La procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali di pericolo presunto che abbiano cagionato un pericolo concreto al bene ambiente

02 Mag 2023 | giurisprudenza, penale

di Giulia Rota

Corte di Cassazione, Sez. III – 12 ottobre 2022 (dep. 9 febbraio 2023), n. 5576 – Pres. Ramacci, Est. Aceto – ric. A.A. – B.B.

Deve essere respinta la tesi della sostanziale obbligatorietà dell’adozione della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali prevista agli artt. 318 bis ss. D.lgs. 152/2006, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, poiché l’interpretazione letterale della norma deve essere congiunta con quella sistematica, non potendosi prescindere dal presupposto applicativo dell’intera procedura: l’assenza di danno o del pericolo di danno alle risorse ambientali, paesaggistiche ed urbanistiche.

  1.  Premessa

La sentenza in commento si pone nel solco di un orientamento ormai consolidato della Cassazione, che ha (forse) definitivamente sconfessato procedenti pronunce di segno opposto. Viene ancora una volta esclusa l’obbligatorietà dell’adozione della procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali prevista agli artt. 318 bis ss. D.Lgs. n. 152/2006, in caso di contravvenzioni di pericolo astratto che abbiano però in concreto provocato danno (o pericolo di danno) alle risorse ambientali, paesaggistiche e urbanistiche.

Nonostante la pronuncia in commento non abbia una vera e propria portata innovativa, essa testimonia ancora una volta, visti i numerosi precedenti dalla Cassazione sul tema, l’estesa applicazione giurisprudenziale che ha avuto un istituto introdotto solo di recente nel nostro ordinamento.

Istituto, quello di cui agli artt. 318 bis ss. D.Lgs. n. 152/2006, che è stato infatti sin da subito salutato positivamente anche dai primi commentatori, in quanto diretto a privilegiare, in funzione di una tutela rafforzata del bene giuridico, il rispristino dell’ambiente compromesso, a discapito di una forma forse più “tradizionale” di punizione, ritenuta priva di un’efficacia deterrente altrettanto forte.

  1. Il caso in questione.

I rappresentanti legali di una società attiva nella produzione di mangimi per animali venivano accusati, in concorso tra loro, del delitto di cui agli artt. 279, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, in relazione all’art. 269, comma 8, del medesimo dettato normativo (esercizio di uno stabilimento a cui sono state apportate modifiche strutturali, in assenza di un’autorizzazione aggiornata), per aver apportato modifiche sostanziali[i] allo stabilimento da loro diretto, violando le prescrizioni contenute nella Autorizzazione Unica Ambientale (A.U.A.), ottenuta qualche anno prima dell’esecuzione dei lavori.

In particolare, i due indagati avevano costruito, in violazione del titolo autorizzatorio in loro possesso, sei nuovi silos (non previsti nella planimetria a disposizione degli enti) per l’attività di selezione delle sementi, nonché spostato la zona di macinazione in una posizione diversa da quella originariamente prevista. Nel 2020, qualche mese dopo l’accertamento della condotta sopra descritta da parte degli enti, i due indagati chiedevano ed ottenevano dal Comune una nuova autorizzazione.

Il Tribunale territoriale condannava entrambi gli imputati per il reato loro ascritto, ritenendo le modifiche all’impianto «certamente idonee (…) a determinare un danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche e paesaggistiche protette, tanto da determinare la stessa ditta, a seguito di un sopralluogo (…), a chiedere nuova autorizzazione sulla base della nuova situazione, poi effettivamente rilasciata nell’anno 2020».

Avverso la sentenza del Tribunale, gli imputati proponevano ricorso per saltum, lamentando anzitutto come non fosse stata adeguatamente considerata la possibilità di applicazione della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali, di cui agli artt. 318 bis ss. D.Lgs. n. 152/2006: secondo i ricorrenti, gli accertatori sarebbero incorsi in errore nella valutazione circa il pericolo concreto ed attuale di danno alle risorse provocato dalle emissioni non autorizzate provenienti dai nuovi silos; tale valutazione peraltro – sempre secondo la tesi dei ricorrenti – non sarebbe stata nemmeno adeguatamente vagliata da alcun controllo giurisdizionale, ma affidata alle sole valutazioni dell’organo accertatore. Per tali ragioni, la mancata attivazione della procedura estintiva sarebbe causa di improcedibilità dell’azione penale.

