Corte di cassazione, Sez. II civile, 5 dicembre 2023, ord. n. 34000
Per operatore interessato, tenuto in presenza di una minaccia imminente di danno ambientale a darne comunicazione entro ventiquattro ore agli enti pubblici territoriali ex art. 304, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, non si intende il responsabile di un pericolo di danno ambientale, ma il soggetto che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale, o chi esercita un potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività, sul quale, di conseguenza, gravano gli obblighi di comunicazione di cui alla citata norma, senza che al riguardo sia necessario alcun nesso di causalità tra l’attività in concreto svolta dall’operatore e il pericolo ambientale (nella fattispecie, la società titolare di concessione petrolifera, venuta a conoscenza del superamento delle CSC per due metalli pesanti ancor prima di aver iniziato a svolgere l’attività di estrazione, è stata ritenuta obbligata a darne comunicazione all’autorità competente).
La sentenza in commento si occupa dell’obbligo di comunicazione ex art. 304 del d.lgs. n. 152/2006, la quale norma, collocata nella Parte Sesta del d.lgs. n. 152/2006 dedicata alla disciplina del danno ambientale, dispone che “quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza”, dovendo altresì “far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia”. Lo stesso art. 304 aggiunge successivamente che “tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire” e che “se l’operatore non provvede (…) alla comunicazione di cui al presente comma, l’autorità preposta al controllo o comunque il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare irroga una sanzione amministrativa non inferiore a 1.000 euro né superiore a 3.000 euro per ogni giorno di ritardo”.
Giova ricordare che il citato art. 304 è richiamato anche dall’art. 242, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 in tema di bonifica; norma quest’ultima che, tuttavia, impone l’obbligo di comunicazione non all’“operatore interessato”, bensì al “responsabile dell’inquinamento” e, per effetto del richiamo all’art. 242 contenuto nell’art. 245, anche al “proprietario” o “gestore dell’area”. In particolare, dispone l’art. 242, “al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”. L’art. 245 aggiunge che “il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242”.
Una differenza non di poco conto, anche considerando che alla sola violazione dell’obbligo di comunicazione scaturente dal combinato disposto degli artt. 242 e 304 è collegata l’irrogazione della sanzione penale di cui all’art. 257 (ossia l’arresto da tre mesi a un anno o l’ammenda da 1.000 euro a 26.000 euro), mentre la violazione dell’obbligo di comunicazione ex art. 304 da parte dell’“operatore interessato” è sanzionata solo in via amministrativa, come sopra già ricordato.
Mentre sul contenuto e sui confini dell’obbligo di comunicazione ex artt. 242-304 sanzionato penalmente la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in svariate occasionii, non altrettanto può dirsi in merito all’obbligo di comunicazione ex art. 304 sanzionato in via amministrativa, costituendo la sentenza in epigrafe un raro casoii in cui la questione dell’ambito di operatività dell’art. 304 è stata portata all’attenzione della Suprema Corte.
La fattispecie è interessante, in quanto ha portato i giudici di legittimità a pronunciarsi sul presupposto soggettivo di applicazione della norma, ossia il concetto di “operatore interessato” cui compete l’obbligo di comunicazione in parola.
Una nota società petrolifera, che aveva ottenuto una concessione di coltivazione petrolifera in una determinata area e che stava effettuando della attività di monitoraggio nel contesto dell’ottenimento della valutazione di impatto ambientale prodromica alla realizzazione delle opere destinate all’estrazione degli idrocarburi, veniva a conoscenza del superamento delle “CSC” per le sostanze ferro e manganese, omettendo tuttavia di effettuare la comunicazione entro 24 ore ai sensi del già citato art. 304, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, che veniva infatti effettuata solo un paio di mesi dopo. A fronte del predetto ritardo l’ente provinciale ingiungeva alla società il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di circa 60.000 euro, quale diretta applicazione dell’art. 304.
A seguito dell’opposizione all’ordinanza ingiunzione promossa dalla società, sia il Tribunale di prima istanza sia la Corte d’Appello annullavano il provvedimento, in particolare evidenziando l’assenza in capo al trasgressore della qualifica di “operatore interessato”, da individuare, secondo i giudici del merito, nel soggetto che effettua le attività dalle quali origina la situazione di pericolo ambientale; qualifica pacificamente non rivestita dal trasgressore in quanto, al momento della contestazione dell’illecito, la società titolare della concessione non aveva ancora iniziato alcuna attività di perforazione e di estrazione, e ciò, peraltro, determinava, anche sotto il profilo oggettivo, l’assenza di un’attività che avesse potuto provocare una situazione di minaccia imminente di danno ambientale (il pericolo ambientale era cioè avulso dalla realizzazione delle opere assentite), oltreché del nesso eziologico tra l’attività dell’operatore interessato (non ancora avviata) e la situazione di pericolo imminente (già manifestatosi e inoltre riconducibile alla particolare connotazione naturale del luogo).
La provincia proponeva quindi ricorso avanti la Corte di cassazione lamentando, tra gli altri motivi e per quanto qui interessa sottolineare, l’erroneità della sentenza d’appello per non aver riconosciuto in capo alla società titolare della concessione la qualifica di “operatore interessato” a causa dell’errore di diritto consistente nella riconduzione dell’illecito amministrativo in questione a una fattispecie di danno, senza considerare che, in realtà, l’art. 304 risponde a una finalità di prevenzione, dovendosi a tal fine qualificare come “operatore interessato” qualunque soggetto che ha una relazione privilegiata con il bene protetto e che, pertanto, è più probabile che venga tempestivamente a conoscenza di una possibile minaccia alla sua integrità, da dover prontamente segnalare; e ciò a prescindere dalla necessità di dimostrare la sussistenza di un’attività che abbia provocato la situazione di pericolo di danno ambientale e del relativo nesso eziologico tra attività esercitata e potenziale danno.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dall’ente, ritenendolo fondato nei suoi diversi profili di critica, in particolare evidenziando come, sulla base del dato normativo (ossia il già citato art. 304 del d.lgs. n. 152/2006), l’azione che viene richiesta all’“operatore interessato” sia un’azione di prevenzione necessaria al fine di scongiurare il pericolo di un danno ambientale, essendosi chiaramente di fronte a una fattispecie di pericolo e non di danno.
