La nozione di rifiuto e la possibilità di riutilizzo

01 Mar 2023 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 3

di Federico Peres

Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria – sez. I, sent. n. 71 del 21.11.2022 – Pres. Potenza, Est. De Grazia – Omissis (avv. Bececco) c. Comune di Stroncone (avv. De Angelis)

«La circostanza che una sostanza sia ancora suscettibile di una qualche valutazione economica non è di per sé decisiva per escludere la sua qualifica come rifiuto, essendo invece necessario che il soggetto che ha interesse a negarla dimostri l’assoluta certezza del riutilizzo del materiale».

La società Alfa acquistava dalla società Beta in fallimento il compendio di beni immobili e mobili utilizzati dalla stessa, prima del fallimento, per svolgere l’attività di zincatura. Tra i beni mobili ceduti rientravano anche alcune materie prime non ancora utilizzate, segnatamente sostanze liquide (una soluzione contenente acido cloridrico) presenti nelle vasche di decapaggio, di sgrassaggio e di flussaggio. Al riguardo, la relazione di stima condotta in ambito fallimentare aveva espressamente precisato che «tra le materie prime presenti all’interno dell’opificio aveva ancora valore significativo la soluzione contenente acido cloridrico, attualmente presente nelle sette vasche di decapaggio, aventi ciascuna una capacità di 35 m³».

Qualche anno dopo la vendita, il Comune, presa visione dei luoghi, qualificava queste sostanze come rifiuti, contestava al proprietario il deposito incontrollato e ne imponeva, di conseguenza, l’avvio a smaltimento/recupero.

Il proprietario respingeva tale qualifica e oltre a ricordare la perizia di stima condotta in ambito fallimentare, osservava che tali sostanze erano ancora utilizzabili negli impianti di zincatura «come dimostrato anche dalla stima espressa da una società specializzata, che, con nota del 10.12.2021, con particolare riguardo alla soluzione decapante, ai sali di flussaggio ed alla soluzione sgrassante, li ha ritenuti ancora utilizzabili nel processo produttivo e pertanto valorizzabili a livello economico».

Faceva notare altresì che il materiale in questione era «custodito e detenuto in sicurezza, all’interno della proprietà […], chiusa e vigilata dalla stessa ricorrente» e precisava, concludendo, che era sempre stato suo proposito, ostacolato solo dalla crisi legata alla pandemia, valorizzare l’investimento mediante la riattivazione degli impianti e della produzione oppure attraverso la commercializzazione delle materie prime acquistate dal fallimento.

Nonostante le osservazioni, il Comune adottava l’ordinanza ex art. 192 contro la quale la società Alfa presentava ricorso sottoponendo al Giudice amministrativo le medesime deduzioni.

Il Tar non le condivideva. La sentenza, infatti, dopo una approfondita ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale sulla nozione di rifiuto, di sottoprodotto e di End of Waste, concludeva negando il carattere decisivo del valore economico, pur riconosciuto alla sostanza ed affermava che, per contestare la qualifica di rifiuto, l’interessato avrebbe dovuto dimostrare l’assoluta certezza del riutilizzo del materiale, il che, nel caso concreto, non era avvenuto posto che la società ricorrente «non risulta titolare (o, comunque, non ne ha fornito la prova specifica) di idonea autorizzazione che la legittimi ad esercitare l’attività di zincatura dell’acciaio nella quale impiegare le sostanze della cui qualità si controverte».

La pronuncia sembra, dunque, sovrapporre la nozione di rifiuto e quella di sottoprodotto. È certamente vero che il perimetro del primo risulta completato dal secondo, tuttavia vi sono differenze fondamentali che non consentono di applicare, indistintamente all’uno e all’altro, concetti e condizioni. Ed invero, mentre il rifiuto è “qualsiasi sostanza od oggetto” di cui il produttore/detentore si disfi, abbia l’obbligo o l’intenzione di disfarsi, il sottoprodotto è, prima di tutto, un residuo della produzione.

In altre parole, la materia prima non ancora lavorata e il prodotto finito non sembrano poter soddisfare la qualifica di sottoprodotto perché, quanto alla materia prima, non origina da un processo di produzione (ma si pone a monte dello stesso) e perché, quanto al prodotto, esso è lo scopo primario della produzione (così lo definisce infatti l’art. 2 del d.m. 264/2016 richiamato dalla stessa sentenza: «ogni materiale o sostanza che è ottenuto deliberatamente nell’ambito di un processo di produzione o risultato di una scelta tecnica. In molti casi è possibile identificare uno  o più prodotti primari»). Difettando, dunque, la condizione n. 1 di cui all’art. 184 bis d.lgs. 152/2006, potremmo dire che mentre la nozione di rifiuto può valere (ove ricorra l’obbligo o l’intenzione di disfarsi) tanto per la materia prima non lavorata, quanto per i residui di produzione, così come anche per un qualunque prodotto finito, quella di sottoprodotto (come peraltro prevede chiaramente il d.m. n. 264/2016) vale invece esclusivamente per i residui di produzione, che scaturiscono, in modo non occasionale, da un processo produttivo.

Data questa premessa, la circostanza che, nel caso concreto, si trattasse di materia prima, il cui valore era stato stimato dalla relazione peritale in ambito fallimentare e che si trovava conservata in condizioni tali da continuare a mantenere un valore economico, come dimostrato anche da una successiva perizia non contestata, sono elementi che avrebbero potuto condurre il Tar a una conclusione diversa. È pacifico, infatti, che chi acquista un bene da un fallimento (come da qualunque altro venditore), sia che si tratti del prodotto finito rimasto invenduto o della materia prima ancora non lavorata, è libero di utilizzarlo direttamente oppure di rivenderlo, come infatti la società Alfa aveva dichiarato che era sua intenzione fare, senza dunque che rilevi in modo decisivo il mancato possesso dei titoli abilitativi per proseguire l’attività del fallito.

Certamente l’assenza di cautele nella conservazione della materia prima e/o del prodotto finito, la loro sopravvenuta inservibilità con conseguente azzeramento del valore economico, possono essere sintomatici della qualifica come rifiuti, tuttavia, la mancata prova del riutilizzo non dovrebbe essere, a questi fini, dirimente, come lo è invece quando si discute di residui e dunque di potenziali sottoprodotti.

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2023.02.20 RGA_marzo_PERES_TAR Umbria RIFIUTO

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

2022.11.21 TAR Umbria n. 83

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