di Andrea Marcora
CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 21 febbraio 2023 (dep. 18 aprile 2023), n. 16354 – Pres. Andreazza, Est. Reynaud – Ric. A. A.
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti può avere natura permanente, nel caso in cui l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, caratterizzandosi invece come reato di natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l’intero disvalore della condotta, e, ai fini dell’individuazione della natura del reato è necessario tener conto delle circostanze del caso concreto. Quando l’attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti abbia, per le concrete circostanze del caso, natura di reato permanente, detta permanenza cessa non solo quando termini la condotta tipica, ma anche nel momento in cui, per qualsiasi causa, la medesima venga interrotta.
- La decisione in commento
Nella vicenda in esame all’imputato era contestato ai sensi dell’art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, in via alternativa, l’abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi rinvenuti nell’immobile in cui aveva avuto sede la società da questi gestita; si precisa che i fatti venivano accertati a distanza di circa un anno e mezzo rispetto al momento nel quale il ricorrente aveva lasciato l’immobile medesimo.
La sentenza impugnata aveva ritenuto che i fatti fossero da qualificare come integranti il reato di deposito incontrollato di rifiuti, fattispecie la cui consumazione cesserebbe – si affermava – solo con lo smaltimento dei rifiuti o con l’accertamento della condotta illecita; sulla scorta di tali premesse, il Tribunale aveva quindi disatteso la richiesta difensiva volta alla declaratoria di estinzione del reato in contestazione per intervenuta prescrizione ed aveva così condannato il prevenuto alla pena di 2.000 euro di ammenda.
La Corte si determinava invece per l’accoglimento del ricorso, evidenziando che la condotta realizzata dal ricorrente, anche a volerla ritenere integrante il reato di deposito incontrollato, non risultava fosse stata prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, e, comunque, si era interrotta per la perdita della disponibilità del sito da parte del medesimo; conseguentemente veniva riconosciuta la intervenuta prescrizione dell’addebito in contestazione già in epoca precedente rispetto alla pronuncia del Tribunale, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.
- La questione in esame
La questione posta nel ricorso attiene alla individuazione del momento consumativo del reato in contestazione (che nel caso in oggetto è stato correlato alla perdita della disponibilità, da parte dell’imputato, del sito nel quale sono stati rinvenuti i rifiuti) ai fini del computo del termine di prescrizione del reato per cui si procede.
A tale proposito la Corte sviluppa un approfondimento in merito all’individuazione del momento consumativo del reato, prendendo in esame le due fattispecie che venivano alternativamente contestate all’imputato: quella di abbandono di rifiuti e quella di deposito incontrollato di rifiuti.
Richiamando alcune precisazioni di carattere generale, viene affermato in primo luogo che il reato di abbandono di rifiuti è in genere fattispecie istantanea con effetti permanenti, ma può essere permanente se consiste in una reiterazione di condotte; in tal caso, comunque, la protrazione della condotta (e dunque della consumazione) cesserebbe nel momento in cui si perfeziona l’ultima condotta dismissiva[1].
Quanto al reato di deposito incontrollato di rifiuti, si afferma invece che può avere natura permanente, nel caso in cui l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, caratterizzandosi invece come reato di natura istantanea con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, la quale esaurisca così l’intero disvalore della condotta; ai fini dell’individuazione della natura del reato è pertanto necessario tener conto delle circostanze del caso concreto[2].
Ritornando quindi al tema inizialmente presentato come centrale, quello cioè della individuazione del momento di consumazione del reato, la Corte in sentenza richiama una precedente pronuncia, condividendone il principio di diritto affermato, ove si precisava che, quando l’attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti abbia, per le concrete circostanze del caso, natura di reato permanente, detta permanenza cessa non solo quando termini la condotta tipica, ma anche nel momento in cui, per qualsiasi causa, la medesima venga interrotta[3].
- Qualche osservazione
La pronuncia in esame conferma l’indirizzo interpretativo, che si può definire “intermedio”, che va consolidandosi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, volto a valorizzare le circostanze concrete del singolo caso oggetto di scrutinio, al fine di procedere ad una qualificazione giuridica che si attagli alle relative peculiarità.
