Procedimento di formazione del piano regionale di gestione dei rifiuti e sindacabilità delle scelte #2

01 Lug 2023 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 4

di Giuseppe Tempesta

Consiglio di Stato, Sez. IV – 24 marzo 2023, n. 2997 – Pres. V. Neri, Rel. S. Martino – Regione Veneto (avv.ti Antonella Cusin, Andrea Manzi, Francesco Zanlucchi ed Ezio Zanon) contro B. s.r.l. (non costituita in giudizio) e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Avvocatura Generale dello Stato) della Provincia di Verona e di O.R. (non costituiti in giudizio)

L’adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti costituisce atto dovuto, necessario e urgente, afferente al novero dei poteri legittimamente esercitabili dal consiglio regionale in regime di prorogatio.

La valutazione svolta dalla commissione regionale VAS costituisce solo uno degli apporti confluenti nel procedimento di formazione del piano regionale di gestione dei rifiuti e non preclude alla Regione scelte più cautelative per la salute e per l’ambiente.

La scelta compiuta dalla Regione in ordine al bilanciamento degli interessi coinvolti, in quanto espressione di discrezionalità amministrativa, può essere sindacata solo entro i limiti della legittimità per errori di fatto o evidenti illogicità, e non nel merito; pertanto, il piano regionale di gestione dei rifiuti è suscettibile di annullamento solo ove emergano dati tecnico – scientifici idonei a comprovare la manifesta illogicità della scelta regionale ovvero la violazione del principio di proporzionalità in rapporto a quello di precauzione.

  1. La società ricorrente, attiva nel settore del recupero e della trasformazione dei rifiuti organici, ha proposto ricorso dinanzi al TAR Veneto al fine di ottenere l’annullamento del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali, in particolare nella parte relativa alla distanza minima degli impianti di digestione aerobica e anaerobica di matrici organiche dagli edifici pubblici e dalle abitazioni.

Ciò in quanto, al fine di ridurre gli impatti odorigeni, la ricorrente aveva presentato un progetto di ampliamento del proprio impianto di compostaggio, elaborato nel rispetto della disciplina di cui al vigente piano regionale di gestione dei rifiuti urbani, nonché di quella contenuta nella proposta relativa al nuovo piano regionale dei rifiuti, adottato dal Consiglio regionale, su cui la Commissione Regionale VAS si era espressa favorevolmente.

Senonché, la deliberazione di approvazione del piano adottata dal Consiglio regionale, discostandosi dalla valutazione svolta in sede di VAS, ha disposto che per gli impianti di recupero aerobico e anaerobico di matrici organiche debba essere prevista una distanza minima dalle abitazioni di 500 metri, pari al doppio di quella contenuta nella proposta di piano.

La suddetta deliberazione è stata impugnata sulla scorta di una pluralità di motivi, in parte accolti dal TAR Veneto, con riferimento ai poteri dell’organo consiliare in prorogatio e alla disciplina in materia di distanze, procedendo all’annullamento del piano regionale limitatamente alla parte oggetto di censura.

La Regione soccombente ha promosso il giudizio d’appello.

  1. Il Consiglio di Stato, Sez. IV, nel solco di precedenti pronunce (n. 2276/2017; n. 2298/2017, n. 2304 e 2305/2017, n. 4535/2017), ha ribaltato l’esito del giudizio di primo grado, tracciando precise coordinate in ordine alle questioni interpretative investite dal gravame: i poteri del Consiglio regionale in regime di prorogatio, la qualificabilità del piano regionale dei rifiuti come atto necessario e urgente e/o dovuto, nonché il rilievo da attribuire alla valutazione della Commissione VAS nell’ambito del procedimento amministrativo preordinato all’adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti.

In ordine al primo aspetto, trovano applicazione i principi già delineati dalla Corte costituzionale con le sentenze 2 novembre 2016 n. 243, 15 luglio 2015 n. 158, 15 maggio 2015 n. 81, 17 aprile 2015 n. 64 e 31 marzo 2015 n. 55 che, sebbene intervenute in ordine all’esercizio dei poteri legislativi degli organi elettivi regionali in regime di prorogatio, risultano suscettibili di applicazione anche alla diversa fattispecie oggetto del giudizio, concernente l’esercizio di poteri amministrativi.

Il Giudice amministrativo ha precisato che la ratio sottesa ai limiti cui soggiacciono i poteri legislativi durante il regime di prorogatio è parimenti riferibile ai poteri amministrativi, consistendo nell’“esigenza di assicurare una competizione elettorale trasparente e libera”, non soggetta ai condizionamenti scaturenti dall’esercizio distorto tanto dei primi quanto dei secondi.