La Corte dichiarava il ricorso del tutto infondato e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, escludendo – in adesione all’orientamento giurisprudenziale accolto anche dal giudice di merito – che l’esclusione da tale procedura possa essere condizione di procedibilità dell’azione penale.

La Cassazione sottolineava infatti come, proprio nei casi ove vi è stato un pericolo attuale e concreto di danno alla risorsa ambientale, non è possibile imporre una incondizionata adozione della procedura. Più precisamente, in motivazione la Cassazione valorizzava un’interpretazione sistematica delle norme contenute nel T.U.A., ritenendo la lettura fornita dai ricorrenti «riduttivamente fondata sull’interpretazione letterale dell’art. 318 ter d.lgs. 152 del 2006, che utilizzando il presente indicativo imporrebbe l’incondizionata adozione delle prescrizioni (“l’organo di vigilanza impartisce”)». Al contrario, «l’interpretazione letterale deve essere coniugata con quella sistematica, non potendosi prescindere dal presupposto applicativo dell’intera procedura chiaramente preteso dalla norma di apertura dell’intera parte VI bis: l’assenza del danno e del pericolo di danno».

  1. L’assenza di danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, paesaggistiche ed urbanistiche.

È regola nota quella per cui la disciplina di estinzione delle contravvenzioni ambientali si applica alle sole ipotesi contravvenzionali «che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno» (art. 318 bis comma 1 D.Lgs. n. 152/2006).

Tale previsione, che connota la procedura prevista dal T.U.A. da quella applicabile alle contravvenzioni antinfortunistiche, attribuisce all’organo di vigilanza un compito ulteriore rispetto alla mera valutazione dell’effettiva (o, in sede cautelare, anche solo potenziale) integrazione di una fattispecie contravvenzionale.

Essi devono infatti dare un giudizio “di merito” circa l’offensività dell’illecito, ossia escludere che la violazione abbia cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alla risorsa. Con tale previsione, il legislatore ha rimesso all’ente di vigilanza un compito ben preciso: formulare un giudizio prognostico in merito alla possibilità che la situazione, al momento dell’esecuzione dell’accertamento (questo in ossequio al requisito dell’attualità del pericolo, pure previsto dalla norma) abbia già provocato o sia idonea a provocare un danno o un pericolo concreto attuale di danno[ii].

Tale responsabilità risulta ancor più onerosa[iii], se si considera che le fattispecie comprese nell’alveo applicativo della procedura estintiva del T.U.A. sono spesso contravvenzioni di pericolo astratto, in cui è esclusa ogni valutazione del giudice sulla gravità della condotta e sull’entità del danno «in quanto l’offensività è insita nella condotta stessa ed è presunta per legge»[iv]. Tra queste, rientra certamente la violazione delle autorizzazioni e dei titoli abilitativi richiesti dalla Pubblica Amministrazione per l’esercizio di determinate attività o – per riferirsi al caso in commento – per l’ampliamento di siti produttivi che possano comportare una variazione qualitativa delle emissioni.

Peraltro, come osservato da un’attenta dottrina[v], la valutazione deve essere fatta, appunto, in concreto e non sulla base della semplice analisi degli elementi costitutivi della fattispecie. Tale assunto comporta che il giudizio deve essere formulato «sulla base delle caratteristiche del fatto accertato e non sulla base della natura del reato»[vi].

Da qui, deriva un’importante conseguenza. Secondo tale interpretazione, potrebbero escludersi dalla sfera di applicazione della procedura estintiva quelle fattispecie di pericolo astratto (come è appunto – lo si ripete – quella di cui agli artt. 279, comma 1 e 269, comma 8 T.U.A. contestata nel caso in commento), che però in concreto abbiano prodotto una situazione di pericolo alle risorse ambientali, paesaggistiche ed urbanistiche[vii].

