di Enrico Fassi
Corte di Cassazione, Sez. III – 14 settembre 2022 (dep. 29 dicembre 2022), n. 49487 – Pres. Ramacci, Est. Gentili – ric. S.D.
L’ordine di ripristino (e di recupero) dello stato dei luoghi presuppone l’accertamento di un danno concreto causato alle matrici ambientali, accedendo e completandosi con i tratti caratteristici della specifica condotta incriminatrice punita dalle disposizioni del Titolo VI bis del Libro secondo del codice penale, non potendo viceversa essere conseguente ed accessorio ad una decisione di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. sulla base di un ragionamento presuntivo.
Con la sentenza annotata, la Cassazione ha avuto modo di riaffermare i tratti caratteristici dell’istituto previsto dall’art. 452 duodecies c.p.[i] che, come noto, disciplina l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi impartito dalla A.G. nei confronti del soggetto imputato a valle del procedimento penale conclusosi con sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti[ii].
Il caso concreto ha posto il collegio di fronte alla necessità di perimetrare gli spazi applicativi dell’istituto, ribadendone la natura (sussidiaria e alternativa rispetto alla misura correlata di cui all’art. 452 decies c.p.[iii]) nonché i presupposti sulla base dei quali il giudicante può imporre al soggetto condannato l’esecuzione di attività di recupero o ripristino dello stato dei luoghi, rigorosamente da ancorare a parametri probatori oggettivi.
Per quanto si evince dalla motivazione della decisione, il soggetto imputato aveva presentato ricorso per Cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena emessa dal Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Torino in data 12 novembre 2021, con la quale era stata applicata al medesimo la pena concordata con l’ufficio procedente, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, nonché era stato posto da parte della A.G. a carico dell’interessato – così come nei confronti di tutti i destinatari della pronuncia di definizione pattizia del giudizio – senza che ciò rientrasse nell’ambito dell’accordo ex art. 444 c.p.p., l’obbligo di procedere al ripristino dello stato dei luoghi, quale misura accessoria al delitto contestato ai sensi dell’art. 452 quaterdecies c.p.
Peculiare invero il presupposto alla base della statuizione ai sensi dell’art. 452 duodecies c.p., ovverosia – sulla base dei dati processuali presenti, o meglio, assenti – la mancata evidenza sulla insussistenza di un danno cagionato alle matrici ambientali.
Proprio tale argomentazione è stata oggetto del primo motivo del ricorso proposto dall’imputato ai sensi dell’art. 448 c.p.p., il quale ha dedotto la illegittimità della statuizione ripristinatoria, da un lato in quanto non ricompresa nell’accordo con l’ufficio procedente e, dall’altro lato, in quanto comunque imposta pur in assenza di elementi dai quali desumere la avvenuta compromissione ambientale[iv].
La Cassazione, recisamente, ha accolto il primo motivo del ricorso presentato dal soggetto imputato, ripercorrendo gli approdi consolidati in giurisprudenza circa l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 452 duodecies c.p.
Al netto della (ri)affermazione della possibilità, per l’imputato, di proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza ex art. 444 c.p.p. anche per profili ulteriori rispetto ai presupposti previsti dall’art. 448, II bis, c.p.p., come novellato dalla L. n. 103/2017, qualora la statuizione del giudicante avente contenuto decisorio preveda punti o parti che non hanno formato oggetto del previo accordo tra le parti[v], il collegio afferma come, a contrario, la decisione pattizia possa essere suscettibile di impugnazione in sede di legittimità anche qualora la A.G. abbia omesso di pronunciarsi sulla applicazione di una pena accessoria obbligatoria, a nulla rilevando la circostanza che la stessa non fosse stata oggetto dell’accordo tra le parti, giacché disposizione tra le medesime non negoziabile[vi].
Il punto centrale nella sentenza in commento, pertanto, risulta quello relativo alle modalità ed ai presupposti di applicazione, da parte del GUP, della statuizione della sanzione accessoria del ripristino dello stato dei luoghi.
Pacifica infatti la possibilità che l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi possa accedere ad una sentenza di applicazione della pena, sottraendosi, data l’obbligatorietà imposta al giudice dall’art. 452 duodecies c.p. (dato che il giudice “ordina” il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi) al disposto dell’art. 445 c.p.p., cosiccome ed al tempo stesso possa rientrare nell’ambito dell’accordo tra imputato e pubblico ministero ovvero possa essere impartito – sussistendone i requisiti – anche prescindendo da un accordo tra le parti[vii].
Definisce e completa il sistema la diversa situazione riferibile al caso per il quale le parti processuali, nell’accordo ex art. 444 c.p.p., rappresentino, includendole nella proposta di definizione concordata, le ragioni per le quali l’obbligo ripristinatorio sia già stato assolto ovvero sia già incanalato all’interno di un iter amministrativo avanti le autorità d’ambito competenti, ferma restando, in ogni caso, la possibilità per il giudice di pronunciare sentenza di applicazione della pena anche qualora al momento della delibazione della richiesta ex art. 444 c.p.p. il procedimento amministrativo non sia concluso, corredandola dall’ordine di ripristino (o recupero) ai sensi dell’art. 452 duodecies c.p.