In precedenza si erano sul punto sviluppate due distinte posizioni che, muovendo peraltro dalla comune ottica di considerare le due condotte di abbandono e deposito incontrollato in modo unitario, concludevano attribuendo alle stesse, rispettivamente, natura di reato istantaneo, sulla scorta del fatto che le stesse si consumerebbero al momento dell’abbandono e senza che abbia rilievo la successiva omessa rimozione[4] e, più di recente, natura di reato permanente, “sul presupposto che, integrando la condotta prevista dalla norma una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero od allo smaltimento, la sua consumazione perdurerebbe sino allo smaltimento o al recupero”[5].
Trattasi di contrasto che veniva peraltro ritenuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità “più apparente che reale”, in quanto si è affermato che lo stesso potesse “essere superato attraverso la precisazione da parte della Corte del contenuto della propria giurisprudenza”[6].
Continuava infatti la Corte, nella pronuncia da ultimo richiamata, affermando che “non vi è dubbio che ogniqualvolta l’attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento ovvero di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi, pertanto, essa come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che essa costituisce il “grado zero”), la relativa illiceità penale permea di sé l’intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva) integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio; tutto ciò con le derivanti conseguenze anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Laddove invece, siffatta attività non costituisca l’antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni (…), ma racchiuda in sé l’intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente”.
Gli aspetti dunque più significativi della sentenza oggetto del presente commento afferiscono in primo luogo al fatto che con la stessa la Corte abbia accolto il ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado (che condannava l’imputato a pena pecuniaria), la quale aveva sposato quella linea interpretativa che mirava a valorizzare la natura tout court permanente delle fattispecie de qua (può ipotizzarsi anche in ragione di una maggiore sensibilità generalpreventiva); trattasi di ulteriore riprova del fatto che l’indirizzo interpretativo “intermedio” si conferma come in prospettiva prevalente.
In secondo luogo, risulta rilevante anche la specifica circostanza di fatto valorizzata dalla Corte come idonea a decretare la cessazione della condotta illecita: tale interruzione è stata infatti correlata all’allontanamento dal sito da parte dell’imputato, che ne rimetteva conseguentemente il pieno possesso al proprietario.
Giova infine segnalare come l’inerzia del soggetto proprietario del sito è valsa al medesimo l’attribuzione in concorso con il ricorrente dell’addebito (senza che si disponga di maggiori dettagli circa la configurazione concorsuale della contestazione), per il quale veniva originariamente emesso decreto penale di condanna, opposto dal solo odierno ricorrente con l’esito processuale oggetto della presente illustrazione. Indubbio infatti come la protrazione della presenza dei rifiuti in questione presso il sito rappresentasse una condizione penalmente rilevante, la cui responsabilità evidentemente si è ritenuto fosse da attribuire anche in capo al proprietario del sito, avuto riguardo al significativo lasso temporale intercorso tra il rientro nel possesso dell’area e la verifica che ha generato la segnalazione di notizia di reato (circa un anno e mezzo), oltre evidentemente agli ulteriori presupposti e requisiti delineati in giurisprudenza appunto per l’estensione della responsabilità gestionale in capo al proprietario dell’area.
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NOTE:
[1] La sentenza richiama a tale proposito, quale precedente di riferimento, Corte Cass. Pen., Sez. III, 13 gennaio 2022, n. 8088. Per il relativo commento, si veda G. Amendola, Abbandono – deposito incontrollato di rifiuti e Cassazione. Tutto chiaro?, in Rivistadga.it, n. 2/2022.
[2] La sentenza in commento richiama anche a tale proposito la pronuncia già citata nella nota precedente, nonché Corte Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2014, n. 30910, rispetto alla quale si veda infra.
[3] Corte Cass. pen., Sez. III, 9 maggio 2019, n. 36411, relativa ad una ipotesi di abbandono di rifiuti presso un cantiere per la realizzazione di opere edili, rispetto alla quale si è ritenuto che il persistente stato di malattia dell’imputato, con correlato stabile e prolungato abbandono dei lavori e del cantiere, fosse idoneo a determinare l’interruzione della permanenza.
[4] Ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 42343; Corte Cass., pen., Sez. III, 18 novembre 2010, n. 40850; Corte Cass. pen., Sez. III, 8 agosto 2017, n. 38977.
[5] Ex multis, Corte Cass. pen., Sez. III, 4 dicembre 2013, n. 488849; Corte Cass. pen., Sez. III, 23 giugno 2011, n. 25216.
[6] Corte Cass. pen., Sez. III, 15 luglio 2014, n. 30910.