La natura unitaria del PAUR nel procedimento urbanistico e le sue conseguenze

27 Dic 2021 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 2

di Eva Maschietto

Tar Lombardia, Milano, sez. II, 16 novembre 2021 n. 2538 (Pres. Italo Caso Rel. Lorenzo Cordi’)

(Associazione Ambientalista Verdi Ambiente e Società – V.A.S.) (Avv. Veronica Dini) c. Comune di Milano (Avv.ti Paola Cozzi, Antonello Mandarano, Alessandra Montagnani Amendolea, Anna Maria Pavin, Maria Lodovica Bognetti, Elena Maria Ferradini), Regione Lombardia (Avv. Piera Pujatti) Città Metropolitana di Milano,  Comune di Rho, nei confronti di (Poste Italiane s.p.a.) (Avv.ti Aristide Police e Andrea Sandulli), (Arexpo s.p.a.) (Avv.ti Guido Bardelli e Marta Spaini) e (Lendlease srl) (Avv. Federico Vanetti)

Nell’ambito di un procedimento urbanistico assoggettato a provvedimento autorizzativo unico regionale ex art. 27 D. Lgs. 152/06 e art. 4 l. Regione Lombardia n. 5/2010 (PAUR), il provvedimento comunale di approvazione del piano integrato di intervento (PII) costituisce solo un tassello di un ben più complesso procedimento il cui esito finale è costituito dal PAUR adottato in sede di conferenza di servizi, che ricomprende il provvedimento di VIA e tutti i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto.

Il PAUR non costituisce un atto sostitutivo dei diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi che possono interessare la realizzazione del progetto, ma si pone come atto unitario che li comprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi, unica sede decisoria che riunisce le diverse amministrazioni competenti, ove si esprime una nuova competenza in senso qualitativo, destinata ad apportare valore aggiunto.

Quando il ricorso abbia ad oggetto la censura delle valutazioni di tipo ambientale del procedimento urbanistico, l’impugnazione della sola approvazione del PII non accompagnata dall’impugnazione del PAUR, risulta inammissibile: infatti, anche ove si dovesse riconoscere natura provvedimentale all’approvazione del PII, l’eventuale annullamento di quest’ultima non comporterebbe un effetto caducante rispetto all’approvazione del PAUR, espressione di una competenza più ampia.

Inammissibile il ricorso di una associazione ambientalista contro il Piano integrato di intervento Mind, relativo alla realizzazione sull’ex area EXPO del Milan Innovation District, approvato anche dal Comune di Milano nel gennaio del 2020: questa la decisione del TAR che, con una sentenza in pieno diritto, fornisce una puntuale disamina del significato e dei ruoli dei singoli atti all’interno di un procedimento complesso, concludendo che la mancata impugnazione del provvedimento autorizzativo unico regionale (P.A.U.R. o anche PAUR) da parte della ricorrente preclude ogni esame delle censure nel merito.

La vicenda riguarda la nota area appartenente ai territori dei Comuni di Milano e di Rho che ha ospitato l’EXPO del 2015 e risale a un decennio fa, quando fu stipulato l’Accordo di programma tra il Comune di Milano, la Regione Lombardia, il Comune di Rho e Poste Italiane al fine, da un lato, di consentire appunto la realizzazione dell’Esposizione Universale del 2015 anche attraverso la definizione della idonea disciplina urbanistica e, dall’altro lato, di disciplinare la riqualificazione dell’area a seguito dell’evento, da attuarsi mediante l’approvazione di un PII o altro atto di programmazione negoziata equipollente. L’Accordo di Programma, cui il Consiglio Comunale aderì con delibera del 25 luglio 2011, comportava variante urbanistica a entrambi gli strumenti di pianificazione del comune di Milano e del comune di Rho con il fine di “delineare la configurazione dell’area successivamente all’evento Expo 2015, in coerenza con i principi generali di pianificazione contenuti nei PGT dei Comuni di Milano e di Rho in fase di approvazione”.

Dalla narrativa del ricorso, si comprende come l’associazione ambientalista si scagli contro il PII approvato dal Comune definitivamente nel febbraio 2020, impugnandolo con un ricorso corredato da sei motivi, ma non impugni il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) emesso in sede di conferenza dei servizi qualche giorno dopo il PII ai sensi dell’art. 27bis del D. Lgs. 152/06 (il Testo Unico Ambientale o TUA).