Altrettanto pacifica la natura di sanzione amministrativa riconosciuta all’ordine impartito dal giudice, avente funzione accessoria e ripristinatoria, appunto quale obbligo posto in caso al soggetto condannato per uno dei delitti di cui al Titolo VI bis del Libro secondo del Codice Penale[viii], con richiamo esplicito alle modalità di cui alla normativa amministrativa e civile prevista dal D.Lgs. n. 152/2006[ix].
Il collegio, dunque, evidenzia la eccentricità della decisione del giudicante torinese rispetto al consolidato formante interpretativo dei presupposti per la applicazione dell’istituto di cui all’art. 452 duodecies c.p.
Il GUP, per come emerge dalla motivazione della sentenza, come anticipato, aveva fondato l’emissione dell’ordine di ripristino sulla base della affermazione per la quale esso conseguirebbe in termini di doverosità alla sentenza di condanna in quanto – nel caso concreto – non sarebbe stato possibile pervenire ad una “valutazione di evidenza in ordine alla insussistenza di un danno ambientale”.
La Cassazione, pertanto, rileva la non condivisibilità dell’approdo raggiunto, oltre che un travisamento del precedente giurisprudenziale citato dal giudice di merito a sostegno della statuizione accessoria[x], superando il tema relativo al mancato inserimento dell’ordine di ripristino nella proposta di definizione concordata tra le parti che, come visto, può accedervi per impulso del giudice disposto ex lege ed in via obbligatoria.
Il giudice del merito avrebbe piuttosto invertito i presupposti sulla base dei quali disporre per l’ordine di ripristino: non la mancata evidenza sulla insussistenza di un danno ambientale, ritenendo di fatto applicabile una presunzione di sussistenza di un pregiudizio alle matrici ambientali traibile dall’accertamento circa la (mera) integrazione della condotta illecita e pur in assenza della prova del danno ambientale (la dimostrazione sulla mancanza del quale peraltro ricadrebbe sul soggetto imputato), quanto appunto e al contrario la necessità della rigorosa prova positiva della presenza di un pregiudizio ambientale.
In altre parole, la A.G. torinese avrebbe fatto discendere l’esistenza di un danno ambientale passibile di operazioni di ripristino dalla semplice sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa contestata, tra gli altri, al ricorrente.
Ciò, secondo il collegio, deriverebbe da un non corretto inquadramento della natura del delitto contestato ex art. 452 quaterdecies c.p., giacché il ragionamento seguito dal giudice del merito lo trasformerebbe da reato di pericolo a reato di danno, non essendo invece richiesta per la sua integrazione la realizzazione di un effettivo pregiudizio all’ambiente[xi].
Avendo l’ordine di ripristino/recupero evidente finalità ripristinatoria, diretta ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato tutelando così l’ambiente, lo stesso dovrebbe necessariamente accedere ad una valutazione calibrata sulla specifica condotta oggetto del procedimento, così da essere altresì rispettosa del principio di offensività in riferimento alla natura dell’interesse protetto dalla disposizione incriminatrice.
E, rispetto al reato contestato nel procedimento di cui trattasi, conformemente alla giurisprudenza consolidata ed al dettato normativo, la possibilità di ordinare un recupero o ripristino dello stato dei luoghi presuppone l’effettivo accertamento circa la sussistenza di un danno causato all’ambiente[xii].
La Corte riporta, in ogni caso, come l’approdo (ri)affermato tragga in realtà origine dalla elaborazione storica compiuta sugli istituti di cui trattasi, in quanto anche nella previgente normativa di cui al D.Lgs. n. 22/1997, la previsione del ripristino (o recupero) quale sanzione accessoria al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti poteva essere impartita soltanto in presenza di un effettivo pregiudizio all’ambiente[xiii].
L’approdo raggiunto risulta per ciò coerente con la struttura della maggior parte dei reati ambientali, i quali, in un elevato numero di casi[xiv], risultano sussumibili nella categoria dei c.d. reati di pericolo presunto, con la conseguenza che il giudice, al quale non è richiesto di accertare – per affermare la penale responsabilità del soggetto agente – se la condotta abbia causato un danno o una specifica situazione di pericolo per l’ambiente ma soltanto se la stessa non abbia rispettato determinati standard di sicurezza o autorizzativi previsti dalla normativa di settore, potrebbe applicare la sanzione accessoria del ripristino o recupero dello stato dei luoghi soltanto in quelle ipotesi nelle quali vi sia evidenza di un effettivo pregiudizio causato all’ambiente.
Così precisato l’ambito applicativo della sanzione accessoria dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, la Cassazione perviene coerentemente a pronunciare sentenza di annullamento della statuizione disposta dal GUP di Torino, rinviando alla medesima A.G. per un nuovo giudizio sul punto, finalizzato a verificare – ciò che peraltro sulla base dei dati ostesi nella motivazione pareva controverso – l’effettiva esistenza di un pregiudizio causato all’ambiente.
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RGA Online – Fassi 20.4.2023 (rev.)