In tale contesto la nozione di “operatore interessato”, ossia il soggetto tenuto a informare tempestivamente le autorità in caso di scoperta dell’evento potenzialmente dannoso e indipendentemente dal nesso di causalità sussistente tra l’esercizio (o il non esercizio, come accaduto nel caso di specie) di una certa attività e il conseguente danno ambientale, non può e non deve coincidere necessariamente con quella di “responsabile” dell’attività da cui origina la situazione di pericolo ambientale, ma con quella di “operatore” di cui all’art. 302, comma 4, ossia “qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività”.
Ciò, peraltro, in tema di bonifica trova conferma nell’art. 245 relativo agli obblighi di intervento e di comunicazione a carico dei soggetti “non responsabili” della potenziale contaminazione riscontrata a carico di una certa matrice ambientale, laddove viene precisato che il mero “proprietario” o “gestore” dell’area interessata che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento di una CSC deve darne comunicazione alle autorità competenti secondo la procedura di cui all’art. 242 che, come già ricordato a inizio commento, richiama proprio le modalità di cui all’art. 304.
In tale contesto, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso presentato dalla Provincia in quanto la società titolare della concessione petrolifera, proprio per tale sua qualità (“titolare del permesso o dell’autorizzazione”), rivestiva senza dubbio al momento della scoperta la qualifica di “operatore interessato” e, come tale, una volta venuta a conoscenza del superamento di alcune CSC, ossia della minaccia imminente di un danno ambientale, avrebbe dovuto, indipendentemente dall’indagine circa la responsabilità per l’accadimento di tale minaccia, darne immediata comunicazione alle competenti autorità ai sensi dell’art. 304, in difetto potendo essere sanzionata in via amministrativa, come poi in concreto accaduto.
In definitiva, mentre l’obbligo di comunicazione di una situazione di potenziale pericolo di danno all’ambienteiii ricade indistintamente sul “responsabile” dell’evento, sul “proprietario” dell’area, sul suo “gestore” o, ancora, sull’“operatore interessato”, quindi in definitiva su qualsiasi soggetto che abbia un rapporto diretto con l’area colpita o anche solo un interesse su di essa (quale il titolare dell’autorizzazione a ivi svolgere una certa attività)iv, sono tuttavia differenti le conseguenze derivanti dall’eventuale inadempimento a tale obbligo.
Infatti, l’omissione in questione è sanzionata penalmente ex art. 257 solo nel caso in cui la comunicazione sia dovuta dal soggetto effettivamente responsabile dell’evento potenzialmente lesivo; mentre nel caso dell’operatore interessato è applicabile la sola sanziona amministrativa ex art. 304 che, peraltro, in caso di omissione protratta nel tempo, può di gran lunga superare l’importo che il soggetto responsabile potrebbe decidere di pagare in via amministrativa in caso di ammissione alla procedura di estinzione del reato ex artt. 318-bis e ss. del d.lgs. n. 152/2006.
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NOTE:
i Precisando, tra l’altro, che il reato in questione è configurabile soltanto nei confronti del responsabile dell’inquinamento e non anche del proprietario incolpevole (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 18 novembre 2010, n. 40856, in Amb&Svil., 2011, p. 372 e Cass. Pen., Sez. III, 11 maggio 2011, n. 18503, in RGA, 2012, p. 808), che il reato è integrato prescindendo dal superamento delle “CSC”, rilevando esclusivamente la potenzialità dell’evento contaminante (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 2 febbraio 2014, n. 5757), che la comunicazione deve essere completa, ossia deve contenere tutti gli elementi richiesti dall’art. 304 (Cass. Pen., Sez. IV, 24 ottobre 2018, n. 48548) o, ancora, che esso è configurabile anche nel caso in cui l’autorità sia già a conoscenza della situazione, vuoi perché il sito interessato dall’evento sia già oggetto di un procedimento di bonifica in corso (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 27 febbraio 2014, in RGA, 2014, p. 554), vuoi per essere l’autorità intervenuta direttamente presso l’area interessata dall’evento o dalla scoperta della contaminazione storica (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 18 novembre 2010, n. 40856, cit.).
ii In una precedente pronuncia (Cass. Civ., Sez. II, ord. del 18 novembre 2019, n. 29873) i giudici di legittimità si erano limitati a precisare che l’illecito in questione risulta integrato dal mancato recapito della comunicazione, nel termine di 24 ore, anche a uno solo dei soggetti indicati dalla norma (nella specie era stata omessa la comunicazione tempestiva al Prefetto, al quale era stata inviata con un ritardo di 34 giorni).
iii Vuoi che sia l’”evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un sito” o le “contaminazioni storiche…che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione” ex art. 242, oppure l’esistenza di “una minaccia imminente che si verifichi” un danno ambientale ex 304)
iv Ciò peraltro corrispondendo a un’apprezzabile esigenza di tutela ambientale, ossia rendere noto il prima possibile l’evento per permettere alle autorità le necessarie e opportune valutazioni al fine di limitare o non aggravare gli eventuali danni all’ambiente.