Discarica abusiva e abbandono di rifiuti: principi noti tra enunciazione astratta e (dis)applicazione pratica?

01 Mar 2024 | giurisprudenza, penale

di Andrea Puccio e Francesca Tomasello

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 14 dicembre 2023 (dep. 9 gennaio 2024), n. 686 – Pres. Ramacci, Est. Corbetta – ric. imputati To. Lu. e To. An.

Nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso di plurimi conferimenti –  o, pur quando consiste in un’unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco, nel reato di abbandono differisce la condotta che è meramente occasionale, ciò essendo desumibile dall’unicità ed estemporaneità della condotta medesima, che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive, e dalla quantità dei rifiuti abbandonati.

1 – La vicenda processuale oggetto di scrutinio

Nell’ambito della vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte, gli imputati To. Lu. e To. An. venivano tratti a giudizio per rispondere, in concorso, del reato di combustione illecita di rifiuti (art. 256 bis, D.Lgs. n. 152/2006), per avere appiccato il fuoco a rifiuti, anche pericolosi, abbandonati sul terreno di proprietà del primo e, questi, altresì, del reato di cui all’art. 256 comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, per avere ivi realizzato e gestito una discarica non autorizzata di rifiuti variegati (pericolosi e non) di entità totale di circa sei metri cubi.

La sentenza di condanna in primo grado per entrambe le fattispecie veniva confermata in appello ed entrambi gli imputati proponevano ricorso per Cassazione.

Con specifico riferimento alla statuizione inerente al reato di discarica abusiva, il ricorrente lamentava, anzitutto, violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006, per avere la Corte d’appello ravvisato la sussistenza del reato di discarica abusiva sulla scorta di un ragionamento asseritamente presuntivo, senza che fosse stato valorizzato alcuno degli elementi oggettivi identificati dalla giurisprudenza di legittimità – i.e. l’accumulo reiterato e non occasionale, la definitività dell’abbandono, il degrado dell’area, la quantità considerevole di rifiuti – per ritenere sussistente tale fattispecie, in luogo di quella, meno grave, di abbandono di rifiuti, di cui all’art. 256 comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.

In secondo luogo, le medesime violazioni, questa volta in relazione all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006 e 240 c.p., venivano denunciate dal ricorrente, con riferimento alla conferma, contenuta nella pronuncia di condanna di secondo grado, della confisca dell’area sulla quale insisteva la discarica abusiva, sebbene della stessa fosse comproprietaria la moglie dell’imputato, del tutto estranea al reato.

2 – Le statuizioni della Corte: il discrimen tra il reato di discarica abusiva e quello di abbandono di rifiuti

Nel restituire al mittente la prima doglianza, ritenuta manifestamente infondata, la Corte richiama i propri precedenti in materia di discarica abusiva, in forza dei quali la fattispecie può ritenersi integrata anche “attraverso il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono, con trasformazione, sia pure tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti[1].

A riguardo, ricordano in particolare i giudici: “è sufficiente l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata[2].

Richiamati questi precedenti giurisprudenziali, la Corte propone un decalogo delle caratteristiche la cui presenza “costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata”: “l’accumulo più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un’area determinata; l’eterogeneità dell’ammasso dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione[3].

E chiosa, infine, osservando – con specifico riguardo alla linea di demarcazione sussistente tra la fattispecie di discarica abusiva e quella, meno gravosa, di abbandono di rifiuti – “mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso di plurimi conferimenti –  o, pur quando consiste in un’unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco, nel reato di abbandono differisce la condotta che è meramente occasionale, ciò essendo desumibile dall’unicità ed estemporaneità della condotta medesima, che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive, e dalla quantità dei rifiuti abbandonati[4].

Sulla scorta dei suddetti principi, la Corte conclude, dunque, avallando il percorso motivazionale della sentenza impugnata, che, correttamente, avrebbe ritenuto sussistente il reato di discarica abusiva e non un mero abbandono di rifiuti, in ragione della “eterogeneità dei rifiuti medesimi (mobilia, pneumatici, rifiuti edili, rifiuti da imballaggio), che, come chiaramente emerge dalla sentenza di primo grado (…), si erano accumulati in quel luogo nel corso di un lungo arco di tempo”.

