Piani faunistico venatori e vinca: il nuovo booster è il buffer

26 Feb 2022 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 2

di Paola Brambilla

CONSIGLIO DI STATO – 6 dicembre 2021, n. 8126 – Pres. Scanderberg, Rel. Marzano– Federazione Italiana della Caccia (Avv. Franco Bertacchi) c. Provincia di Bergamo, Lombardia (avv. Alessio Petretti, Giorgio Vavassori, Bortolo Pasinelli, Katia Nava) e Regione Lombardia (avv. Sabrina Gallonetto, Annalisa Santagostino).

E’ ragionevole, congruo, scientificamente valido conforme al principio di precauzione e di protezione dei valori di ambiente, salute e sicurezza prevalenti sugli interessi economici delle associazioni venatorie un piano faunistico venatorio che – conformandosi al parere obbligatorio e alle prescrizioni dell’ente gestore di un sito di Rete Natura 2000 – (i) preveda la VINCA su attività in senso lato venatorie e sugli appostamenti fissi esistenti e da rinnovare; (ii) istituisca aree cuscinetto interdette alla caccia, all’attività cinofila e ad appostamenti fissi; (iii) disponga divieti di introduzione di fauna da allevamento o alloctona; (iv) escluda infine il computo dal TASP delle fasce di rispetto stradali in quanto improduttive.

L’ente che ha approvato la pianificazione (la Provincia) conserva legittimazione passiva processuale anche quando la funzione sia stata trasferita normativamente ad altra amministrazione (la Regione), ma la sentenza resa all’esito del giudizio spiega effetti vincolanti e conformativi solo in capo a quest’ultima che vi deve dare attuazione quale nuova titolare del munus.

Scienza e valutazione di incidenza mettono un punto fermo nella pianificazione faunistico venatoria.

La sentenza in esame giunge all’esito di un ventennale contezioso che ha visto, quale teatro, uno dei principali hot spot dell’illegalità venatoria, come evidenzia anche Piano d’azione c.d. antibracconaggio[i] varato alfine dallo Stato per sedare una procedura di preinfrazione europea, un’area prealpina in cui per decenni una ricca rete di siti di Rete Natura 2000 è stata oggetto di una pianificazione faunistico venatoria irrispettosa dei valori naturali e dell’esigenza di protezione di specie particolarmente protette, per lo più migratrici.

Sono questi taxa tra l’altro, fringuelli, pispole, peppole, turdidi, cesene, ad essere state oggetto per decenni di politiche e decisioni regionali fautrici della c.d. “caccia in deroga” condannata dall’Unione Europea con pronunce che si sono spinte, caso più che raro, sino ad ordinare la sospensione della normativa interna,[ii] per assicurare protezione a un bene sovranazionale e raro.[iii]

A fianco della derugulation normativa, frontiera di scontro tra Stato e Regioni dibattuta in sede costituzionale quanto alla competenza nella materia caccia o meglio sul valore ambiente, la contesa si sposta sempre più spesso sul capo di battaglia del concreto dispiegarsi dell’attività amministrativa, che talvolta ha i tratti della pianificazione faunistico venatoria,[iv] talaltra quelli del singolo procedimento valutativo o autorizzativo, dove si opera in concreto il bilanciamento tra contrapposti interessi, generali e particolari, con esiti soggetti al sindacato del giudice amministrativo.

Nel caso che ci occupa il contenzioso ha riguardato appunto il piano faunistico venatorio della provincia di Bergamo, impugnato a più riprese dal WWF Italia, ente gestore di un sito di importanza comunitaria, SIC-ZSC Valpredina Misma, interessato appunto dal transito di rotte migratorie e, proprio per questo passaggio atavico, soffocato da una miriade di appostamenti fissi di caccia e da un’intensa attività cinegetica, a lungo esentati dalla valutazione di incidenza.

