La sanzione pecuniaria nei casi di violazione delle norme di tutela paesaggistica: il calcolo del profitto

01 Mar 2023 | giurisprudenza, amministrativo

di Federico Vanetti e Cristiano Ciuffa

Consiglio di Stato, Sez.VI, 2 dicembre 2022, n. 10598 – pres. Luigi Massimiliano Tarantino, est. Roberta Ravasio – Comune di Concordia Sulla Secchia (avv. Federico Gualandi) c. omissis (avv. Alberto della Fontana).

L’art. 167, comma 5 d.lgs 42/2004 [nel caso di opere eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica e conseguente applicazione della sanzione pecuniaria] non fornisce criteri specifici per calcolare il profitto conseguito mediante la trasgressione e dunque impone di fare riferimento alla nozione generale di profitto come grandezza volta a descrivere in senso dinamico la differenza fra flussi di ricavi e flussi di costi riferibili ad un determinato arco temporale. Tale definizione ha come riferimento una grandezza economica che esprime l’aumento effettivo del valore del patrimonio conseguito dall’autore dell’opera abusiva.

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La decisione in commento affronta i rimedi sanzionatori di competenza della pubblica amministrazione in caso di violazione della disciplina sulla tutela paesaggistica da parte dei privati e, in particolare, l’esecuzione di interventi su beni tutelati in assenza, o in difformità, dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 D.lgs. 42/2004[i].

L’articolo 167 del D.lgs. 42/2004 prevede, come regola generale in caso di violazioni del Titolo Primo Parte III, che il trasgressore sia “sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”.

Tuttavia, in deroga a tale principio generale, i commi 4 e 5 del medesimo articolo consentono, in determinati casi[ii], di evitare la remissione in pristino, ottenendo un giudizio di compatibilità postuma.

Ricorrendo tale ipotesi, il trasgressore sarà comunque tenuto a pagare una sanzione pecuniaria in misura pari al “maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione”.

Spetta, dunque, alla pubblica amministrazione determinare quale dei due parametri debba essere tenuto a riferimento per determinare l’importo della sanzione.

Invero, non è agevole determinare la quantificazione di entrambi i parametri, in quanto né il D.lgs. 42/2004, né la normativa previgente [iii], forniscono criteri precisi per calcolare tanto il danno quanto il profitto conseguito dal trasgressore.

Per quanto riguarda il danno, trattandosi di violazione di norme riguardanti la tutela e valorizzazione del paesaggio, questo non può che riferirsi latamente all’ambiente, in quanto il paesaggio è riconducibile ad una sua componente.

Si potrebbe così configurare un’ipotesi di danno ambientale, che l’articolo 300 del D.lgs. 152/2006 definisce come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”.

Anche in questo caso, tuttavia, la quantificazione del danno ambientale per equivalente non è agevole, riferendosi ad un bene collettivo, di difficile misurazione economica.

Peraltro, l’orientamento recente della Cassazione ha precisato che “l’adeguamento comunitario ha imposto un cambiamento di approccio alla materia dei danni ambientali di tal che il sistema classico del risarcimento per equivalente risulta ormai abbandonato, dovendosi fare applicazione delle sole misure di riparazione primaria, complementare e compensativa[iv].

Con specifico riferimento al danno paesaggistico, la giurisprudenza aveva comunque chiarito che lo stesso poteva essere determinato facendo riferimento “ai costi di demolizione, di rimessa in pristino e di eventuali opere necessarie per il recupero ambientale dei luoghi[v] che si sarebbero dovuti sostenere tenendo in considerazione anche le caratteristiche del territorio vincolato e la normativa di tutela vigente sull’area interessata.

Invero, anche la quantificazione del profitto conseguito dal trasgressore non è sempre agevole.

Su questo punto si è soffermato il Consiglio di Stato con la decisione in commento, chiarendo che il profitto è una “grandezza volta a descrivere in senso dinamico la differenza tra flussi di ricavi e flussi di costi riferibili ad un certo arco temporale”.

La decisione in commento, quindi, si pone in continuità con altri precedenti secondo cui il profitto conseguito deve essere “rapportato all’effettivo vantaggio economico ottenuto dal trasgressore ovvero va identificato nell’incremento del valore venale che gli immobili acquistano per effetto della trasgressione; incremento che viene determinato come differenza tra il valore attuale e il valore dell’immobile prima dell’esecuzione delle opere abusive, in quanto l’arricchimento ottenuto dalla realizzazione dell’abuso non può coincidere con il valore venale attuale del medesimo senza detrazione del costo sostenuto per la sua costruzione”[vi].