3 – La confisca dell’area adibita a discarica e il diritto alla restituzione del terzo titolare estraneo al reato

Venendo alle statuizioni inerenti alla confisca dell’area, la Corte dichiara inammissibile il motivo di ricorso presentato dall’imputato, per difetto di legittimazione.

Primariamente, nel merito, pur aderendo alla prospettazione difensiva in ordine alla impossibilità, per il giudice che pronunci sentenza di condanna per il reato di discarica abusiva, di disporre il provvedimento ablatorio sull’area interessata “in caso di comproprietà dell’area stessa, allorché i comproprietari non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non avendo l’area una intrinseca criminalità in senso assoluto e potendo essere bonificata dai residui inquinanti[5], i giudici compiono una ulteriore precisazione.

In caso di comproprietà indivisa, l’eventuale restituzione dell’intero bene a uno o più dei contitolari, consentendo anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell’immobile, determinerebbe una “evidente elusione della ratio della norma, che va individuata nell’opposta esigenza di evitare che l’area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario, il quale l’abbia già utilizzata come strumento del reato”.

Ne consegue – affermano i giudici – che l’unica strada per garantire il diritto del terzo estraneo al reato e, al contempo, non frustrare la finalità della previsione legislativa, che impone di sottrarre il sito destinato a discarica dalla disponibilità dell’autore del reato, deve identificarsi nella restituzione al primo della relativa quota di spettanza “come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre[6].

Tanto chiarito, i giudici osservano dunque come, nella specie, certamente dovesse essere mantenuta la confisca pro quota dell’area a carico dell’imputato, salva l’eventuale restituzione del bene, sempre pro quota, alla contitolare estranea al reato, la quale tuttavia, sola, doveva ritenersi legittimata a formulare istanza in tal senso, attivando la procedura prevista dagli artt. 666 e ss. c.p.p., avanti al giudice dell’esecuzione.

4 – Conclusioni

La pronuncia in commento aderisce a principi ormai consolidati in giurisprudenza in punto di identificazione dei connotati di tipicità del reato di discarica abusiva. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque.

Pare tuttavia che, all’atto della trasposizione di tali principi al caso pratico, la Corte si sia accontentata dell’accertata sussistenza, nella specie, di alcuni soltanto dei requisiti valorizzati dai giudici di legittimità, ai fini della qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 256 comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, e abbia ritenuto integrato il reato pur a fronte di un dato fattuale non esattamente coerente con quello oggetto dei precedenti giurisprudenziali sul punto.  

Come ricorda la stessa Corte nel proprio percorso motivazionale, gli indici idonei ad attribuire al fatto tale veste giuridica andrebbero identificati, da un lato, nelle caratteristiche proprie della condotta di derelizione, non episodica ma connotata da ripetitività o, comunque, avente carattere strutturato; dall’altro lato, negli attributi tipici dell’accumulo realizzato, che deve assumere la fisionomia di un deposito tendenzialmente definitivo, con produzione di una trasformazione dell’area medesima[7], in termini di insorgenza di uno stato di degrado (almeno tendenziale)[8]. A quest’ultimo riguardo, indici fattuali sintomatici sono ritenuti, in particolare, la quantità di rifiuti accatastati e lo spazio in concreto occupato dal materiale derelitto.

Nella specie, la Corte ritiene esente da censure l’argomentare dei giudici di merito in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 256 comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, fondato sulla valorizzazione di due circostanze: l’“eterogeneità” dei rifiuti ammassati sul sito e il relativo accumulo sull’area “nel corso di un lungo arco di tempo”.

Ebbene, con riguardo al primo connotato, va osservato che, seppure la non omogeneità dei rifiuti sia stata effettivamente valorizzata anche nell’ambito di altre pronunce di legittimità, oltre ad essere stata evocata in aggiunta a ulteriori circostanze inerenti alla modalità della condotta e alle caratteristiche del deposito dei rifiuti, per espressa ammissione della giurisprudenza, non rappresenterebbe, comunque, elemento costitutivo del fatto tipico del reato: “né l’eterogeneità, ancorché di fatto spesso rinvenibile nell’ammasso dei rifiuti su una determinata area, né la natura pericolosa dei rifiuti, che configura una specifica aggravante, costituiscono elementi costitutivi della fattispecie contravvenzionale in esame[9].