Il primo ricorso, incardinato presso il Capo dello Stato, viene deciso nel 2006, ma la pianificazione resta lesiva dei valori ecosistemici di Rete Natura 2000 sicchè ne segue un secondo, che il TAR Lombardia decide ancora una volta in senso caducatorio nel 2010, con una pronuncia che toccava i temi della VINCA, delle aree percorse dal fuoco, dei valichi, dettando pesanti indicazioni conformative alla PA che alfine vi si è adeguata con il piano faunistico venatorio del 2013.

Quest’ultimo ha dovuto dunque finalmente tener conto della pronuncia e delle prescrizioni dell’ente gestore della ZSC, introitando una serie di misure poste a garanzia  dei valori naturalistici del piccolo sito, principalmente attraverso l’introduzione di un’area cuscinetto, c.d. buffer, di 1000 metri lungo tutti i confini del sito, nell’ambito del quale una serie di attività particolarmente invasive vengono precluse (attività venatorie comportanti l’utilizzo dei cani, o sottoposte a valutazione di incidenza (capanni di caccia) in sede di rinnovo per deciderne la compatibilità; altre misure, invece, sito-specifiche, vietano reintroduzioni di specie di allevamento o alloctone, animali (pernice rossa) o vegetali  (phytolacca, pyrocanta e ciliegio selvatico, nei pressi degli appostamenti fissi) anche nell’area buffer; infine il TASP, territorio agro-silvo-pastorale alla base della pianificazione e delle percentuali di territorio da sottoporre a tutela, viene conteggiato escludendo le fasce di rispetto stradale, inidonee a fini di rifugio e sostentamento della fauna selvatica.

Avverso la sentenza ricorrono due associazioni venatorie, ACL, che però lascia andare l’appello in perenzione, e Federcaccia, che invece lo coltiva sino alla decisione.

Entrambe, ed è questa la prima considerazione di natura processuale, non si curano minimamente di evocare in giudizio quale controinteressato l’ente gestore, ovvero il WWF Italia, della ZSC, nonostante proprietario del cuore dell’area, l’Oasi WWF Valpredina, nonché soggetto deputato a garantire la coerenza dei valori ecosistemici e della biodiversità del sito, tra l’altro autore della maggior parte delle prescrizioni recepite dalla VINCA e dal Piano. Tanto meno i giudici avvertono la rilevanza di quest’assenza, decisamente incongrua non tanto perché la VINCA è una valutazione endoprocedmentale incardinata nella VAS che accompagna la formazione dei piani, ma perché nel sistema della Direttiva Habitat ed Uccelli l’ente gestore è il soggetto in cui si condensano i doveri e le responsabilità di garantire lo stato di conservazione del sito e dei suoi endemismi, non più adespoti o affidati solo alla cura estemporanea degli enti del terzo settore e dei portatori di interessi diffusi, ma finalmente e stabilmente presidiati.

Nelle Linee Guida 2019[v] recentemente approvate dalla Conferenza Stato Regioni per porre termine a una procedura di preinfrazione legata alla difettosa o inadeguata applicazione delle direttive Rete Natura 2000, la centralità dell’ente gestore viene delineata a lettere capitali, posto che viene chiarito come sia lo Screening che la Valutazione di Incidenza Appropriata “si devono concludere con l’espressione di un parere motivato da parte dell’Autorità competente per la VINCA. Prima  dell’espressione di detto parere, l’Autorità VINCA acquisisce il “sentito” dell’Ente Gestore del Sito  Natura 2000, se non coincidente con la stessa o degli Enti gestori dei Siti Natura 2000 in caso di più siti interessati. Quanto espresso dagli Enti Gestori deve essere tenuto in considerazione nella redazione del parere finale.  Il parere motivato deve dare evidenza in modo chiaro ed univoco delle valutazioni effettuate e delle conclusioni raggiunte.” Allo stesso Ente gestore viene poi affidato il compito di presidiare i monitoraggi ed il rispetto delle eventuali condizioni d’obbligo, al fine di assicurare la perdurante verifica dello stato di conservazione di habitat e specie in relazione agli effetti previsti dal piano, programma od intervento.

