Siti contaminati: il proprietario incolpevole vittima di una ricostruzione che non convince

04 Ago 2022 | giurisprudenza, amministrativo

di Andrea Gallarini

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 1° giugno 2022, n. 4445 – Pres. Hadrain Simonetti, Est.  Andrea Pannone – Omissis (Avv. Prof. Gennaro Terraciano e Avv. Romina Raponi) c. Ministero della transizione economica (Avvocatura generale dello Stato), Ministero della Salute e Ministero dello sviluppo economico (non costituiti)

[Conferma TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, Sez. I, n. 1709/2015]

La messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario e detentore del sito da cui possono scaturire danni all’ambiente. Non avendo finalità ripristinatoria, non presuppone l’accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario.

Il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto – ai sensi dell’art. 245, comma 2 del D.gs. 152/2006 – ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, oltre a quelle di messa in sicurezza permanente e bonifica nell’ipotesi in cui abbia attivato volontariamente tali interventi.

Leggendo la sentenza in commento, non può non venire alla mente la canzone dei Creedence Clearwater Revival “Bad Moon Rising” e – in particolare – la prima strofa (“I see the bad moon rising, I see trouble on the way…”).

Si prospettano, infatti,  tempi sempre più duri per i proprietari incolpevoli di siti contaminati: il Consiglio di Stato – con una recentissima decisione che, come si dirà a breve, suscita numerose perplessità anche sul piano della motivazione – prosegue, infatti, lungo quel pericoloso crinale giurisprudenziale (inaugurato circa una decina di anni or sono) che ammette la possibilità di porre a carico del soggetto non responsabile della contaminazione non solo le misure di prevenzione ma anche le (ben più onerose) misure di messa in sicurezza di emergenza.

Si tratta di una tesi (a parere di chi scrive, del tutto contra legem) che determina un duplice risultato pratico: da un lato, lo strisciante superamento delle originarie scelte di politica ambientale compiute dal legislatore e, dall’altro il silenzioso e sistematico “smantellamento” del principio cardine “chi inquina paga” (e dei suoi corollari).

Se, dunque, questa è la situazione che oggi traspare dalle più recenti decisioni in tema di obblighi del proprietario incolpevole, non si può non condividere la posizione di coloro che ritengono insufficiente – per porre fine a tale deriva – una nuova pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, essendo in realtà i tempi maturi per un intervento legislativo diretto che (pur a fronte della già chiara previsione normativa di cui all’art. 245, comma 2, D.lgs. 152/2006) elimini ogni possibilità di inammissibili interpretazioni estensive volte a dilatare oltre misura la responsabilità dei proprietari incolpevoli.

Questi i fatti oggetto di esame da parte dei giudici di Palazzo Spada.

Una società, proprietaria di un sito produttivo in un comune pugliese (già ricompreso in un SIN), prende attivamente parte al procedimento di bonifica dell’area, partecipando ai lavori della conferenza di servizi, predisponendo un piano di caratterizzazione ed eseguendo – sempre su richiesta degli enti – un monitoraggio delle acque di falda.

All’esito del predetto monitoraggio, emergono a carico della falda alcuni superamenti sporadici in relazione ai limiti previsti per il ferro, il piombo, il rame e i solfati, oltre a superamenti per i “composti organici aromatici” e gli “idrocarburi totali espressi come n-esano”. Da quanto emerge in sentenza, tali superamenti non sarebbero riconducibili alla società proprietaria del sito non “[…] essendo stati riscontrati analoghi superamenti nei campioni di acqua di falda prelevati dai piezometri posti idrogeologicamente a valle […]” ed essendo stata al contrario dimostrata la “[…] riferibilità di tali contaminazioni alle attività di raffinazione insediate a monte […]”.

Pur a fronte delle estraneità della società rispetto ai superamenti registrati in falda, in sede di conferenza di servizi gli enti hanno concluso ponendo a carico della ricorrente l’avvio immediato (“entro venti giorni dalla trasmissione del verbale”) di idonei interventi di messa in sicurezza d’emergenza delle acque di falda contaminate. Tale posizione è stata recepita dal Ministero della Transizione Ecologica con decreto direttoriale, poi impugnato avanti al TAR Puglia, sede distaccata di Lecce.