Il ricorso, nella sostanza, si lamenta dell’eccessivo consumo di suolo da parte del PII, che vede insediate funzioni pubbliche e di interesse pubblico (rappresentate da un parco scientifico e tecnologico che ora ospita lo Human Technopole, l’Ospedale Galeazzi e le facoltà scientifiche dell’Università Statale di Milano), con un sacrificio delle aree verdi come originariamente concepite dall’Accordo di Programma. La realizzazione di edifici e l’insediamento di funzioni sia pur di interesse pubblico, ad avviso della ricorrente, non sarebbero idonei a garantire il soddisfacimento degli obiettivi previsti in termini di superficie permeabile: come corollario viene contestata anche l’equiparazione tra gli obiettivi di permeabilità indicati nella Valutazione Ambientale Strategica con l’indicatore G.S.F. (Green Space Factor[i]), che consente di includere nel novero delle superfici permeabili anche spazi (quali i tetti verdi, le pareti verdi e la chioma degli alberi con un indice superiore ad 1 per alberi di grande dimensione) diversi dalle aree verdi vere e proprie. A questi motivi più specifici si aggiungono doglianze di natura procedimentale e, tra le censure più consuete nei ricorsi delle associazioni contro i piani urbanistici di dettaglio, la presunta generale carenza di standard (di zona e generali) rispetto a quelli prescritti dal DM n. 1444/1968.

Ma il PAUR in quanto tale non viene impugnato.

Di questa omissione (tra altre non specificamente esaminate dal Collegio) si avvedono tutte le difese avversarie che sollevano l’eccezione di inammissibilità del ricorso, eccezione che – a seguito di una ricostruzione in diritto del procedimento effettuata dal TAR – viene accolta, definendo il giudizio in rito.

La questione si presenta di particolare interesse perché’ offre la completa ricostruzione del procedimento culminato nell’approvazione di tutti gli atti necessari per la realizzazione del PII Mind – Milan Innovation District, procedimento certamente complesso e tagliato – quantomeno nella prima parte – sulle esigenze dell’EXPO, ma tutt’altro che straordinario, inserendosi in quella pianificazione urbanistica negoziata (anche in variante), che è divenuta una consuetudine per i progetti di riqualificazione di aree complesse.

La base della disciplina è quella dell’Accordo di Programma, strumento destinato a disciplinare, in una prima fase, la realizzazione dell’EXPO 2015 e, in una seconda fase, la riqualificazione urbanistica dell’area tramite la definizione dei pilastri della variante da attuare tramite un PII.

La variante, come accennato, interessa sia il territorio del Comune di Milano (la c.d. Unità 1 che costituisce la porzione più rilevante) destinata ad “Ambito di Trasformazione di Interesse Pubblico Generale[ii]”, sia il territorio del Comune di Rho, e interviene a seguito di una procedura di VAS, culminata in un parere motivato con prescrizioni. Viene insediato in via anticipata lo Human Tecnopole e poi si prevede l’inserimento di alcuni edifici dedicati a ospitare gli studenti dell’Università degli Studi di Milano (facoltà scientifiche e campus universitario): l’Accordo di Programma viene integrato e si configura l’assetto definitivo dell’area come Parco del Sapere, della Scienza e dell’Innovazione. Il Collegio di vigilanza dell’Accordo di Programma decide di avviare della VAS in parallelo con la definizione del Masterplan, affinché’ si valutino le “alternative percorribili in funzione della loro sostenibilità, definendo per gli aspetti di carattere procedurale (autorità coinvolte, metodi per la partecipazione pubblica, ambito di influenza, metodologia di valutazione adottata, ecc.) e per gli aspetti di carattere analitico, i presumibili impatti attesi dall’attuazione del Piano, l’analisi delle tematiche ambientali del contesto di riferimento e la definizione degli indicatori di monitoraggio” e dispone che venga attivato l’Osservatorio VAS gia’ previsto nel Rapporto Ambientale. Successivamente è avviato il procedimento di approvazione del PII con la proposta definitiva ed esperimento ex art. 27-bis del Testo Unico Ambientale (e art. 4 della l. Regione Lombardia n.. 5/2010) del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale con emissione del relativo provvedimento unico regionale (appunto il PAUR) che, ai sensi del comma 7 del medesimo articolo, “comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita”.

