Sul parere preventivo della Soprintendenza nell’iter di approvazione dei piani attuativi

01 Mar 2024 | amministrativo, giurisprudenza

di Eleonora Gregori Ferri

T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 29 novembre 2023, n. 872 – Pres. Massari, Est. Limongelli – SL C. S.r.l. (Avv. Bezzi) c. Comune di Polpenazze del Garda, non costituito in giudizio

L’espressione di un parere preventivo da parte della Soprintendenza in relazione ai piani attuativi riguardanti aree vincolate è prevista dalla legge senza preclusioni o limitazioni di sorta derivanti dalla circostanza che la stessa Soprintendenza si sia o meno pronunciata in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale (art. 16, comma 3 della L. n. 1150/1942).

Nell’iter di approvazione di un piano attuativo avente ad oggetto un’area sottoposta a vincolo paesaggistico è ragionevole che il comune tenga conto del parere preventivo di non compatibilità espresso dalla Soprintendenza e concluda il procedimento in senso negativo. Il giudizio non favorevole espresso dall’autorità preposta al vincolo, infatti, sebbene non sia vincolante ai fini dell’approvazione del piano (art. 16, commi 3 e 4 della L. n. 1150/1942), lo è in relazione alla fase successiva di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che “costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (art. 146, comma 4 del D. Lgs. n. 42/2004). Pertanto, nel caso in cui già in sede di approvazione del piano la Soprintendenza abbia espresso un parere preventivo non favorevole, è legittima la decisione del comune di non approvare il piano, in ottemperanza ai principi di non aggravamento del procedimento, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa.

La sentenza in commento affronta due tematiche di notevole interesse in relazione al procedimento di approvazione dei piani attuativi riguardanti ambiti sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico.

Nello specifico, in primo luogo la pronuncia tratta dei limiti del potere della Soprintendenza di esprimere un parere preventivo negativo sul piano attuativo, laddove la stessa non abbia manifestato opposizione alle caratteristiche del piano già in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale. In secondo luogo, i giudici si sono occupati dei limiti al potere discrezionale del comune di approvare o meno un piano attuativo giudicato conforme allo strumento urbanistico generale, in presenza del parere di non compatibilità con il vincolo espresso dall’autorità preposta.

Le vicende da cui prende le mosse il caso in esame interessano un ambito di trasformazione inedificato, situato all’interno del territorio di un comune sottoposto a vincolo paesaggistico, oggetto di una proposta di piano attuativo, presentata a seguito dell’approvazione di una variante allo strumento urbanistico generale, che aveva mutato la destinazione d’uso dell’area e ne aveva diminuito considerevolmente la capacità edificatoria.

Su tale proposta il comune si era espresso favorevolmente per i profili di compatibilità con il nuovo strumento urbanistico, trasmettendo il progetto alla Soprintendenza per l’espressione del parere preventivo di compatibilità con il vincolo, ai sensi dell’art. 16, commi 3 e 4 della L. n. 1150/1942[i].

La Soprintendenza, all’esito dell’istruttoria, formulava un giudizio negativo di “non compatibilità” del progetto con gli elementi caratteristici del vincolo, rendendosi tuttavia disponibile a valutare diverse soluzioni progettuali con volumetrie ridotte e altri accorgimenti volti a mitigare l’impatto dell’intervento sul paesaggio circostante.

A fronte del parere negativo rilasciato dalla Soprintendenza, la giunta comunale concludeva il procedimento di approvazione del piano in senso negativo, prendendo atto che “il parere della Soprintendenza (…) seppur non vincolante, è di contenuto tale da impedire la prosecuzione dell’iter della pratica, atteso che i privati sarebbero esposti, nel momento di richiedere ii rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche (…), a pareri negativi della Soprintendenza, con inutile aggravamento del procedimento”.

Da qui, l’impugnazione avanti il TAR Brescia della delibera e del parere negativo della Soprintendenza da parte della società proprietaria, che ha addotto quattro motivi di ricorso. Con i primi due motivi, la ricorrente ha lamentato il mancato contemperamento, nel parere dell’autorità preposta al vincolo, tra esigenze conservative di difesa del paesaggio e legittime aspettative dei proprietari allo sviluppo edificatorio (primo motivo), nonché la pronuncia tardiva della Soprintendenza circa la valutazione negativa delle previsioni del piano attuativo, non essendosi la stessa espressa in tal senso sin dall’approvazione della variante allo strumento urbanistico.