Per fini di completezza, sembra opportuno compiere anche una breve riflessione circa la natura della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 167, anche per comprendere i termini di prescrizione della stessa.

Mentre la disciplina precedente definiva l’importo dovuto all’Amministrazione come “indennità”, il citato articolo 167 riqualifica espressamente detto importo quale “sanzione”.

Di recente, il Consiglio di Stato ha poi chiarito che “come generalmente accade per le sanzioni pecuniarie in materia edilizia, tali sanzioni pecuniarie non hanno carattere punitivo, con la conseguenza che sono sottratte al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione, di cui alla legge n. 24 novembre 1981, n. 689, mentre la natura ripristinatoria le rende trasmissibili agli eredi come già affermato per le sanzioni pecuniarie in materia edilizia sostitutive di interventi di carattere ripristinatorio[vii].

Per quanto riguarda, invece, i termini di prescrizione, il Consiglio di giustizia Amministrativa per la Regione siciliana[viii], ha chiarito che la prescrizione ha natura quinquennale, indipendentemente dalla qualificazione giuridica che si intende dare alla sanzione pecuniaria ex art. 167, comma 5, D.lgs. 42/2004.

Tuttavia, a seconda di come sia qualificata la sanzione, dovrebbe essere calcolato differentemente il dies a quo della prescrizione.

Nel caso in cui si attribuisca il carattere della sanzione amministrativa “punitiva”, il termine, ai sensi dell’articolo 28 della legge n.689/1981, decorrerebbe dal giorno in cui è stata commessa la violazione[ix].

Al contrario, se si attribuisce carattere indennitario/risarcitorio a detta sanzione, il termine di prescrizione decorrerebbe dal momento del rilascio del provvedimento che attesti la compatibilità paesaggistica dell’intervento.

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Articolo RGA 19.02(4969397.1)

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

Consiglio di Stato, Sez.VI, 2 dicembre 2022, n. 10598

NOTE:

[i] Invero, l’articolo richiamato sanziona tutte le violazioni del Titolo I della Parte terza, tra cui in particolare rileva l’esecuzione di interventi edilizi su beni tutelati in assenza dell’autorizzazione.

[ii] Articolo 167, comma 4, D.lgs. 42/2004: “L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’ articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.”

[iii] Legge 29 giugno 1939, n. 1497, articolo 15; Legge 29 ottobre 1999, n. 490, articolo 164.

[iv] Cassazione civile, Sez. III, 02/07/2021, n.18811

[v] T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, n. 1973/2004

[vi] Cons. Stato, Sez. V, 26/09/2013, n.4783

[vii] Cons. Stato, Sez. II, 30 ottobre 2020, n. 6678

[viii] Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Sez. giur., sent. del 9 febbraio 2021, n. 95: “sia che si ritenga che la previsione di cui all’art. 167, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 vada ascritta al novero delle “sanzioni amministrative” disciplinate dalla l. 24 novembre 1981, n. 689 sia che si privilegi la tesi per cui l’obbligazione prevista ex art. 167 citato abbia natura risarcitoria-ripristinatoria od indennitaria le conseguenze, in punto di prescrizione del diritto dell’Amministrazione a pretendere la somma dovuta dal responsabile non mutano; nel primo caso, la disciplina si rinverrebbe sub art. 28, l. n. 689 del 1981, con conseguente applicabilità della prescrizione quinquennale; nel secondo caso, una volta che la competente amministrazione abbia deliberato la compatibilità esercitando la propria lata discrezionalità tecnica investente il profilo della non rilevante compromissione del paesaggio ed il quantum che costituisce alternativa all’obbligo del ripristino, pur sempre inizierebbe a prescriversi il diritto della stessa a pretendere il pagamento della somma suddetta; laddove la richiesta di nulla osta rivolta alla Soprintendenza si inserisca in una vicenda condonistica, il provvedimento espresso di nulla osta (e quindi di compatibilità dell’abuso con il paesaggio) o il silenzio assenso formatosi, ed anche l’eventuale contestuale determinazione discrezionale della somma dovuta dal privato non integrano (ancora) il dies a quo a partire dal quale inizierebbe a maturare la prescrizione della pretesa pecuniaria avanzata ex art. 167 citato: essa decorre invece dal rilascio del condono da parte dell’amministrazione comunale: nei casi in cui, invece, il nulla osta della Soprintendenza (ed annesso, discrezionale, giudizio di compatibilità) sopravvenga al provvedimento di concessione in sanatoria, il dies a quo di maturazione della prescrizione quinquennale coincide con l’esercizio della valutazione da parte dell’Autorità preposta al vincolo paesaggistico.

[ix] L’articolo 28 della legge n.689/1981 prevede, infatti, che: “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”.

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