Sicché, “anche in mancanza di previsioni statutarie deve ritenersi immanente all’istituto della “prorogatio” l’esistenza di limiti ai poteri esercitabili dal Consiglio regionale. In questa fase, i Consigli regionali sono infatti titolari di “poteri attenuati, confacenti alla loro situazione di organi in scadenza” (Corte cost., sentenza n. 468 del1991). In mancanza di esplicite indicazioni contenute negli Statuti, essi devono pertanto limitarsi al “solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili” (ex plurimis, Corte Cost., sentenza n. 68 del2010)”.

  1. Alla luce di siffatte premesse, il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha esaminato la legittimità della delibera di approvazione del piano regionale, muovendo, per l’appunto, dal suo inquadramento come atto necessario e urgente e/o dovuto.

In particolare, il Giudice amministrativo ha rilevato come, stante l’obbligo di adozione del piano posto dalla direttiva rifiuti 2008/98/CE, recepito dal d.lgs. n. 152/2006 e risultando decorso il termine previsto dall’art. 199 del Codice dell’ambiente per l’approvazione senza che la Regione avesse provveduto in tal senso, la sua adozione deve considerarsi “atto dovuto, oltre che necessario ed urgente” ovvero “atto necessitato sulla base degli obblighi fissati dalla direttiva rifiuti del 2008”, afferente al novero dei poteri legittimamente esercitabili dal Consiglio Regionale in prorogatio.

Dalla giurisprudenza della Corte costituzionale si evince, con chiarezza, come “il requisito della necessità ed urgenza non costituisc[a] l’unico e generale presupposto per l’esercizio dei poteri in prorogatio, poiché sussiste anche quello degli atti dovuti in base a disposizioni costituzionali o legislative statali (…)” (Corte Cost. n. 243/2016), proprio come nella fattispecie oggetto del giudizio.

A tal proposito, è stato peraltro evidenziato come risultasse priva di qualsivoglia rilevanza la circostanza che, al tempo dell’adozione del piano, non risultasse ancora aperto un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia per elusione della direttiva 2008/98/CE, nella parte relativa ai piani di gestione rifiuti (procedimento poi attivato il 15 febbraio 2017), atteso che “l’inosservanza di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea può inverarsi indipendentemente dall’immediata attivazione di tale procedimento”.

  1. Inoltre, la sentenza in esame contiene rilevanti statuizioni in ordine al rilievo da attribuire alla valutazione della Commissione VAS nell’ambito del procedimento amministrativo preordinato all’adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti.

L’esito interpretativo tratto dalla Sez. IV del Consiglio di Stato muove dal tenore letterale dell’art. 199, co. 3, lett. 1, del Codice dell’ambiente che, nel definire i contenuti del piano, evidenzia come questo costituisca “la sede che il legislatore ha scelto al fine di ponderare i complessi interessi coinvolti dalla decisione”.

Tanto la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 272/2020), quanto quella amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, n. 7839/2022), risultano pacificamente assestate in tal senso, avendo rinvenuto nella pianificazione regionale in materia di rifiuti la sede di composizione di interessi eterogenei, talvolta divergenti, nel cui bilanciamento si rinviene il contenuto tipico della discrezionalità amministrativa, sindacabile solo entro i limiti della legittimità, per errori di fatto o evidenti illogicità delle scelte compiute, ma non nel merito.

Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal Giudice di prime cure, non può ragionevolmente ritenersi che la decisione assunta dall’organo consiliare, in senso maggiormente cautelativo dalla valutazione svolta in sede di VAS, in quanto ha previsto una maggiore distanza, sia di per sé sufficiente a inficiare la legittimità del piano, dovendosi addurre a fondamento dell’annullamento giurisdizionale dati tecnico – scientifici idonei a comprovare la manifesta illogicità della scelta regionale ovvero la violazione del principio di proporzionalità in rapporto a quello di precauzione.

Posto che “quello della Commissione è soltanto uno degli apporti, sia pure particolarmente qualificato, che confluiscono nel procedimento di formazione del Piano”, la Regione potrà sempre optare per una scelta più cautelativa per la salute e per l’ambiente, ad esempio, imponendo un divieto di localizzazione più ampio di quello prospettato in sede di VAS, in ragione – come nel caso di specie – del potenziale impatto odorigeno della tipologia di impianto.

Il diritto alla salute e alla tutela dell’ambiente restano, ovviamente, principi inviolabili e costituzionalmente garantiti, sulla base dei quali il Consiglio di Stato, Sez. IV, si è pronunciato.

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Tempesta Cons._Stato_Sez. IV_2997_2023 rev rt

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

CdS_2023_2997

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