Si osserva dunque che, parallelamente a questo ruolo procedimentale, non si potrebbe prescindere, nell’instaurazione del contraddittorio processuale, dall’evocazione in giudizio quale parte necessaria, non solo come controinteressato, dell’Ente gestore; spesso è infatti il solo in grado di apportare, anche nel contenzioso il punto di vista e le argomentazioni di natura tecnico scientifica non già dell’istituzione che sia autorità procedente o autorità competente, ma proprio il – per così dire – “curatore speciale” del sito.

Ed è proprio l’intervento dell’Ente gestore, con le relative prescrizioni sito specifiche, in effetti, a rendere la pianificazione particolarmente puntuale e aderente al dettato e agli scopi della VINCA,[1] che sono quelli di garantire una conservazione dei valori naturali anche al di fuori della perimetrazione del sito, secondo una logica disancorata dalla retriva visione euclidea del vincolo, per cui viene vagliato tutto ciò che è suscettibile di comportare effetti diretti o indiretti a specie ed habitat, all’interno o all’esterno del sito, anche e soprattutto a livello pianificatorio.

Ora, tra le varie prescrizioni la più significativa è proprio quella che dà origine ad una serie di misure fondate sul concetto di buffer, un primo di 1000 metri attorno al sito, in cui si prevede il divieto di cambio di titolare degli appostamenti fissi, perché vadano gradualmente ad estinzione, il rinnovo in capo al titolare solo previa valutazione di incidenza, il divieto di nuove autorizzazioni per appostamenti fissi, il divieto di immissione di selvaggina allevata, il divieto di istituire zone cinofile e di effettuare gare cinofile; un secondo, di 100 metri intorno agli appostamenti fissi, che dispone il divieto di impiantare baccifere alloctone nei pressi degli appostamenti fissi.

Al riguardo le considerazioni dei ricorrenti, per cui solo all’interno dei siti sarebbe possibile dettare regole, come accade nella pianificazione urbanistica quanto alle norme tecniche di attuazione, e quindi prevedere misure gestionali quali ovvero obblighi e divieti, muovono da premesse errate, come evidenzia il riferimento dagli stessi operato al c.d. decreto Pecoraro Scanio dell’ottobre 2007,[vi] recante Misure Minime di Conservazione.

Le associazioni venatorie confondono però la pianificazione di Rete Natura 2000, che si è prima sostanziata nelle misure minime nazionali, poi in singoli Piani di Gestione, con la diversa funzione della VINCA operata sugli altri strumenti pianificatori che incidono sui siti di rango europeo.

Ebbene, in primis va ribadito che il Piano di Gestione e le sue previsioni prevalgono sulla pianificazione a latere, proprio perché, come ha evidenziato l’Unione Europea e lo Stato nelle Linee Guida, il fatto che siano stati approvati specifici piani di gestione consegue ad una valutazione, operata dalle istituzioni, che i piani vigenti, anche di natura paesaggistica o naturalistica, non fossero sufficienti e bastevoli ad assicurare un adeguato stato di conservazione dei siti.

In secondo luogo il Piano di Gestione, che è il momento statico e programmatico della protezione del sito, è accompagnato da uno strumento dinamico, un procedimento di valutazione di tutto ciò che di volta in volta ha l’ambire di sovrapporsi agli equilibri del sito: piani di ogni genere, progetti, interventi. Si tratta della VINCA, e il frutto di questa valutazione, a cui l’ente gestore partecipa in funzione appunto di presidio del sito, ben può apprezzare l’esistenza di un’incidenza del piano su habitat e specie derivante da attività anche poste all’esterno del sito, e comunque oggetto della specifica programmazione di utilizzo antropico di cui si discute.

E’ così che il Piano faunistico venatorio provinciale, che riguarda ogni attività venatoria o similare (l’attività cinegetica lo è da sempre, come ha chiarito anche la Consulta) può senza dubbio limitare dette attività sul territorio provinciale oggetto di pianificazione, anche al di fuori del sito.