Sul primo motivo il giudice di primo grado non ha dubbi: la Soprintendenza ha legittimamente esercitato il potere che le spetta, in quanto dagli atti di causa risulta chiaramente che la stessa ha spiegato “le ragioni del proprio dissenso e nel contempo [ha prospettato] possibili soluzioni alternative, che tuttavia la parte non ha inteso perseguire (…)”, operando “un equo contemperamento tra gli opposti interessi (…) sulla base di considerazioni adeguatamente esternate (…) e (…) non affette da vizi macroscopici di illogicità, irragionevolezza, o in adeguata considerazione dello stato dei luoghi e degli elementi istruttori”.

Sul secondo motivo il Collegio ha invece osservato che “il parere preventivo della Soprintendenza sui Piani Attuativi è previsto direttamente dalla legge (art. 16 comma 3 L. 1150/1942), la quale non prevede preclusioni o limitazioni di sorta all’espressione di tale parere allorché la stessa Soprintendenza si sia pronunciata (o non si sia pronunciata) nella fase di approvazione dello strumento urbanistico generale. Ciò, fermo restando che comunque“non devono sussistere profili di contraddittorietà nel comportamento e nelle valutazioni della Soprintendenza nelle diverse fasi procedimentali (…)”.

Contraddittorietà che tuttavia, nel caso di specie, secondo i giudici non sussiste: nei termini in cui è descritta la pianificazione per l’ambito in esame nella variante allo strumento urbanistico generale (essendo state ridotte le potenzialità edificatorie dell’ambito), la Soprintendenza “non aveva alcun valido e ragionevole motivo per opporsi”. Diversamente, in sede attuativa “le previsioni astratte della Variante al PGT – di per sé non pregiudizievoli per il contesto paesistico, anzi migliorative rispetto alla pianificazione previgente – hanno assunto concretezza, evidenziando per la prima volta il contenuto del progetto edificatorio e quindi i possibili profili di contrasto con i valori paesaggistici (…)”.Con la conseguenza che deve ritenersi “del tutto legittimo che la Soprintendenza abbia rivendicato il potere di esprimersi (…) senza essere vincolata alle valutazioni favorevoli espresse in precedenza sull’astratta previsione pianificatoria (…), fondata su elementi (…) non ancora espressivi di profili di possibile incompatibilità (…)”.

Con i successivi due motivi la ricorrente ha censurato l’operato del comune che, pur avendo giudicato la proposta di piano conforme allo strumento urbanistico, ne ha nondimeno omessa l’approvazione sulla base di “valutazioni estranee all’ambito urbanistico” (terzo motivo), che avrebbero rilevato solo in successiva fase di richiesta delle autorizzazioni paesaggistiche, travisando, così anche il fine del principio di non aggravamento del procedimento, che sarebbe a detta della ricorrente uno strumento a tutela del privato (quarto motivo).

Il Collegio tratta congiuntamente le due censure, ritenendo anch’esse infondate. “Benché nel procedimento di approvazione di un piano particolareggiato la Soprintendenza non esprima un parere vincolante (…) è ragionevole che l’amministrazione comunale tenga conto di un eventuale parere negativo della Soprintendenza valutando i possibili sviluppi del procedimento amministrativo e, quindi, la concreta realizzabilità dell’intervento edilizio in relazione alla posizione contraria manifestata dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo”, dal momento che “ai fini della concreta realizzabilità dell’intervento è necessario che l’interessato ottenga l’autorizzazione paesaggistica, sulla quale la Soprintendenza esprime un parere obbligatorio e vincolante (…) e senza la quale il Comune non può procedere al rilascio dei titoli edilizi”. Pertanto “è ragionevole che l’amministrazione giudichi inutile l’approvazione di un piano attuativo che, sebbene conforme allo strumento urbanistico, sia stato giudicato dalla Soprintendenza incompatibile con il vincolo paesaggistico, in tal modo lasciando chiaramente prefigurare un parere altrettanto negativo – e in tal caso ostativo – in ordine al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, essenziale ai fini della concreta realizzabilità dell’intervento”.

In questo contesto, infatti, il “principio di non aggravamento del procedimento (…) unitamente a quello di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa, giustifica[no] l’esito negativo del procedimento di approvazione del piano attuativo in presenza di un atto interlocutorio in grado di precludere, nella sostanza, il conseguimento del bene della vita reclamato dall’interessato”.

Sulla base delle considerazioni sopra espresse, il TAR Brescia ha respinto il ricorso e, per la peculiarità e complessità delle questioni, compensato le spese.