Qualora dunque la fattispecie abbia compromesso o rischiato effettivamente di compromettere la risorsa (ambientale, paesaggistica od urbanistica) la causa estintiva non potrà trovare applicazione. È stato sul punto già sottolineato una sorta di “effetto paradosso” di tale impostazione: addirittura un’attività abusiva, ossia esercitata in totale assenza di titolo autorizzatorio, potrebbe essere svolta in assenza di un danno o di un pericolo  di danno alla risorsa e, quindi, ammessa alla procedura estintiva; al contrario, la violazione di una prescrizione all’autorizzazione, pur riguardando una aspetto meramente formale, potrebbe avere effettive ricadute sull’esercizio dell’attività produttiva, mettere in pericolo il bene risorsa e, di conseguenza, escludere il contravventore dalla procedura estintiva[viii].

Tale impostazione dogmatica si pone in linea con l’indirizzo di legittimità oggi prevalente. Così ha, per esempio, di recente stabilito la Corte di cassazione, che in caso di discarica abusiva con abbandono di rifiuti speciali pericolosi e non (tra cui lastre di eternit, materiali da risulta etc.) ha ritenuto evidente la compromissione del bene ambiente, escludendo gli imputati dalla procedura estintiva[ix].

Poiché l’accertamento in concreto del danno o del pericolo di danno è tema assai sentito[x], si rileva come il Sistema Nazionale per la protezione dell’Ambiente (SNPA) ha raccolto e commentato numerose linee guida e circolari redatte in tema dalle principali Procure nazionali e dagli Enti accertatori[xi].

Da un esame comparativo di tali fonti, è emerso che la posizione prevalente (24 posizioni sul totale delle Procure interpellate, pari a circa il 54%)[xii] propende per l’applicabilità della procedura estintiva non solo alle contravvenzioni meramente formali (in cui quindi non vi è stato danno o pericolo di danno alla risorsa), ma anche in caso di violazioni sostanziali, ossia che hanno inciso (anche solo in via potenziale) sull’integrità della risorsa. Questo purché – ed è un’importante precisazione alla luce della ratio della normativa che mira a tutela l’integrità e il ripristino della risorsa – gli effetti negativi possano essere del tutto rimossi attraverso l’adempimento, spontaneo o indotto, alle prescrizioni.

La possibilità di rimuovere gli effetti (anche solo potenzialmente) negativi per la risorsa (ambientale, paesaggistica o urbanistica) è dunque considerata – secondo la lettura prevalente – condizione necessaria al fine dell’ammissione del contravventore alla procedura.

Altre posizioni invece sostengono che la procedura estintiva possa applicarsi alle contravvenzioni formali e alle sole contravvenzioni sostanziali che non abbiano comportato alcuna modifica alla risorsa (8 posizioni, pari al 17%), oppure che abbiano comportato modifiche ambientali marginali tali da poter essere rimosse facilmente e immediatamente (5 posizioni, pari al 11%). Residuano 14 posizioni, pari al 18%, che non hanno fornito indicazioni sul punto[xiii].

  1. Un sintetico commento finale.

Nel proprio impianto generale, la soluzione adottata dal legislatore, soprattutto se si tratta di reati di pericolo presunto, presta il fianco ad almeno un’osservazione.

Come già sottolineato, si pone il tema della valutazione caso per caso della fattispecie concreta, ossia dell’effettiva esistenza di un pericolo o di un danno alla risorsa, provocato dalla condotta poste in essere dal contravventore.

Nello svolgimento di tale compito, gli accertatori non possono ignorare la previsione di cui all’art. 318 ter T.U.A. secondo cui «con la prescrizione l’organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose»; ed anche il dettato del successivo art. 318 septies, comma 3, T.U.A. che – ricalcando il parallelo art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 758/1994, prevede che «l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza [debba essere] valutata ai fini dell’applicazione dell’art. 162 bis c.p.».

