto al perimetro della (vera e propria) gestione dei rifiuti, di cui all’art. 183, lett. n, D.Lgs. n. 152/2006, e segnatamente “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento”.
Ne consegue che ove il produttore dei rifiuti abbia provveduto alla cernita in epoca antecedente alla costituzione del deposito temporaneo, e non invece ad un raggruppamento per categorie omogenee contestuale alla costituzione di quest’ultimo, tale attività rientrerà nella gestione dei rifiuti in senso stretto[1].
Ovviamente per richiamare il regime del “deposito temporaneo” (che non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità competente), il produttore del rifiuto dovrà rispettare le condizioni normativamente previste (il riferimento corre all’art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006) affinché la allocazione del materiale decadente dal ciclo produttivo possa essere qualificata come deposito temporaneo, e segnatamente:
- da un lato, come detto:
a) la allocazione del materiale dovrà avvenire nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti (…);
b) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta potrà essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
c) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta potrà essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti;)
- dall’altro lato, dovrà rispettare i noti limiti – temporali ovvero volumetrici – alternativi tra loro e rimessi alla scelta del produttore:
- invio dei rifiuti a recupero o smaltimento con cadenza almeno trimestrale;
- invio connesso al raggiungimento dei 30 metri cubi dei rifiuti in deposito, di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi (in ogni caso non superando il termine di un anno di deposito).
Giova ricordare infatti che l’onere della prova relativo alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito temporaneo grava sul produttore dei rifiuti (cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 aprile 2023, n. 15450) in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria (che impone la adozione di un titolo autorizzativo alla gestione di rifiuti, ordinario ovvero semplificato).
Tale giurisprudenza è una applicazione dell’indirizzo consolidato secondo cui il principio di inversione dell’onere della prova “specificamente riferito al deposito temporaneo, è peraltro applicabile in tutti i casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l’applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali” (v. Cass. pen., Sez. III, 8 febbraio 2018, n. 20410)[2].
Ed ancora, solo l’osservanza di tutte le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo – e quindi anche lo smaltimento con cadenza almeno annuale (circostanza che invece difettava nel caso di specie al vaglio degli ermellini) – solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione, tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall’art. 187, mentre, in difetto di tali condizioni – la sussistenza delle quali, lo si ribadisce, deve essere dimostrata dall’interessato, trattandosi di norma di favore (Cass. pen., Sez. III, 23 aprile 2010, n. 15680; Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2004, n. 30647; Cass. pen., Sez. III, 17 marzo 2004, n. 21587) – l’attività posta in essere deve qualificarsi come gestione non autorizzata, penalmente sanzionabile, o abbandono.
La natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria trova altresì ulteriore conferma a livello sovranazionale, considerato come la Corte di Giustizia dell’Unione europea avesse precisato (cfr. cause riunite C-175/98 e C-177/98, del 5 ottobre 1999, par. 48 ss.) come la nozione di deposito temporaneo fosse da interpretare in modo restrittivo, dovendo peraltro rispettare l’art. 4, primo comma, della direttiva n. 75/442, la quale prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.
La sentenza in commento si conclude pertanto con la declaratoria di inammissibilità considerato come la mancata prova del rispetto dello smaltimento dei rifiuti entro il termine di cui all’art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006 sopra richiamato determini la esclusione nel caso di specie dell’applicazione della normativa che disciplina il deposito temporaneo.
3. Considerazioni conclusive
La sentenza in commento risulta particolarmente apprezzabile nella parte in cui delinea con precisione – anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza di legittimità consolidatasi sul punto – i requisiti del deposito temporaneo, sottolineandone la natura eccezionale, richiamando il produttore del rifiuto alla diligenza soprattutto con riferimento all’onere della prova incombente sul medesimo ai fini della applicazione di tale regime derogatorio, dovendo lo stesso fornire la prova positiva della sussistenza di tutte le condizioni previste dall’art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006.
In conclusione, il principio di diritto enucleato dalla Suprema Corte può essere sintetizzato come segue: Posto che l’attività di raccolta è definita come “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento”, è evidente che se è già stata fatta una cernita dei rifiuti non può parlarsi di deposito temporaneo ma già di “gestione” dei rifiuti (e, in particolare, se si tratta di operazioni finalizzate al recupero, a quelle di cui alla lettera R12 dell’Allegato C), il che significa che il raggruppamento secondo categorie omogenee di rifiuti deve avvenire nel luogo ove si effettua il deposito temporaneo, e non prima.
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NOTE:
[1] Si consideri come la giurisprudenza di legittimità – Cass. pen., Sez. III, 18 giugno 2007, n. 23709 – abbia valutato come vera e propria gestione di rifiuti l’attività considerata come prodromica al deposito temporaneo ma eseguita attraverso “un impianto per la compattazione di rifiuti e di due impianti destinati allo schiacciamento di imballi e fusti di metallo”: ciò in quanto trattasi di macchinari che “nulla hanno a che vedere con la mera attività di deposito” e che avrebbero generato “riduzione volumetrica di rifiuti”.
[2] In tal senso, già Cass. pen., Sez. III, 8 settembre 2016, n. 47262, aveva precisato che il principio dell’inversione dell’onere della prova corrisponde ad un «principio generale già applicato in giurisprudenza: in tema di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall’art. 182, comma 6-bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 152/2006 (cfr. Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dall’art. 258, comma 15, del d. lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone)». Il principio è stato successivamente ribadito anche da Cass. pen., Sez. III, 23 ottobre 2018, n. 3598, e (in tema di End of Waste) da Cass. pen., Sez. III, 17 maggio 2023, n. 27148.