L’intero procedimento di approvazione del PII (corredato dal parere positivo, condizionato alle prescrizioni, sulla compatibilità ambientale del medesimo PII rilasciato nella specie dal Comune di Milano anche in qualità di delegato del Comune di Rho a esito del procedimento di VAS) confluisce quindi nel procedimento di approvazione del PAUR che costituisce l’ultimo atto che ricomprende tutte le valutazioni precedenti.

Così ricostruita la sequenza procedimentale, il TAR riconosce che la sola impugnazione dell’approvazione del PII senza la contestuale (o successiva) impugnazione della determinazione della conferenza dei servizi che costituisce il PAUR che unisce in se’ VIA e – con indicazione esplicita e singola – tutti i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto risulta inammissibile, perché’ il provvedimento comunale di approvazione del PII “costituisce solo un tassello di un ben più complesso procedimento che termina con il p.a.u.r. adottato all’esito di una conferenza di servizi alla quale partecipa anche l’Amministrazione comunale”. E, si anticipa quanto il TAR affermerà alla fine di una motivazione articolata in diverse pagine, tale impugnazione non comporta un effetto caducatorio.

Nella specie, il PAUR in oggetto ha ricompreso la pronuncia di compatibilità ambientale a seguito della VIA esperita ex art. 23 del Testo Unico Ambientale (e dell’art. 5 della l.r. 5/2010) e appunto tutti gli altri provvedimenti abilitativi necessari per l’esercizio delle relative opere e, segnatamente, oltre all’approvazione del PII da parte del Comune di Milano e di Rho, anche la concessione trentennale di grande derivazione di acque sotterranee (disciplinata dal TU acque pubbliche 1775/1933 e dal Regolamento Regionale 2/2006) e l’autorizzazione ai soli fini idraulici per lo scarico in corpo idrico superficiale nel Fontanile Tosolo delle acque di falda utilizzate in impianti a scambio termico (ai sensi del R.D. 523/1904, DGR N. X/7581 del 18/12/17, All. E), istituendo l’Osservatorio Ambientale e prevedendo una durata di dieci anni dalla stipula della Convenzione della pronuncia di compatibilità ambientale.

Il TAR ricorda come l’art. 27-bis del Testo Unico Ambientale sia stato introdotto nel 2017 (con il D. Lgs. n. 104/2017, art. 16 comma 2) per attuare in Italia la direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 (di modifica della direttiva 2011/92/UE sulla VIA). Tale disciplina risulta introdotta per soddisfare le esigenze di concentrazione procedimentale (necessarie per assicurare l’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, care ai proponenti di progetti complessi) senza tralasciare la compiuta tutela del bene ambiente e degli interessi correlati cui le norme sostanziali tendono (interessi difesi dalle associazioni ambientaliste, come la ricorrente).

Il supporto motivazionale cui si appoggia il ragionamento del TAR di Milano è dato dalla chiara ricostruzione fornita dalla Corte Costituzionale nella sentenza 27.12.2018 n. 246[iii], che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 7 comma 7 della l. Reg. Abruzzo n. 51 del 2017, che riconosce come la disciplina statale rappresentata dall’art. 27 bis, in particolare al suo comma 7.  In quella sede la Corte aveva precisato che la norma postula l’assunzione della decisione nell’ambito di una conferenza di servizi apposita, convocata in modalità sincrona ai sensi dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, individuando quel perfetto “punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la “speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro”.

Come ricostruito dalla Corte Costituzionale[iv] e dal TAR, il PAUR non è un atto sostitutivo dei diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi che possono interessare la realizzazione del progetto (alcuni dei quali anche di competenza regionale), ma è un atto che li ricomprende – uti singuli – nella determinazione che conclude la conferenza di servizi “assumendo una natura “unitaria”, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni competenti”.

Ma esso non si configura come un semplice “atto contenitore”, perché’ la conferenza di servizi che presidia la tutela sostanziale degli interessi cui i diversi procedimenti sono preposti, esprime una competenza nuova e con valore qualitativo aggiunto.