Dalla lettura di tali norme, infatti, emerge come il verificarsi di un pericolo o, in alternativa, di un vero e proprio danno non ostacoli di per sé l’accesso alla procedura; piuttosto, la chiave di lettura pare risiedere nella possibilità di rimuovere, correggere o prevenire le potenziali od effettive lesioni alla risorsa provocate dalla condotta del contravventore.

Se è possibile correggere o impedire che la lesione avvenga – attraverso l’adempimento ad una prescrizione (che può consistere anche nel mero rilascio di un titolo autorizzatorio) – allora il contravventore potrà accedere alla procedura[xiv]. Ma quale è la soglia di compromissione o di messa in pericolo tale da precludere l’accesso alla procedura estintiva[xv]?

Tale quesito diventa ancor più problematico se si accoglie l’indirizzo prevalente della Corte di Cassazione (sposato anche nel caso in commento) che adotta una nozione ampia di “danno”; danno che appunto «non si identifica con il “danno ambientale” di cui all’art. 300 d.lgs. 152 del 2006, potendo avere dimensioni e consistenza minore e riguardare, oltre le risorse naturali anche quelle urbanistiche o paesaggistiche protette»[xvi].

Anche dunque le risorse urbanistiche e paesaggistiche entrano in gioco e devono essere considerate, accanto (o in alternativa? [xvii]) al bene ambiente, quali parametri per consentire o negare l’accesso alla procedura estintiva.

Nel caso di specie, il Tribunale territoriale prima e la Corte escludono l’applicabilità dell’istituto sulla base della considerazione secondo cui la costruzione di due nuovi silos avrebbe inevitabilmente provocato un «effettivo e tangibile aumento delle emissioni in atmosfera (…) idonee a determinare un danno o un pericolo concreto di danno alle matrici ambientali».

I ricorrenti però avevano ottenuto, seguendo le indicazioni fornite dagli enti, un’autorizzazione alle nuove emissioni in atmosfera a distanza di pochi mesi dall’accertamento. Ma l’ottenimento di un’autorizzazione postuma non esclude che un danno al bene ambiente si sia ormai verificato, in modo forse irrimediabile.

Il rilascio di un titolo abilitativo e il suo successivo aggiornamento sono infatti condizioni per il regolare esercizio di un’attività che l’esperienza ha rilevato capace di produrre un pericolo di inquinamento all’ambiente[xviii]. La decisione della Corte, dunque, soprattutto se letta alla luce della ratio della disciplina introdotta dalla L. n. 68/2015 orientata alla tutela e al ripristino dell’integrità del bene ambiente, convince e si pone in linea con le linee guida adottate da numerosi enti accertatori e Procure.

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c. pen. n. 5576-22 (def. rev.)

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Cass. 5576_2023 (Rota)

NOTE:

[i] Secondo l’art. 268, comma 1, lett. m-bis) D.Lgs. n. 152/2006 si definisce modifica sostanziale allo stabilimento quella «che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse e che possa produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente».

[ii] In questi termini, si esprime E. Gai, Art. 318 bis e ss., in Codice dell’ambiente, profili generali e penali, 2022, Milano, p. 438.

[iii] Come sottolineato sin da subito da G. Amendola, Ecoreati: primi appunti sulla nuova procedura di eliminazione delle contravvenzioni previste dal d.lgs. 152/06, in www.lexambiente.it, 20 luglio 2015.

[iv] P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente. I reati e le sanzioni, il sistema delle responsabilità, le indagini, il processo e la difesa, aggiornato alla Legge sui nuovi delitti ambientali, Milano, 2015, p. 831.

[v] C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, commento alla legge 22 maggio 2015 n. 68, Torino, 2015, p. 73.

[vi] P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente. I reati e le sanzioni, il sistema delle responsabilità, le indagini, il processo e la difesa, aggiornato alla Legge sui nuovi delitti ambientali, cit., p. 831.

