La nozione sostanzialistica di impresa nella bonifica dei siti contaminati. 

01 Set 2024 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 4

TAR Veneto, Sez. IV, 6 maggio 2024 n. 896

La nozione sostanzialistica di impresa determina che le responsabilità ambientali debbano essere allocate in capo ai soggetti che, nel corso degli anni, hanno tratto un utile dalle attività inquinanti, vuoi tramite la distribuzione di dividendi, vuoi, come accade più spesso, grazie al risparmio di spesa ottenuto tramite la mancata adozione di adeguati presidi ambientali.

Il comportamento di una “società figlia”, può essere imputato anche alla “società madre” (rispetto alla quale conservi una personalità giuridica autonoma), ove essa non determini in modo autonomo la propria linea di condotta, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, alla luce in particolare dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che uniscono le due entità giuridiche, di modo che, in tale situazione, queste ultime fanno parte di una stessa unità economica.

La sentenza si segnala per l’aver ripreso un concetto già più volte espresso dalla giurisprudenza amministrativa, riconducibile alla c.d. “concezione sostanzialistica di impresa”.

La giurisprudenza recente ha spesso dato rilievo al collegamento societario per affermare la corresponsabilità di diversi soggetti nella causazione dell’inquinamento. Essa è infatti ormai costante nell’accogliere – anche in materia ambientale – la concezione sostanzialistica di impresa secondo cui vi è prevalenza dell’unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate. Di talché, “l’attività delle società controllate deve essere vista in una logica di gruppo. Queste società sono vettori delle decisioni imprenditoriali del gruppo, e quindi operano sostanzialmente come organi del gruppo” (TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 9 agosto 2018, n. 802. T.A.R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 30 aprile 2014, n. 204).

Nel caso in questione le ricorrenti contestavano, tra l’altro, l’illegittimità del provvedimento impugnato, nella parte in cui esse erano state individuate come corresponsabili della contaminazione per cui era stato attivato il procedimento di bonifica, sotto il profilo soggettivo.

In particolare le ricorrenti evidenziavano di essere soggetti diversi dal presunto inquinatore, e che il mero possesso di una partecipazione sociale, senza lo svolgimento in concreto di un ruolo decisionale, non può essere considerato sufficiente ad addebitare una responsabilità per le condotte della società controllata.

Il TAR  ha respinto tali argomentazioni, richiamando il principio secondo cui  l’attività delle società controllate deve essere vista in una logica di gruppo, “in quanto le società controllate sono vettori delle decisioni imprenditoriali del gruppo e, quindi, operano sostanzialmente come organi del gruppo, con la conseguenza che non liberano il gruppo, specificatamente la capo gruppo, delle responsabilità derivanti da negligenze, omissioni o carenze nell’esercizio della sua attività, anche in relazione all’inquinamento e alla contaminazione causate nel corso dell’attività”.

Il TAR richiama una propria precedente sentenza (T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 marzo 2023, n. 340), nella quale aveva già affermato quanto segue:

La disciplina dettata dal Codice dell’Ambiente sulla bonifica dei siti contaminati è di derivazione eurounitaria. È, dunque, ai principi da essa enucleati che occorre far riferimento per l’interpretazione degli istituti che vengono in rilievo.

Il principio “chi inquina paga”, in particolare, impone di allocare le esternalità negative dell’attività di impresa presso il soggetto che da esse ha tratto beneficio.

La necessità che tale allocazione sia effettivamente perseguita (anche per finalità di tutela della corretta competizione tra imprese) ha fatto sì che la giurisprudenza accogliesse, nella materia ambientale, la concezione sostanzialistica di impresa, elaborata nel settore del diritto della concorrenza dalla giurisprudenza eurounitaria.

Alla stregua della suddetta concezione, occorre aver riguardo alla sostanza economica dell’impresa, andando oltre la fenomenica frammentazione di essa in una pluralità di soggetti distinti ed attribuendo, dunque, a tutti i soggetti ai quali sono effettivamente riferibili, le conseguenze delle condotte da essi ideate e realizzate e dalle quali abbiano tratto beneficio. Si è, dunque, affermato che ‘la nozione di impresa, nell’ambito del diritto della concorrenza, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce ad un’unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo, anche qualora, sotto il profilo giuridico, questa unità economica sia costituita da più persone fisiche o giuridiche e qualora tale entità economica consista in un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica’ (così Corte di Giustizia U.E., 1° luglio 2010, procedimento C.407/08P, caso Knauf Gips KG)

Secondo la giurisprudenza che ha fatto applicazione dei suddetti principi nella materia ambientale (Consiglio di Stato, sez. Sez. IV, 6 aprile 2020, n. 2301) – e che il Collegio condivide – ai fini dell’individuazione dei soggetti tenuti alla bonifica di un sito inquinato, alla stregua di una concezione sostanzialistica di impresa, occorre non limitare l’accertamento delle responsabilità della condotta che ha dato luogo all’inquinamento all’autore materiale dell’attività economica che ha costituito la fonte della contaminazione, ma di estenderlo alla ricerca di quei soggetti che della fonte abbiano l’effettivo controllo, in virtù di poteri decisionali o che abbiano reso “comunque possibile” l’attività che ha dato origine all’inquinamento “in forza della posizione giuridica che essi rivestono all’interno dei rapporti con il diretto inquinatore” e “nell’ambito di tali situazioni, l’ipotesi della casa madre che si avvale di società operative per svolgere l’attività di impresa è certamente quella più emblematica”

In sintesi, alla stregua del suddetto indirizzo, “La nozione sostanzialistica di impresa determina che le responsabilità ambientali debbano essere allocate in capo ai soggetti che, nel corso degli anni, hanno tratto un utile dalle attività inquinanti, vuoi tramite la distribuzione di dividendi, vuoi, come accade più spesso, grazie al risparmio di spesa ottenuto tramite la mancata adozione di adeguati presidi ambientali” (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 aprile 2020, n. 2301).