Con riferimento, invece, al dato inerente all’accumulo dei rifiuti sul terreno per un periodo prolungato, si fatica a comprendere, in assenza di ulteriori precisazioni, se il richiamo dei giudici di merito, avallato dalla Suprema Corte, vada riferito all’accertata ripetitività della condotta o, piuttosto, al carattere tendenzialmente definitivo dell’abbandono del materiale depositato presso il sito.

In ogni caso, non può non rilevarsi la carenza, nella statuizione di merito richiamata dalla Cassazione, di qualsivoglia valutazione con riferimento al profilo inerente al quantitativo dei rifiuti abbandonati e alle complessive dimensioni dell’area occupata dal materiale (nella sentenza, si rinviene esclusivamente un richiamo, nella ricostruzione in fatto, alla circostanza che i rifiuti ammontassero a circa 6 metri cubi), nonché alla, connessa, effettiva trasformazione del sito. E ciò sebbene, alla luce della casistica sul punto, si fatichi a qualificare, oggettivamente e pacificamente, l’entità dell’abbandono realizzato nella specie in termini di rilevanza[10] e pur in assenza di indici specifici – non evocati nella pronuncia – atti a dare evidenza del materiale stato di degrado dell’area[11].

Una valutazione, questa, che sarebbe stata tanto più dovuta, anche al fine di verificare la sussistenza, in luogo del reato di discarica abusiva, di quello di deposito incontrollato di rifiuti, sempre contemplato dal comma 2 dell’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006, rispetto al quale i giudici di legittimità hanno avuto modo di rilevare che ove “si realizzi con plurime condotte di accumulo in assenza di attività di gestione”, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda proprio eprincipalmente“sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati[12].

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NOTE:

[1] La Cassazione richiama Corte Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2013, n. 47501 e Corte Cass. pen., Sez. III, 12 maggio 2004, n. 27296

[2] Corte Cass. pen., Sez. III, 12 maggio 2004, n. 27296

[3] Cfr., in questi stessi termini, ex pluribus, Corte Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2017, n. 18399. Sul punto, i giudici di legittimità hanno puntualizzato che “il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono, anche se collocata all’interno dello stabilimento produttivo”.

[4] Corte Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2017, n. 18399. I giudici hanno altresì precisato che la fattispecie di cui all’art. 256 comma 3 D.Lgs. n. 152/2006 prevede due distinte modalità di azione: la realizzazione e la gestione di una discarica abusiva. Alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite Zaccarelli (Corte Cass. pen., Sez. Unite, 5 ottobre 1994, n. 12753) – dicono i giudici – la prima condotta consiste “nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione, di norma, delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione, ecc”, mentre la seconda “presuppone l’apprestamento di un’area per raccogliervi i rifiuti e consiste, nell’attivazione di una organizzazione, articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine (come, ad esempio, quelle per il compattamento dei rifiuti) diretta al funzionamento della discarica”. Tanto premesso, la Corte ha precisato che “realizzare una discarica può ben significare allestire o anche destinare semplicemente un determinato sito a tale scopo, con la conseguenza che la eventuale realizzazione di opere può confermare la destinazione dell’area a discarica ma non costituisce una condizione assolutamente necessaria”.

[5] I giudici richiamano, sul punto, Corte Cass. pen., Sez. III, 15 gennaio 2002, n. 7430; Corte Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2006, n. 6441; Corte Cass. pen., Sez. III, 7 aprile 2009, n. 26950.

[6] Corte Cass. pen., Sez. III, 24 gennaio 2006, n. 6441, Corte Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2007, n. 2477; Corte Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2018, n. 28751.

[7] Corte Cass. pen., Sez. III, 1 febbraio 2023, n. 4214.

[8] Corte Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2019, n. 25548.

[9] Corte Cass. pen., Sez. III, 28 aprile 2022, n. 21029.

[10] In Corte Cass. pen., Sez. III, 20 maggio 2022, n. 19864: la Cassazione ha ritenuto integrato il reato di discarica abusiva in relazione all’accumulo di “materiali ferrosi e in plastica pari a circa 300 quintali”, tenuto conto “delle dimensioni dell’area, circa 400 mq., della presenza di rifiuti di varia natura (oltre agli elettrodomestici, plastica varia, cavi elettrici, pezzi di legno, reti di recinzione, scarti di infissi), del quantitativo”.