Nel proprio ricorso giurisdizionale avanti al TAR Lecce, la società (che comunque ha dato esecuzione a quanto richiesto in sede di conferenza di servizi, anche per ciò che concerne l’adozione delle misure di messa in sicurezza di emergenza) ha eccepito – per quanto più di interesse in questa sede – la “[…] violazione dell’art. 242 del d.lgs. 152/2006 e del principio di derivazione comunitaria “chi inquina paga […]”.

I giudici di prime cure respingono il ricorso con una motivazione contraddittoria che, di fatto, confonde le misure di messa in sicurezza con le (diverse) misure di prevenzione o, comunque, parifica le due figure[i]. Nella sentenza del TAR Lecce si legge, infatti, quanto segue:

[…] È bensì vero che, come diffusamente chiarito dal Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione (AP n. 21/2013), L’amministrazione non può imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia ancora l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica di cui all’art. 240, comma 1, lett. m) e p), d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietari “incolpevole” restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo d.lgs. in tema di onere reale e privilegi speciale immobiliare. Pertanto, conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe sugli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento […] Se ciò è vero, non va nondimeno trascurato che, ai sensi dell’art. 245 co. 2 d.lgs. n. 152/06 […] il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della […] (CSC) deve […] attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242. In base al precedente art. 242 l’obbligo di adottare le misure di prevenzione sussiste anche in relazione alle contaminazioni storiche, dal che deriva l’infondatezza dell’assunto della ricorrente a dire della quale trattandosi di contaminazioni risalenti nel tempo sarebbe precluso il ricorso agli strumenti della messa in sicurezza d’emergenza […]”.

Nella stessa sentenza, il TAR arriva poi a configurare, in capo al proprietario incolpevole, una vera e propria responsabilità da posizione che – se, in linea di principio, può essere ammessa in relazione all’obbligo di adottare misure di prevenzione, essendo tale ipotesi prevista espressamente nell’art. 245 comma 2 del D.lgs. 152/2006 – non può trovare spazio in relazione alla MISE[ii]:

[…] Pertanto, è evidente che […] sul proprietario/gestore dell’area inquinata grava comunque un obbligo di prevenzione, la qual cosa si giustifica in considerazione che fatto che, avendo il proprietario/gestore dell’area inquinata grava comunque un obbligo di prevenzione, la qual cosa si giustifica in considerazione del fatto che, avendo il proprietario/gestore un potere di uso e custodia dell’area inquinata, conseguente alla signoria che egli esercita su di essa, egli deve ritenersi soggetto indicato per l’adozione degli interventi di carattere preventivo […]”.

Avverso la decisione del TAR Lecce, la società propone appello avanti al Consiglio di Stato ribadendo, in particolare:

  • la carenza dei presupposti di legge per l’imposizione di una misura di messa in sicurezza di emergenza;
  • la non corretta individuazione delle opere di prevenzione e delle opere di messa in sicurezza di emergenza;
  • l’imponibilità delle misure di sicurezza di emergenza al solo soggetto inquinatore.

Con decisione assunta in camera di consiglio in data 2 dicembre 2021 e pubblicata mediante deposito in data 1° giugno 2022, il Consiglio di Stato ha rigettato tutti i motivi di impugnazione, soffermandosi in particolare sulla censura attinente alla posizione del proprietario incolpevole rispetto alle misure di messa in sicurezza di emergenza.

Ebbene, proprio in relazione a tale profilo i giudici di Palazzo Spada cadono – a parere di chi scrive – in una insanabile contraddizione in quanto, da un lato, ribadiscono (al pari di quanto sostenuto dal TAR Lecce) il principio secondo cui “[…] il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell’inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) […] è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione […]” (enfasi aggiunta, ndr) e, dall’altro, facendo leva sulla natura non sanzionatoria delle misure di messa in sicurezza, riconducono queste ultime ai principii – che vincolano anche il proprietario/detentore incolpevole – dell’azione preventiva e di precauzione. Da tali premesse non si comprende, quindi, come possa derivare la contraddittoria conclusione per cui il Consiglio di Stato giunge ad ammettere l’imposizione di misure di sicurezza di emergenza in capo al c.d. “innocent owner”.