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NOTE:
[i] Il quale, introdotto con la L. n. 68 del 2015, prevede che “Quando pronuncia sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dal presente titolo, il giudice ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’art. 197 del presente codice. Al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale”. Per un commento, RUGA RIVA, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, p. 64 e ss.; TELESCA, Osservazioni sulla l. n. 68/2015 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma, in www.penalecontemporaneo.it; SCHIATTONE, Il ripristino dello stato dei luoghi, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, CORNACCHIA-PISANI (diretto da), Bologna, 2018, pp. 252 e ss.
[ii] Per quanto concerne la distinzione tra le locuzioni “recupero” e “ripristino”, entrambe caratterizzate da evidenti connotati riparatori, la stessa è stata individuata laddove il primo concetto comprende tutte le attività materiali e giuridiche necessarie per eliminare dal luogo ogni taccia di contaminazione ed ogni agente inquinante, implicando una attività di minore effetto rispetto al ripristino, che identifica tutte quelle iniziative dirette a ristabilire l’integrità e le funzionalità originarie dei luoghi, eliminandone il degrado e restituendoli all’uso.
[iii] La quale, come noto, disciplinando il c.d. ravvedimento operoso, costituisce una misura incentivante per l’autore della condotta illecita, prevedendo misure premiali in caso di esecuzione proattiva di attività di ripristino o recupero eseguite prima della pronuncia della sentenza di condanna.
[iv] Il secondo motivo di ricorso, assorbito dall’accoglimento del primo, risultava invece incentrato su una serie di omissioni valutative nelle quali sarebbe incorso il giudicante torinese, il quale avrebbe nella sostanza pretermesso ogni considerazione sulle risultanze tecniche presenti in atti, con ciò – ancora una volta – non accertando la effettiva sussistenza di un danno ambientale cagionato dalla condotta contestata, tra gli altri, al ricorrente.
[v] Citando sul punto Corte Cass. pen., Sez. III, 3 agosto 2022, n. 30621; Corte Cass. pen., Sez. II, 11 aprile 2022, n. 13915; Corte Cass., SS.UU., 17 luglio 2020, n. 21368.
[vi] Corte Cass. pen., Sez. III, 3 agosto 2021, n. 30285.
[vii] Ciò sulla falsariga della elaborazione giurisprudenziale in tema di ordine di demolizione previsto dall’art. 31, IX D.P.R. n. 380/2001, che impone al giudice l’obbligo di disporre l’ordine di demolizione di opere abusive, in quanto la norma ne prevede – appunto – l’obbligatorietà ed ogni connotato di discrezionalità. Corte Cass. pen, Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 6128. Al pari dell’ordine di demolizione, peraltro, anche l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, quale sanzione accessoria alla sentenza di condanna, qualora non comminato, risulta applicabile direttamente anche in sede di legittimità trattandosi di statuizione obbligatoria ex lege. Corte Cass. pen., Sez. III, 2 luglio 2015, n. 34911.
[viii] In questo senso Corte Cass. pen., Sez. III, 14 novembre 2011, n. 41423.
[ix] Nello specifico agli artt. 304-310 della Parte VI del D.Lgs. n. 152/2006, denominati “Prevenzione e ripristino ambientale”, pur con le peculiarità del caso derivanti dalla mancata necessità di sviluppare l’endo-procedimento previsto dall’art. 304 D.Lgs. n. 152/2006 diretto ad individuare il soggetto sul quale far ricadere gli oneri afferenti l’esecuzione delle misure di prevenzione e messa in sicurezza, in quanto l’ordine previsto dall’art. 452 duodecies c.p. presuppone la conclusione del giudizio penale e l’accertamento della responsabilità personale del soggetto agente.
[x] Corte Cass. pen., Sez. III, 12 aprile 2019, n. 16061, in un caso nel quale l’ordine di ripristino era stato impartito anche in ragione della evidente sussistenza di un danno ambientale, confortato dai dati probatori presenti in atti.
[xi] Sulla natura del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, si veda Corte Cass. pen., Sez. III, 22 novembre 2021, n. 42631; Corte Cass. pen., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 4503. Si veda anche TALDONE, Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, in Il nuovo diritto penale dell’ambiente, op. cit., p. 618 e ss.; VITA, Delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”: elementi costitutivi, in Riv. Pen., 2011, p. 475.
[xii] Potendo, dunque, l’esecuzione di effettive attività ripristinatorie, essere considerata dal giudice condizione necessaria alla quale subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Corte Cass. pen., Sez. III, 11 gennaio 2018, n. 791; o anche Corte Cass. pen., Sez. III, 20 dicembre 2012, n. 19018.
[xiii] Corte Cass. pen., Sez. III, n. 4503/2005, cit.
[xiv] Ad eccezione di due rilevanti ipotesi inserite all’interno del codice penale, ossia il delitto di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p. ed il delitto di disastro ambientale ex art. 452 quater c.p., le quali richiedono l’effettiva situazione di compromissione e deterioramento (significativi e misurabili) ovvero di disastro, espresse dall’utilizzo della locuzione “cagiona”.