di Luca Prati
Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 217 del 12 gennaio 2022 – Pres. Poli, Est. Verrico, E.R. s,p.a. (avv. Grassi) c. Ministero della transizione ecologica (Avv. Stato), Comune di Porto Torres (avv. Bionda), Regione Autonoma della Sardegna, Provincia di Sassari, Comune di Sassari, Azienda per la tutela della salute (ATS) Sardegna, la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Sassari (n.c.) e nei confronti di E.O.P. s.p.a. (avv. Tomba) e V. s.p.a. e F. s.s. (n.c.).
La concezione sostanzialistica di impresa impone di non limitarsi, nell’accertamento delle responsabilità, all’individuazione “dell’autore materiale” della condotta di inquinamento (in genere l’entità che conduce o ha condotto direttamente l’attività inquinante), ma di estenderlo a quei soggetti che hanno il controllo della fonte di inquinamento in virtù di poteri decisionali, o che rendono comunque possibile detta condotta in forza della posizione giuridica che rivestono all’interno dei rapporti con il diretto inquinatore.
Il Consiglio di Stato torna sulla questione relativa all’imputazione degli obblighi di bonifica in capo a quei soggetti che hanno l’effettivo controllo della fonte di inquinamento in virtù di poteri decisionali e di controllo che rivestono nei confronti del soggetto individuato come il diretto inquinatore.
Secondo il Consiglio di Stato, la responsabilità di M. s.p.a., ora E. s,p.a., risulta coerente con il principio “chi inquina paga“, stante la concezione sostanzialistica d’impresa contemplata dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui si deve applicare il principio della prevalenza dell’unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate. Pertanto, per illeciti commessi dalle società operative, la responsabilità si estende anche alle società controllanti che ne detengono le quote di partecipazione in misura tale da evidenziare un rapporto di dipendenza atto a escludere una sostanziale autonomia decisionale delle controllate stesse.
Il tema non è nuovo e si inquadra nell’orientamento giurisprudenziale diretto a contrastare fenomeni elusivi dell’applicazione della normativa in tema di bonifica dei siti contaminati tramite operazioni infragruppo mediante il quale viene operato il frazionamento giuridico di un’unica impresa.
Già in passato i giudici amministrativi hanno negato l’opponibilità alla Pubblica Amministrazione di operazioni societarie (quali scissioni, fusioni, etc…) “quando abbiano lo scopo, o il risultato, di rendere più difficile la tutela degli interessi pubblici, nello specifico il conseguimento degli obiettivi di bonifica delle aree inquinate” (TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 9 agosto 2018, n. 802. TAR. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 30 aprile 2014, n. 204).
In realtà, l’eventuale finalità “elusiva” del frazionamento dell’impresa non è strettamente necessaria, ben potendo l’operazione rispondere a svariati interessi del tutto legittimi. In senso più ampio, come sottolinea il Consiglio di Stato, ciò che viene preminentemente in rilievo è la “concezione sostanzialistica di impresa” come effettivo centro di imputazioni degli obblighi posti dalla normativa ambientale.
La concezione sostanzialistica di impresa (formulata originariamente dalla Corte di Giustizia) è stata ormai recepita dalla giurisprudenza in svariati settori del diritto.
Il concetto fondamentale espresso da detta concezione nella materia ambientale esige di non limitarsi, nell’accertamento delle responsabilità, all’individuazione “dell’autore materiale” della condotta di inquinamento (in genere l’entità che conduce o ha condotto direttamente l’attività inquinante), ma di estenderlo a quei soggetti che hanno (o hanno avuto) il controllo della fonte di inquinamento in virtù di poteri decisionali sull’ente o che hanno comunque reso possibile l’evento dannoso in forza della posizione giuridica che rivestono nei rapporti con il diretto inquinatore (tipico esempio, la capogruppo).
La definizione europea di impresa comprende qualunque soggetto, indipendentemente dalla veste formale, dallo statuto giuridico, sia esso soggetto pubblico o privato, individuale o collettivo, a prescindere dalla finalità di lucro, che eserciti un’attività economica, ossia offra beni o servizi sul mercato.
Perché un gruppo di società possa costituire un’impresa unica ai fini di una imputazione di responsabilità è necessario, secondo la giurisprudenza unionale, che ricorrano alcune condizioni[i].
Normalmente, la semplice partecipazione maggioritaria di una società nel capitale di un’altra non è sufficiente per comportare la costituzione di un’impresa unica. Secondo la giurisprudenza della Corte, è invece necessario anche che la società “figlia” «non decida in modo autonomo quale deve essere il suo comportamento sul mercato, ma applichi in sostanza le direttive impartitele dalla società madre» (Corte di Giustizia, sentenza de. 13.7.1972, 48–57/69, Materie coloranti; si veda anche Corte di Giustizia, sentenza del 31.10.1974, Sterling e Winthrop, 15/74 e 16/74). Peraltro, se la partecipazione raggiunge la totalità o la quasi totalità del capitale, l’esercizio effettivo del controllo può essere presunto (Corte di Giustizia, sentenza del 25.10.1983, AEG-Telefunken).
Al ricorrere delle predette condizioni ne consegue che, nel caso di illeciti commessi da società operative controllate, la responsabilità si estende anche alle società madri con cui le società figlie abbiano un rapporto di dipendenza talmente pervasivo da escluderne una sostanziale autonomia decisionale.