Tra l’altro pochi mesi prima il Consiglio di Stato, questa volta in sede consultiva, nell’affare 528/2021, aveva censurato – su ricorso di molteplici sigle ecologiste – i provvedimenti amministrativi regionali di riduzione delle zone di ripopolamento e cattura a favore dell’estensione delle aree per addestramento cani, operati senza VAS e VINCA, riclassificandoli come provvedimenti necessariamente di carattere pianificatorio.[vii]

Inoltre il Collegio osserva acutamente che, posto che lo scopo della pianificazione è la tutela della fauna omeoterma, che giustamente si muove senza conoscere confini e perimetrazioni, e la prevenzione dei danni o del disturbo alla stessa causata dalle attività cinofile e dalla diffusione di specie alloctone, competitive e nocive per la biodiversità autoctona, è del tutto ragionevole imporre prescrizioni-sito specifiche dirette a valorizzare la funzione delle aree cuscinetto, un vero e proprio filtro idoneo ad attutire la pressione venatoria sull’area protetta e a confinare attività insuscettibili di un controllo rigido attraverso gradienti di protezione mirati.

Il buffer quindi diviene un booster della tutela dei valori ecosistemici, e perché no, anche una sorta di predeterminazione di quell’areale in cui concentrare l’analisi dell’incidenza dei fattori esterni, utile quindi anche a fini di altre pianificazioni settoriali.

Quali sono i canoni che hanno orientato il giudice in questa valutazione? Nella pronuncia ne ritroviamo di molteplici: sicuramente il principio di ragionevolezza o di non irragionevolezza, di non eccessività, di plausibilità o fisiologicità (riferita al normale sconfinamento di talune specie animali al di fuori del perimetro di rete Natura 2000 formalmente delimitato in sede di regolazione), di coerenza e precauzione (riferito all’obiettivo di conservazione degli habitat e della flora e fauna dei siti protetti), di conformità (riferita allo spirito della direttiva), di giustificazione (riferita al contenimento dell’espansione crescente e invasiva di specie selvatiche) di precauzione (con riferimento all’art. 191 TUE rispetto alla prevenzione dei rischi per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente), e ciò, segnatamente, anche a prescindere dall’accertamento di un effettivo nesso causale tra l’attività potenzialmente dannosa e gli effetti pregiudizievoli oggetto di regolazione.

Alla base di tutti non già il nesso causale proprio del mondo astratto del sillogismo, ma il criterio probabilistico e l’expertise, propri del metodo scientifico; i giudici richiamano la CTU svolta nei giudizi pregressi, valorizzandone gli assunti, menzionano le evidenze della comunità scientifica rispetto al fatto che tra le prime cause riconosciute di perdita di biodiversità vi sia la presenza di specie alloctone, tale da giustificare il divieto di immissioni sia da un punto di vista scientifico che conservazionistico.

Viceversa ai ricorrenti si addebita di aver mosso censure non già dirette a contestare l’irrazionalità o l’assenza di fondamento scientifico delle misure assunte, ma unicamente aspirazioni particolari all’esercizio di un’attività privata che deve confrontarsi con l’interesse della comunità nazionale ed internazionale, o di aver espresso un mero generico non gradimento delle prescrizioni impugnate, criticate unicamente per aver interdetto all’attività venatoria un areale ritenuto dalle associazioni venatorie troppo ampio, senza alcuna confutazione scientifica della necessità di tale protezione.

