di Federico Vanetti e Carla Piccitto
Consiglio di Stato, Sez. Quinta, n. 528 del 16 gennaio 2023 – Pres. Francesco Caringella, Est. Gianluca Rovelli, Cons. Federico Di Matteo, Cons. Angela Rotondano, Cons. Giuseppina Luciana Barreca – sul ricorso n. R.G. 1492 del 2015 per la riforma della sentenza del TAR per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia, sez. I.
L’obbligo di messa in sicurezza è la semplice conseguenza oggettiva dell’aver cagionato l’inquinamento: la vicenda esaminata è paradigmatica ipotesi di applicazione della norma generale dell’art. 2043 c.c., che, d’altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni ed omissioni. Inoltre, è certo che venga in rilievo il principio eurounitario del “chi inquina paga”. Inoltre, in casi come quello all’esame, l’accertamento del nesso di causalità si fonda non sulla regola probatoria penalistica basata sul principio dell’accertamento della responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio ma sul principio civilistico del “più probabile che non”.
La decisione in commento, partendo dall’ormai noto principio “chi inquina, paga”, torna ad affrontare i criteri sulla base dei quali è corretto accertare la responsabilità dell’inquinatore.
Invero, l’argomento è già stato ampiamente dibattuto in passato, laddove si discuteva se imputare tale responsabilità secondo i più rigidi canoni penalistici, ovvero secondo quelli civilistici[i].
Il Consiglio di Stato, dunque, conferma ancora una volta che in materia di siti contaminati trova applicazione il criterio civilistico del “più probabile che non”.
Nel decennio da poco trascorso si sono avvicendate due tesi giurisprudenziali differenti:
- un primo filone che fonda l’accertamento del nesso eziologico sul principio penalistico dell’”oltre ogni ragionevole dubbio”, richiedendo quindi una probabilità che sia prossima alla certezza e pressoché non scalfita da dubbi (solo per citare le più recenti si vedano Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 56; Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015. n. 3756);
- un secondo filone, dal principio ampiamente maggioritario e ormai indiscutibilmente consolidato[ii], che al contrario mutua il principio civilistico del “più probabile che non”, ammettendo che il nesso di causalità possa dirsi provato già se si ha un grado di probabilità superiore alla probabilità che l’evento contrario si sia verificato (ovvero superiore al cinquanta per cento). Tale prova può anche essere data in via indiretta e per presunzioni semplici.
La questione non è banale in quanto – molto spesso – le contaminazioni attuali si riferiscono a episodi o eventi passati, oppure conseguono a molteplici cause susseguitesi nel tempo da parte di diversi soggetti, con il che non è agevole individuare in modo univoco il responsabile della contaminazione attraverso elementi probatori certi.
In esito alla prevalenza (ormai indiscussa) della tesi giurisprudenziale maggioritaria favorevole all’applicazione del criterio del “più probabile che non”, l’accertamento della responsabilità dell’inquinatore da parte della provincia risulta oltremodo semplificato, tanto più che la stessa giurisprudenza ha anche ammesso il ricorso alle presunzioni semplici[iii].
Resta, invece, in capo alla parte privata, individuata quale responsabile della contaminazione, il compito ben più gravoso di fornire la prova liberatoria, dimostrando l’assenza di responsabilità rispetto alla contaminazione riscontrata.
Tale allegazione – come anche indicato dal Consiglio di Stato nella decisione in commento – deve essere circostanziata e precisa e non può limitarsi a indicare genericamente la sussistenza di altri fattori che avrebbero potuto originare la contaminazione (nel caso sottoposto all’ esame del Consiglio di Stato, la società appellante ha cercato di superare l’imputazione di responsabilità a suo carico, indicando in altri siti non indagati le potenziali cause o concause della contaminazione, tuttavia senza riuscire a dimostrare l’univoca riconducibilità della contaminazione a tali siti non indagati).
Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale così ricostruita, dunque, diviene ancor più importante – in particolar modo nell’acquisizione dei siti industriali dismessi – svolgere una dettagliata ricostruzione delle attività precedentemente svolte nell’area e mappare anticipatamente i rischi ambientali che possono verificarsi, onde poter poi dimostrare in una fase successiva la non responsabilità della società rispetto a contaminazione storiche o diffuse che interessano il sito.
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Articolo RGA_MISE e criteri di imputazione della responsabilità_0604(7012297.1)
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.
CdS sez. V, 16 gennaio 2023, 528
NOTE:
[i] Si veda Roberto Gubello, “La causalità nel sistema di responsabilità ambientale: il criterio del “più probabile che non””, nota di commento a TAR Puglia, Bari, Sez. I, 16 settembre 2021 n. 1367”, in questa Rivista del 28 Novembre 2021 (La causalità nel sistema di responsabilità ambientale: il criterio del “più probabile che non” – RGA Online)
[ii] Ex aliis, Consiglio di Stato sez. IV, 12/07/2022, n.5863; T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. I, 02/08/2022, n.776; Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172; Consiglio di Stato, sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121; T.A.R. Emilia-Romagna sez. II – Bologna, 15/02/2017, n. 125; T.A.R. Lombardia sez. III – Milano, 15/10/2021, n. 2236; T.A.R. Lombardia sez. I – Brescia, 05/02/2021, n. 123; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 16/09/2021 n. 1367. Tale filone è stato, peraltro, anche avallato apertamente dalla Circolare Ministero dell’Ambiente n. 1495/2018.
[iii] Sempre secondo il Consiglio di Stato in commento “La prova può, quindi, essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.”.”