In Corte Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2013, n. 47501 la Corte ha ritenuto integrato il reato di gestione illecita di rifiuti in relazione all’accumulo di rifiuti eterogenei su un terreno di circa 2.000 mq.

In Corte Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2019, n. 25548 è stata esclusa la sussistenza del reato di discarica abusiva in relazione al “deposito, sopra un’area di circa 100 mq., di materiale vario tra cui frigoriferi, pneumatici, materiale ferroso, due autocarri, un’autovettura”. Secondo quanto ricostruito dai giudici di legittimità “gli autocarri del tutto fatiscenti erano a loro volta da tempo adibiti a ricettacolo di rifiuti ingombranti della più varia natura da cerchioni di biciclette a parti di saracinesca ed altro (frigoriferi ed una autovettura)…entrambi i veicoli erano palesemente oggetto di abbandono” e, sulla base delle fotografie riproducenti il sito, lo stesso risultava caratterizzato da “crescita della vegetazione tra i rifiuti, segnale univoco del tempo trascorso e dell’accumularsi di più modesti abbandoni di materiale vario”. I giudici di legittimità hanno osservato come, nel caso di specie, la sentenza impugnata “descrivendo la situazione nei termini più sopra indicati e pur dando atto che la zona era ‘limitata per estensione’” avesse poi concluso nel senso di un “degrado complessivo dell’area atto a realizzare la dimensione di offensività propria del reato di discarica abusiva”. Una conclusione che è stata ritenuta “apodittica e contraddittoria rispetto alla descrizione dei luoghi (i due autocarri, utilizzati quali contenitori per gli altri rifiuti), alla sostanziale omogeneità dei rifiuti (veicoli e parti degli stessi, quali pneumatici, e rottami ferrosi), alla loro modesta quantità anche in considerazione della ridottissima estensione dell’area, posto che, per le dimensioni dei due autocarri, gli stessi ne occupavano sostanzialmente la metà”. 

[11] In Corte Cass. pen., Sez. III, 1 febbraio 2023, n. 4214, il reato di discarica abusiva è stato ritenuto sussistente in presenza dei seguenti “plurimi elementi sintomatici”: “l’accumulo (più o meno sistematico), ma comunque non occasionale, di rifiuti in un’area determinata e per un’ampia estensione della stessa; l’eterogeneità dell’ammasso dei beni accantonati; la condizione di degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali (promiscui, pericolosi e non pericolosi, con tracce di ruggine e con erbacce, non rimossi e accumulati indistintamente, con evidente dismissione senza possibilità di riutilizzo)”.

In Corte Cass. pen., Sez. III, 17 giugno 2004, n. 27296, la Cassazione ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 256 comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 in relazione all’accumulo di “carcasse di auto, oli esausti, materiale plastico derivante dalla copertura delle serre, fusti provenienti dalle industrie farmaceutiche, gomme per autovetture” sulla base dei seguenti rilievi “1) l’imponente mole di materiali depositati e la varietà degli stessi (da semplici teloni da serra a batterie per autovetture); 2) la giacenza dei detti materiali da lungo tempo sul posto (testimoniata dalla corrosione degli stessi e dal rilascio sul terreno di scorie oleose); 3) l’impossibilità di destinazione al commercio di tali materiali, in quanto inutilizzabili”. 

[12] Corte Cass. pen., Sez. III, 26 marzo 2019, n. 25548;Negli stessi termini, Corte Cass. pen., Sez. III, 17 aprile 2020, n. 12393; Corte Cass. pen., Sez. III, 20 maggio 2022, n. 19864. Da ultimo, anche Corte Cass. pen., Sez. III, 1 febbraio 2023, n. 4214 che ha avallato la decisione dei giudici di merito laddove avevano escluso, nella specie, la ricorrenza del deposito incontrollato “evidenziando le caratteristiche, l’eterogeneità, l’apprezzabile quantitativo dei rifiuti in rapporto alla estensione dell’area, la ripetizione nel tempo delle condotte di abbandono, la trasformazione e il degrado dell’area (desunta dalla corrosione dalla ruggine e dalla presenza di sterpaglie)”.

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