[vii] Si pensi anche, per portare ad esempio una fattispecie di frequente contestazione, al superamento dei valori soglia in tema di scarichi idrici nel caso in cui «lo sforamento sia tale da mettere concretamente in pericolo la salubrità delle acque», come sottolinea anche G. Amendola, Ecoreati: primi appunti sulla nuova procedura di eliminazione delle contravvenzioni previste dal d.lgs. 152/06, cit.

[viii] P. Fimiani, Gli aspetti problematici nel sistema di estinzione dei reati ambientali previsto dal titolo Vi bis del T.U.A., in LexAmb. Riv. Trim., 4/2019, pp. 22 ss.

[ix] Corte Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2021, n. 1131, in www.lexambiente.it; nello stesso senso, Corte Cass. pen., Sez. III, 19 maggio 2022, n. 19666, in questa Rivista, con nota di C. Tanzarella, La procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale: quali conseguenze dal suo mancato espletamento?, 1° luglio 2022; nello stesso senso, Corte Cass. pen., sez. III, 6 luglio 2021, n. 25528.

[x] Ha di recente scritto in tema anche l’Arma dei Carabinieri, cfr. https://www.carabinieri.it/media—comunicazione/silvae/la-rivista/aree-tematiche/diritto/l-estinzione-dei-reati-ambientali–disciplina-sanzionatoria-degli-illeciti-amministrativi-e-penali-in-materia-di-tutela-ambientale-(art.-1-comma-9-l.-68-2015), sottolineando come «la necessità di esprimere un giudizio fattuale nei reati ambientali (e non solo) presenta difficoltà non lievi, in relazione sia alla varietà dei casi e delle matrici ambientali, sia alle valutazioni d’indole tecnica, che spesso incidono sulla rilevazione dell’illecito, anche per la difficoltà di dettare norme generali, regole fisse finalizzate a suggerire l’indirizzo da dare per i vari casi».

[xi] Cfr. Ricognizione e analisi dei contenuti delle linee guida/circolari applicative emesse dalle Procure della Repubblica, dagli enti del SNPA e da altri enti, Allegato A), SNPA, https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2016/12/Allegato_A.pdf.

[xii] Cfr. p. 9, Ricognizione e analisi dei contenuti delle linee guida/circolari applicative emesse dalle Procure della Repubblica, dagli enti del SNPA e da altri enti, Allegato A), SNPA, cit.

[xiii] Cfr. p. 10, Ibidem.

[xiv] Tale impostazione, come visto, si pone in linea con le procedure e le linee guida adottate dalla maggior parte delle Procure nazionali.

[xv] Alcuni hanno proposto una lettura restrittiva, nel senso di limitare l’accesso alla procedura alle sole condotte con un «minor livello di intensità» ossia in presenza di «situazioni di minor lesione alle risorse ambientali o di pericolo non imminente», cfr. P. Fimiani, Gli aspetti problematici nel sistema di estinzione dei reati ambientali previsto dal titolo Vi bis del T.U.A., cit., p. 29.

[xvi] In senso conforme alla pronuncia in esame, Corte Cass. pen., Sez. III, 6 luglio 2021, n. 25528.

[xvii] Sul punto, da un lato è stato sottolineato come tali beni siano semplici «valori ulteriori da tenere in considerazione (…) solo in via eventuale ed integrativa, quando la lesione alle risorse ambientali non sia particolarmente intensa» P. Fimiani, Gli aspetti problematici nel sistema di estinzione dei reati ambientali previsto dal titolo Vi bis del T.U.A., cit., p. 29; in senso difforme si è invece espresso V. Paone, La procedura estintiva delle contravvenzioni lavoristiche ed ambientali tra obbligatorietà e improcedibilità dell’azione penale, in LexAmb. Riv. Trim., n. 3/2022, pp. 54 ss., secondo cui il rinvio alle “risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette” è solo un modo enfatico per alludere al bene dell’ambiente.

[xviii] Proprio in tema di violazione delle autorizzazioni per le emissioni in atmosfera in un caso di omessa tenuta del registro in cui annotare i consumi di prodotto verniciante, Corte Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2014, n. 24334.

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