La sentenza del TAR Brescia fissa due punti importanti, inserendosi nel solco tracciato da altre pronunce che avevano già affermato, in giurisprudenza, l’esistenza di un interesse da parte dei comuni a chiedere già in fase di pianificazione urbanistica un parere “preventivo”, anche non vincolante e “irrituale” all’autorità o agli Enti preposti alla tutela di beni immobili vincolati o protetti. Pronunce che hanno sempre ribadito che l’eventuale “anticipazione” del parere alla fase pianificatoria non esclude, né supera in alcun caso l’obbligo ex lege in capo all’autorità o all’Ente di tutela di esprimersi in sede di rilascio dei titoli edificatori. È questo, infatti, secondo la giurisprudenza, il momento in cui è possibile apprezzare in concreto la lesività o meno di uno sviluppo, ossia mettendo al vaglio le previsioni specifiche rappresentate nel progetto edilizio.

A tale proposito basti richiamare l’Adunanza Plenaria n. 9/2016 che, seppur in un diverso contesto (nulla osta preventivo e “irrituale” di un Ente Parco in relazione ad uno sviluppo in un’area protetta), aveva riconosciuto la prassi di acquisire in sede di procedimento urbanistico il parere dell’Ente di tutela, chiarendo però che, in nessun caso, tale parere può sostituire quello previsto per legge quale atto prodromico al rilascio dei titoli edilizi: “l’eventuale anticipazione della richiesta di nulla-osta all’Ente Parco alla fase di approvazione del piano attuativo non può mai determinare l’esclusione della necessità di acquisizione dell’assenso ex art. 13, l. n. 394 del 1991 nel momento successivo del rilascio dei titoli ad edificando, laddove solo è dato apprezzare in modo compiuto e globale l’impatto dell’intervento sul territorio” (Rivista Giuridica dell’Edilizia 2016, 4, I, 542)[ii].

In argomento, però, non può non menzionarsi l’evoluzione avvenuta ad opera della recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2024, n. 144, che ha individuato i presupposti al ricorrere dei quali il parere paesaggistico espresso sul piano attuativo può avere un “valore pregiudicante” sul procedimento di rilascio dei titoli edilizi. Questo avviene, secondo il Consiglio di Stato, nei casi in cui il parere espresso nella“fase urbanistica esaurisca la discrezionalità anche su quegli aspetti che, a rigore, dovrebbero essere oggetto del successivo parere sui titoli edilizi; è, cioè, necessario che la Soprintendenza abbia considerato gli aspetti paesaggistici dei singoli interventi e si sia espressa in merito ad essa, e comunque sempre che fosse possibile esprimersi a livello di piano su questo o quell’aspetto”.

Quest’ultima pronuncia evidenzia, quindi, l’importanza del parere espresso dall’autorità di tutela del vincolo in sede di approvazione del piano attuativo. Parere che solo nei termini di cui sopra può acquisire un’efficacia vincolante in relazione alla valutazione che la medesima autorità dovrà comunque esprimere nella fase successiva di rilascio dei titoli edilizi.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

[i] I commi 3 e 4 dell’art. 16 della L. n. 1150/1942 recitano come segue: “I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose d’interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici. Le eventuali osservazioni del Ministero della pubblica istruzione o delle Soprintendente sono presentate entro novanta giorni dall’avvenuta comunicazione del piano particolareggiato di esecuzione.” Sulla sostanziale assimilazione dei piani attuativi o dei piani di lottizzazione ai piani particolareggiati di cui all’art. 16 della L. n. 1150/1942, la pronuncia in commento richiama le sentenze TAR Brescia, Sez. II, 12 febbraio 2021, n. 150 e TAR Milano, Sez. II, 4 dicembre 2007, n. 6541.

[ii] Si veda anche la sentenza Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 novembre 2011, n. 6156, secondo cui: “Si deve escludere che la presenza di un piano sopraordinato degradi l’intervento autorizzatorio sul singolo manufatto ad un mero controllo di corrispondenza del progetto alle norme costruttive del piano, trasformando l’autorizzazione da atto tecnico — discrezionale in atto vincolato, giacché resta sempre salvo un ampio margine di apprezzamento della situazione concreta, dato che il piano non è suscettivo di assorbire interamente la verifica di garanzia dell’interesse paesaggistico, rimessa il più delle volte a valutazioni di tipo qualitativo, non traducibili in norme generali e riferentesi direttamente ai valori tutelati con il vincolo. Sicché la valutazione di compatibilità paesaggistica a suo tempo espressa circa il piano non comporta l’assorbimento definitivo della discrezionalità tecnica a quella sede astratta dalla contingenza da legittimare e non giunge ad eliminare o a rendere virtuale o meramente applicativo, il giudizio concreto, da sviluppare nei termini consentiti in sede di annullamento dall’art. 159, d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42 (o, oggi, pienamente nel merito, con il previo parere di compatibilità ai sensi dell’art. 146)” (
Foro amm. CDS 2011, 11, 3480).

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