Alla stregua del medesimo indirizzo – anche riguardato alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, sviluppatasi nella materia della concorrenza – dunque, contrariamente a quanto afferma la parte ricorrente non è necessario, per affermare la presenza di un’impresa unica a fronte dell’alterità soggettiva delle società facenti parte di un gruppo, che sia fornita la prova di specifici atti di ingerenza della capogruppo, ovvero la presenza di specifiche maggioranze, poiché ciò che rileva è l’effettività del fenomeno, che si realizza laddove sussista “un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica” (così Corte di Giustizia U.E., 1° luglio 2010, procedimento C.407/08P, caso Knauf Gips KG).

Si è, quindi, ritenuto, dunque, che il comportamento di una “società figlia”, possa essere imputato anche alla “società madre” (rispetto alla quale conservi una personalità giuridica autonoma), ove essa non determini in modo autonomo la propria linea di condotta, “ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, alla luce in particolare dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che uniscono le due entità giuridiche, di modo che, in tale situazione, queste ultime fanno parte di una stessa unità economica (v., in tal senso, sentenze del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione, C 97/08 P, EU:C:2009:536, punti 58 e 59, nonché del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione, C 516/15 P, EU:C:2017:314, punti 52 e 53 e giurisprudenza ivi citata)” (Corte Giustizia UE, Grande Sezione, C882/19 “Sumal, S.L. c/ Mercedes Benz Trucks España, S.L.”, 06.10.2021; punti 41, 43).

Ne deriva che la prova dell’esistenza di un’unità economica, ‘non deve per forza risiedere nella prova di istruzioni effettivamente impartite dalla società controllante alla controllata” (Tribunale di Primo Grado CE, sentenza del 26 aprile 2007, cause riunite T-109/02, T-118/02, T-125/02, T-126/02, T-129/02, T-132/02 e T-136/02, Bolloré c Commissione), essendo sufficiente che l’attività svolta dalla società controllata, autrice della condotta illecita, sia frutto di una scelta inquadrabile nella strategia del gruppo, dal quale esso abbia tratto beneficio.

Neppure la posizione di controllo totalitario o quasi totalitario della capogruppo sulla controllata costituisce un elemento di prova indefettibile della non autonomia delle scelte compiute dalla controllata. Essa, infatti, è richiamata quale indice solo presuntivo dell’unità sostanziale dell’impresa (‘La sussistenza dei presupposti tipicizzanti è stata ritenuta sussistere sia nel caso di controllo totale, sia maggioritario, come anche in caso di controllo minoritario pur in presenza di alcune circostanze di fatto o di diritto attraverso le quali un socio di minoranza può acquisire il controllo dell’impresa’ Commissione Europea, Comunicazione sulla nozione di concentrazione tra imprese, 98/C66/02, para. 13).

La Corte di Giustizia ha ritenuto, ad esempio, la rilevanza, ai fini della valutazione della sussistenza di un’unità economica ‘lo svolgimento da parte della stessa persona di funzioni chiave in seno agli organi di amministrazione delle società del gruppo nonché il fatto che tale persona rappresentasse, in occasione delle riunioni del club dei direttori, le singole società, e che a queste ultime sia stata attribuita un’unica quota nell’ambito dell’intesa.’ (Tribunale 20 marzo 2002, causa T-9/99, HFB e a./Commissione), i collegamenti personali tra la controllante e la controllata (Tribunale di Primo Grado CE, 1° aprile 1993, causa T-65/89, BPB Industries e British Gypsum/Commissione), finanche l’avere avuto anche solo un amministratore in comune (Tribunale di Primo Grado CE, sentenza del 26 aprile 2007, cause riunite T-109/02, T-118/02, T-125/02, T-126/02, T-129/02, T-132/02 e T-136/02, Bolloré c Commissione), unito al correlato accertamento funzionale dei compiti delle società collegate”.

In estrema sintesi, secondo il Giudice ciò che effettivamente conta è esclusivamente l’effettivo controllo dell’attività che ha dato origine all’inquinamento; controllo che non richiederebbe la prova di specifiche istruzioni, essendo sufficiente che l’attività svolta dalla società autrice della condotta illecita sia frutto di una scelta inquadrabile in una strategia del gruppo, quest’ultimo inteso come un’unicaunitàeconomica che abbia tratto beneficio dalla condotta illecita.

L’orientamento espresso dalla sentenza in commento rappresenta ormai un solido pilastro del sistema giurisprudenziale relativo alla allocazione delle responsabilità ambientali; il mero schermo costituito dalla distinta personalità giuridica delle diverse entità coinvolte pare avere perso definitivamente qualsiasi valenza, dovendosi fare piuttosto riferimento a due fondamentali parametri: l’individuazione del beneficiario finale dei vantaggi economici ottenuti dall’attività inquinante e il controllo su quest’ultima, a prescindere dal modo e dallo strumento con cui esso è esercitato.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

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