Dall’applicazione del suddetto “principio sostanzialistico”, elaborato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di concorrenza, deriva una declinazione, solo parzialmente nuova, del principio “chi inquina paga”, ossia del principio secondo cui chi è autore di un fenomeno di inquinamento, o di deterioramento dell’ambiente, deve sostenere i costi necessari a evitare o riparare l’inquinamento o il danno ambientale causato.
Il “principio sostanzialistico” va anche oltre il concetto di “Direzione e coordinamento” di cui al Capo IX, Titolo V, Libro V del Codice Civile (artt. 2497 e ss), secondo il quale la società che esercita direzione e coordinamento è da intendersi come “controllante” o “capogruppo” secondo le presunzioni indicate agli artt. 2497 sexies e septies, del codice civile[ii].
Il principio ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa ha infatti portata più ampia, in quanto mira a coinvolgere negli obblighi di bonifica e ripristino tutti quei soggetti che, a prescindere dallo strumento giuridico utilizzato, hanno di fatto causalmente concorso, in modo attivo od omissivo, alla produzione dell’inquinamento, normalmente ottenendone un profitto.
Secondo il giudice amministrativo, anche chi concede in uso un bene a terzi per svolgervi attività potenzialmente inquinanti, ricavandone un utile economico, a determinate condizioni deve soggiacere all’applicazione del principio “chi inquina paga”. Ciò soprattutto quando la pericolosità ambientale dell’attività sia evidente al concedente l’uso. Permane infatti, in quest’ultimo caso, “una sfera di controllo sul bene medesimo” che comporta “quantomeno un obbligo di verifica sull’operato del conduttore” (TAR Veneto, Sez. III, 28 ottobre 2014, n. 1347; TAR Marche, Sez. I, 6 marzo 2015, n. 190).
Il Consiglio di Stato, in particolare, ha sostenuto che i principi civilistici in base ai quali incombe al proprietario la responsabilità per i danni che il bene locato arreca ai terzi troverebbero applicazione solo in via sussidiaria, “dovendosi dare prevalenza al principio di rango comunitario… in base al quale «chi inquina paga» e sempre che sussista un comportamento colpevole (a titolo di dolo o colpa) del proprietario il quale, avendo acquisito consapevolezza dell’inquinamento non abbia preteso dal conduttore responsabile le necessarie opere di bonifica” (Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756).
In estrema sintesi, ciò che rileva è il controllo, diretto o mediato, sulla fonte di inquinamento, atto a fondare una posizione di garanzia quale presupposto e fonte di responsabilità in tutte quelle situazioni nelle quali un’attività economica va ad incidere sull’assetto dell’ambiente, essendo sufficiente che il garante abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi.
Per quanto riguarda il tema specifico delle bonifiche non è quindi solo la capogruppo a essere potenzialmente responsabile per la mancata attivazione degli interventi di cui all’art. 242 del D.Lgs. 152/2006, ma possono altresì esserlo tutti quei soggetti, tra cui innanzitutto i proprietari dell’area, che abbiano colpevolmente messo a disposizione dell’inquinatore il bene risultato contaminato traendone un utile economico.
Va rimarcato che la responsabilità del proprietario non può mai fondarsi su un dovere indeterminato di generica “vigilanza”, ma presuppone degli obblighi giuridici specifici posti a tutela del bene protetto, o forme di compartecipazione alla condotta di altri. Sul punto è significativa l’estesa giurisprudenza formatasi in applicazione dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006 che ha sempre affermato come la responsabilità del proprietario per l’abbandono di rifiuti sul proprio bene non possa prescindere da una compartecipazione dolosa o colposa con l’autore dell’abbandono (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 8 maggio 2018, n. 2786).
Si può affermare quindi come sia configurabile una responsabilità del proprietario del suolo contaminato non sulla base di un obbligo generale di controllo finalizzato a impedire qualsiasi illecito di terzi, bensì solo in presenza di situazioni e comportamenti, attivi od omissivi, dai quali ricavare elementi integrativi della colpa del proprietario, anche a livello di compartecipazione all’attività inquinante o all’utile di impresa che ne è conseguito. Situazione che, ad esempio, appare particolarmente pregnante nei casi in cui il proprietario del bene attui anche una forma di controllo sul gestore dell’attività inquinante, nella consapevolezza della sua pericolosità[iii].
SCARICA L’ARTICOLO IN PDF
Prati commento CDS n. 217 del 12 gennaio 2022-aprile2022
Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato
[i] Si veda anche la definizione di “impresa unica” del Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis».
[ii] Cfr. Federico Vanetti e Lorenzo Ugolini Contaminazioni storiche e responsabilità di gruppo: l’evoluzione giurisprudenziale in relazione alla successione di imprese e agli obblighi di bonifica, in https://rgaonline.it/.
[iii] Cfr. Alfredo Montagna, La individuazione delle posizioni di garanzia quale ulteriore strumento di tutela ambientale, in www/lexambiente.it; per la responsabilità del “gestore”, figura richiamata in numerose norme ambientali, si veda Cass. Pen. Sez. III, n. 48456 /2015: “E’ infatti evidente che il soggetto titolare di un’impresa potenzialmente pericolosa assume una posizione di garanzia nei confronti dell’interesse collettivo alla tenuta dell’ambiente e deve perciò adottare tutte le misure che si rendano necessarie per evitare di mettere in pericolo il bene protetto”.