Sono infine queste considerazioni a validare i criteri di calcolo del TASP, che per essere computato (TASP di base) deve riguardare aree precluse alla caccia per motivi naturalistici e non per finalità di altro genere, e che per essere incluso nel TASP protetto (TASP utile) deve avere idoneità al rifugio e  al sostentamento, anche di natura trofica, per la fauna selvatica.[viii] La pronuncia si rileva importante perché chiarisce come non vi sia incoerenza rispetto a coevi pronunce del Consiglio di Stato, in quanto in ogni territorio le fasce di rispetto stradali possono o meno, a seconda della percorrenza, dei luoghi e delle caratteristiche di estensione, avere o meno tale astratta idoneità, da valutare in concreto: ancora una volta, dunque, la valutazione sito-specifica in materia ambientale detta la ragionevolezza e legittimità delle previsioni, prima ancora che il giudicato formatosi sul punto.

Ultima ma non per rilevanza la statuizione sugli effetti della successione tra enti nel governo della materia faunistica: l’ente a cui si ascrive la pianificazione impugnata, lungi da poter abdicare al dovere di difenderla sottraendosi a una precisa legittimazione processuale passiva, con il trasferimento del munus non ha più un ruolo procedimentale nell’ottemperanza; ciò però comporta che sia l’ente subentrato nelle sue funzioni a doversi fare carico del rispetto della pronuncia, anche quanto agli effetti conformativi. Una notizia importante se si considera che a breve dovrebbe finalmente vedere la luce – oggi sono trent’anni esatti dall’approvazione della L. 11 febbraio 1992 n. 157 – il primo piano faunistico venatorio della Regione Lombardia.

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BUFFER E PFV

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

Sentenza Brambilla

[1] TAR Lombardia – Brescia II, n. 1532/2010; Consiglio di Stato VI, n. 2755/2011.

[i] Si tratta del Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici”, di cui all’Accordo della sancito in sede di Conferenza Stato Regioni il 30 marzo 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 120 del 25 maggio 2017.

[ii] Da ultimo, per una deroga “sanitaria”, si veda l’ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2021 con cui la Corte Costituzionale ha disposto la sospensione dell’efficacia della legge della Regione Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza), che era stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri in quanto aveva individuato attività sociali ed economiche, tra le quali la caccia, anche in deroga a quanto contrariamente stabilito dalla normativa statale, recante misure di contrasto alla pandemia da Covid-19.

[iii] Cfr. l’ordinanza del Presidente della Corte di Giustizia del 10 dicembre 2009, seguita dalla sentenza del 15 luglio 2010, C-164/09 di condanna dello Stato per violazione della direttiva 409/79/CEE ora 2009/147/CE e le coeve pronunce n. 250 del 2008, n. 405 del 2008, n. 266 del 2010 e n. 190 del 2011 della Corte Costituzionale.

[iv] Si veda F.Fracchia, P.Pantalone, Le funzioni amministrative in tema di caccia. Le funzioni amministrative in tema di caccia, 2020, 17-33, nonché P.Brambilla, La pianificazione faunistico venatoria regionale: vecchie e nuove questioni procedurali e contenutistiche, tra discrezionalità e interpretazione conservativa, RGA 2018, 163.

[v] Con intesa del 28.11.2019 (Rep. atti n. 195/CSR 28.11.2019), ai sensi ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sono state adottate le Linee Guida Nazionali per la Valutazione di Incidenza (VINCA) – Direttiva 92/43/CEE “HABITAT” articolo 6, paragrafi 3 e 4, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 303 del 28.12.2019  (19A07968) (GU Serie Generale n.303 del 28-12-2019).

[vi] Trattasi del Decreto Ministeriale 17 ottobre 2007 – Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS) (G.U. 6 novembre 2007, n. 258), che si proponeva la fissazione di standard minimi gestionali, a cui far seguire l’approvazione di misure specifiche ad opera dei singoli Piani di Gestione dei vari siti, come previsto dalle Direttive Europee.

[vii] Consiglio di Stato, sez. I. 16 giugno 2021, parere 1355/2021, spedizione 27/07/2021.

[viii] P. Brambilla, Il calcolo del territorio agro-silvo-pastorale da vincolare a protezione della fauna selvatica e l’addestramento dei cani: profili di illegittimità dei piani faunistico-venatori, RGA 2001, 296.

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