A questo riguardo, il TAR ricorda come gli interessi tutelati nel procedimento abbiano aspetti e caratteri diversi, sia pur collegati, alcuni di natura propriamente ambientale, altri di natura urbanistica.

Quanto agli interessi ambientali, l’autorità competente nell’ambito di un procedimento come quello oggetto della decisione non si limita a valutare il solo provvedimento di VIA e non rimane neutra rispetto al processo decisionale relativo all’autorizzazione del progetto sottoposto alla valutazione ambientale: il fatto che nel PAUR confluiscano tutti i titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l’esercizio del progetto, non esclude il fatto che tale modello procedimentale abbia un effetto qualitativo ulteriore.  Viene richiamata, in proposito, la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 settembre 2021, n. 6248 per cui “la struttura del procedimento e gli effetti propri del P.A.U.R. inducono quindi a ritenere che le relative funzioni amministrative – in quanto “integrano” la VIA “nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti” (così l’art. 1, par. 2, della direttiva 2014/52/UE) – siano espressione di una nuova competenza, implicante poteri e responsabilità ulteriori in capo all’Autorità procedente rispetto alla sola espressione del giudizio di compatibilità ambientale”.

Così ricostruito il PAUR ha una portata tale, sotto il profilo della tutela degli interessi ambientali, che la sua impugnazione deve ritenersi imprescindibile ove si contestino – come nel caso del PII oggetto del ricorso – le valutazioni ambientali del progetto.

La pronuncia contenuta nel PAUR ha, secondo il TAR, carattere definitivo e “regola il rapporto sotto lo specifico profilo ambientale determinando l’inammissibilità dei motivi di ricorso che, in ragione della natura e dell’attività svolta dalla ricorrente, si appuntano proprio sulle questioni ambientali”.

Si comprende come la ricorrente avesse tentato di difendere l’ammissibilità della propria azione sostenendo che le proprie censure erano determinate dall’inadempimento del PII rispetto alle prescrizioni assunte in sede di VAS: a questo riguardo il TAR osserva come le valutazioni della VAS siano suscettibili di modifica in relazione alla fase progettuale differente e in evoluzione, per cui le decisioni iniziali sono state adattate e modificate da nuovi parametri di riferimento nell’ambito di un procedimento che ha avuto una lunga storia ma che, in fine, ha raccolto le valutazioni di tutti gli enti competenti (incluso lo stesso Comune) nell’atto finale e decisivo, appunto il PAUR.

A questo punto il TAR inserisce una ulteriore considerazione di grande rilievo affermando l’insussistenza di un effetto caducante dell’impugnazione del PII rispetto al PAUR.

La mancata impugnazione di tale atto centrale, infatti, secondo il Tribunale Amministrativo, determina una inammissibilità anche ove l’approvazione del PII abbia una sua dignità provvedimentale autonoma, perché il PAUR è un provvedimento self standing, in grado di regolare autonomamente il rapporto in contestazione anche indipendentemente dalla approvazione del PII, il cui ipotetico annullamento non potrebbe mai determinare un effetto caducante. Ciò perché il PAUR è appunto l’espressione di una “ulteriore e più ampia ponderazione di interessi rispetto a quella effettuata in relazione alle primigenie determinazioni. Difetta, in altri termini, la possibilità di ritenere il p.a.u.r. inevitabile conseguenza dell’approvazione del P.I.I. da parte del Comune con conseguente inammissibilità dell’impugnazione rivolta esclusivamente avverso tale atto, non idonea a scalfire la più ampia e complessa (nonché comprensiva dell’approvazione del progetto) valutazione contenuta nel p.a.u.r.”.

Una decisione resa in diritto, e quindi in tempi ristretti e senza spiegare risorse processuali notevoli (quali la verificazione o la CTU che in questa materia sono molto frequenti), basata su principi tradizionali e sulla scia di una consolidata giurisprudenza costituzionale e amministrativa in materia.