Sulla premessa della erroneità del riferimento, quale criterio distintivo, alla natura sanzionatoria – che, non caratterizzando nemmeno l’obbligo di bonifica, non può certo assumere rilievo rispetto alle misure di messa in sicurezza di emergenza, che, per quanto onerose, non hanno la stessa portata di un intervento di bonifica o di MISP – resta fermo il principio (logico prima ancora che giuridico) secondo cui tertium non datur: o la messa in sicurezza è applicabile anche ai proprietari incolpevoli o non lo è.

In altri termini, non è possibile tener ferma la regola secondo cui la MISE è obbligo del solo responsabile della contaminazione (per usare le parole dello stesso Consiglio di Stato: “ossia colui al quale –per una sua condotta commissiva od omissiva – sia imputabile [sul piano causale, ndr] l’inquinamento”) e – allo stesso tempo – richiamare il principio di prevenzione e di azione preventiva per far “rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta”, tacciando di inconferenza l’accertamento del dolo e della colpa in capo al proprietario (accertamento che, come detto, viene invece indicato in sentenza come l’elemento identificativo del soggetto responsabile della contaminazione, l’unico al quale competono le misure di messa in sicurezza) .

Considerate le rilevantissime implicazioni pratiche a cui conduce la tesi ribadita, in ultimo, dai giudici di appello, un ulteriore sforzo motivazionale sarebbe stato certamente molto apprezzato da tutti i soggetti interessati. Purtroppo, (anche) questa volta il Consiglio di Stato è stato di diverso avviso.

In ultimo, va evidenziato come – nel caso specifico affrontato in sentenza – il rigetto dell’appello abbia trovato ragione, secondo i giudici di Palazzo Spada, anche in un ulteriore motivo: senza richiamare espressamente la tesi della negotiorum gestio (applicata da parte della giurisprudenza al fine di giustificare l’imposizione di un obbligo di bonifica in capo al proprietario incolpevole), il Consiglio di stato afferma, infatti, che l’inapplicabilità delle misure di messa in sicurezza all’innocent owner non trovi spazio nell’ipotesi in cui il proprietario, ancorché non responsabile, abbia volontariamente attivato gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale.

Alla luce delle considerazioni critiche sopra svolte, risulta ancora più condivisibile la tesi di chi ritiene ormai non più procrastinabile un intervento chiarificatore del legislatore: se, infatti, l’esistenza di due differenti orientamenti giurisprudenziali in tema di applicabilità della MISE al proprietario incolpevole fa sì che situazioni analoghe siano trattate in modo differente, le motivazioni solitamente poste alla base della tesi ribadita nella sentenza in commento appaiono – sempre a parere di chi scrive – del tutto insoddisfacenti e contraddittorie, soprattutto se si considera che tale tesi risulta del tutto contraria al dato normativo e, in particolare, alle previsioni di cui all’art. 245 D.lgs. 152/2006.

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Commento CdS 4445.2022_20 Luglio 2022 (1)

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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NOTE

[i] In relazione alla pretesa equiparazione delle misure di prevenzione alla MISE, si veda – in questa rivista – Maschietto “La Mise è uguale alle misure di prevenzione? Bonifica: non c’è pace per il proprietario incolpevole”.

[ii] Sotto questo profilo, dunque, la decisione che si commenta in questa sede si pone in netto contrasto con altri precedenti (sia del Consiglio di Stato, sia della Corte di Cassazione): “Va aggiunto che l’obbligo in capo al proprietario di procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica dell’area, non potrebbe essere desunto neanche dai principi civilistici in materia di responsabilità aquiliana e, in particolare, da quello di cui all’art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode). Tale criterio, infatti, da un lato, richiederebbe, comunque, l’accertamento della qualità di custode dell’area al momento dell’inquinamento (e, quindi, almeno sotto questo profilo, l’accertamento di una forma di responsabilità in capo al proprietario) e, dall’altro, sembra comunque porsi in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica previsti dagli articoli 240 e ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006, che dettano una disciplina esaustiva della materia, non integrabile dalla sovrapposizione di una normativa (quella del codice civile, appunto) ispirata a ben diverse esigenze” (Cons. Stato, Ad. Plen., 25/09/2013, n. 21; conforme TAR Firenze, 21/02/2018, n. 291). Negli stessi termini, anche se in relazione alla norma precedente al Codice dell’Ambiente, Cass. Civ., 28 giugno 2018, n. 17045.

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