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Commento TAR Lombardia numero dicembre RGAONLINE

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

TAR Milano 2538 2021 Maschietto

Note:

[i] A questo proposito si ricorda come siano state ritenute utili strumenti di mitigazione e compensazione ambientale alcune tecnologie di gestione e recupero delle acque meteoriche, di realizzazione del verde pensile, di verde verticale e tradizionale, e anche le tecnologie di ingegneria naturalistica. Tra queste, il Green Space Factor è una tecnologia applicata originariamente a Malmö:  si veda, ad esempio lo studio sulle città greche in https://www.researchgate.net/publication/266402824_The_green_space_factor_as_a_tool_for_regulating_the_urban_microclimate_in_vegetation-deprived_Greek_cities.

[ii] Con i seguenti parametri urbanistici: UT di 0,52 mq/mq e un rapporto di copertura del 60%; la presenza di dotazioni di aree per attrezzature pubbliche o di interesse pubblico e generale nella misura non inferiore al 100% della superficie insediabile e una previsione di “superficie a Parco tematico non inferiore al 56% della superficie territoriale”.

[iii] Dove si legge che “si ricava chiaramente l’intendimento del legislatore statale di ricondurre a unità le complesse procedure amministrative, stabilendo che, qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto, sono acquisiti nell’ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990. Questa apposita conferenza di servizi è disciplinata dal citato art. 27-bis, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006. La determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita.

Anche in questo caso la disciplina statale individua un punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la “speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro, ambito materiale, quest’ultimo, cui devono essere ascritte sia la norma regionale impugnata che quelle statali interposte.

Con riferimento alle determinazioni assunte all’esito di questo tipo di procedimenti, questa Corte ha chiarito che «[i]l provvedimento unico non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma 7 del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per così dire unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni competenti. Secondo una ipotesi già prevista dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenze di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall’art. 24 [del d.lgs. n. 104 del 2017], il provvedimento unico regionale non è quindi un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto. Evidente, allora, la riconducibilità della disposizione alla competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.» (sentenza n. 198 del 2018).

Alla luce di questa ricostruzione del quadro normativo, non è consentita al legislatore regionale la scissione dell’unitario procedimento autorizzatorio, che, a prescindere dal modo in cui è concretamente configurata, non sembra garantire un livello più elevato di tutela dell’ambiente.

Per le anzidette ragioni deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 7, della legge reg. Abruzzo n. 51 del 2017 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con assorbimento di ogni altra censura”.

[iv] Corte Costituzionale, sentenza 27.12.2018, n. 246: in termini anche nella sentenza della Corte Costituzionale, sentenza 14.11.2018, n. 198 e 31.3.2021, n. 53.  Quest’ultima pronuncia – che ha censurato la L. Reg. Molise n. 17 del 2019 – precisa chiaramente che la disciplina statale di cui all’art. 27bis TUA ha “definito la «struttura» del procedimento, imponendo l’esame contestuale dei diversi punti di vista e investendo così anche la «qualità» delle valutazioni effettuate in conferenza (sentenza n. 9 del 2019). La disciplina dei procedimenti di verifica ambientale è, d’altronde, riservata in via esclusiva alla legislazione statale (sentenza n. 178 del 2019; da ultimo, sentenza n. 258 del 2020), che rintraccia il punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la «speciale» tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro (sentenze n. 106 del 2020 e n. 246 del 2018).

L’intervento legislativo regionale, che manchi di riformare gli aspetti fondamentali della disciplina nel senso indicato dalla legge statale, in questa materia, è da ritenersi costituzionalmente illegittimo. Infatti, il legislatore regionale, pur potendo “stabilire regole particolari ed ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati” (così, l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente), ha disatteso lo spirito della riforma del codice dell’ambiente, su queste procedure, che è stato proprio quello di ricercare un tendenziale allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali (sentenza n. 93 del 2019). Per queste ragioni, la disciplina regionale molisana sulla VIA non risulta allineata ai contenuti dell’art. 27-bis cod. ambiente, anche in relazione alle fasi precedenti a quella decisoria.

In conclusione, il carattere obbligatorio della convocazione della conferenza di servizi, nella procedura prodromica all’adozione del provvedimento autorizzatorio unico regionale, comprensivo della VIA e degli altri titoli abilitativi, rende l’art. 3, lettera c), della legge regionale impugnata incompatibile con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 

 

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