La miscelazione di rifiuti non consentita: alla ricerca della nozione perduta

12 Apr 2019 | giurisprudenza, penale

di Paola Martino & Matteo Riccardi

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III 1 febbraio 2019, n. 4976 – Pres.  Cervadoro – Rel. Di Nicola Ric. A.

L’attività di miscelazione consiste nell’operazione di mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, in modo da dare origine a una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo.

Sommario 1. Premessa. – 2. La disciplina della miscelazione di rifiuti nel TUA e nella normativa europea. I chiarimenti della Corte costituzionale sulla “liberalizzazione” delle miscelazioni. – 3. La miscelazione di rifiuti: una nozione “forte” quale antidoto al deficit di precisione?

  1. Premessa

La disciplina delle attività di miscelazione di rifiuti costituisce un tema relativamente inesplorato nell’ambito dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale in materia ambientale, con tutto ciò che ne deriva sotto il profilo della precisione e tassatività del precetto penale deputato a sanzionare l’inosservanza delle regole che presiedono alle stesse operazioni di miscelazione.

È di immediata percezione che la problematica in esame sia destinata a riflettersi, in via immediata, sulle aspettative degli operatori economici del comparto ambientale (o, comunque, chiamati a confrontarsi con gli specifici adempimenti richiesti dalle normative di settore), i quali sono lasciati in uno stato di perdurante incertezza applicativa in merito ai limiti e alle conseguenze sanzionatorie dell’assetto regolatorio posto dal legislatore.

La sentenza in commento si inserisce a pieno titolo nel solco dell’orientamento giurisprudenziale che, in assenza di una chiara definizione normativa, descrive l’attività di miscelazione come l’operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, in modo da dare origine a una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo.

  1. La disciplina della miscelazione di rifiuti nel TUA e nella normativa europea. I chiarimenti della Corte costituzionale sulla “liberalizzazione” delle miscelazioni.

Un breve quadro ricognitivo del regime “interno” delle miscelazioni appare senz’altro funzionale a delineare il contenuto del precetto penale, dal momento che la violazione del divieto di miscelazione è sanzionata dall’articolo 256, comma 5, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (in seguito, Testo Unico ambiente, TUA), per rinvio alla disposizione di matrice sostanziale, anche quale reato presupposto della responsabilità dell’ente ai sensi dell’articolo 25-undecies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

La normativa del Testo Unico ambiente dedica specificamente alla miscelazione una sola disposizione (articolo 187), nella quale si limita a definire in quali ipotesi è vietata l’operazione di miscelazione1.

Sul punto, infatti, l’articolo 187, comma 1, TUA individua un duplice divieto2, stabilendo che è vietato miscelare tra di loro: (i) rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità e (ii) rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi3; tuttavia, la norma non chiarisce in cosa consista, dal punto di vista materiale e giuridico, l’attività di miscelazione4.

Proseguendo l’analisi della disposizione, il comma 2 dell’articolo 187 TUA stabilisce che «in deroga al comma 1» le predette operazioni di miscelazione sono consentite, in presenza di determinate condizioni5 (tra le quali, il possesso di un’autorizzazione ordinaria), delineando il regime delle c.d. operazioni “in deroga”6.

Alla luce del dettato normativo, dunque, si distinguono (i) operazioni di miscelazione generalmente vietate (comma 1) che per essere svolte hanno bisogno di un’apposita autorizzazione e del rispetto di determinate condizioni stabilite dal legislatore (miscelazione “in deroga” ai sensi del comma 2) e (ii) altre operazioni di miscelazione generalmente ammesse7, per le quali non sono invece imposte le condizioni di cui al comma 2 dell’articolo 187 (miscelazione “non in deroga”).

Il dato positivo, peraltro, lascia permanere qualche dubbio interpretativo in ordine al caso “residuale”, concernente le operazioni di miscelazione di rifiuti pericolosi con differente codice EER, ma con identiche caratteristiche di pericolosità, non essendo infatti chiaro se tale ipotesi rientri nella miscelazione “in deroga” o “non in deroga”.

In ogni caso, la riconduzione di tale tipologia di miscelazione nell’alveo dell’una o dell’altra categoria assume oggi un rilievo marginale, dal momento che, salva l’imposizione di condizioni più rigorose per le miscelazioni “in deroga”, anche quelle “non in deroga” devono essere oggetto di autorizzazione.

Il principio è stato definitivamente affermato da una nota pronuncia della Corte Costituzionale, secondo cui è necessario considerare qualsiasi operazione di miscelazione alla stregua di un’operazione di gestione dei rifiuti (trattamento) che, in quanto tale, deve essere autorizzata8.

Nel dettaglio, il giudizio di legittimità costituzionale riguardava l’articolo 49 della l. 28 dicembre 2015, n. 221 (recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali»), che aveva introdotto nel citato articolo 187 d.lgs. 152/2006 un nuovo comma 3-bis, in forza del quale «le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da Enti o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge».

La nuova disposizione, che attuava una “liberalizzazione” delle attività di miscelazione non vietate, è stata tuttavia dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui sottraeva ad autorizzazione alcune operazioni di miscelazione (quelle “non vietate” secondo il regime dell’articolo 187 TUA) che purtuttavia rientrano sempre nel concetto di “trattamento” di rifiuti: con la conseguenza che esse devono essere sempre soggette ad autorizzazione.

Tale approdo è stato raggiunto anche alla luce dell’esegesi della normativa europea in materia di rifiuti (Direttiva 2008/98/CE) la quale, nello stabilire una speculare regolamentazione delle attività di miscelazione (articolo 189), ricomprende nelle nozioni di smaltimento (Allegato I della Direttiva10) e di recupero (Allegato II della Direttiva11) – entrambi costituenti attività di «trattamento» ai sensi dell’articolo 3, n. 14 –  la miscelazione (richiamata con i termini «mixing» o «blending»).

L’intervento del giudice costituzionale, nel ridefinire i confini e il regime applicativo dell’attività di miscelazione, ricomprendendo nel concetto di trattamento dei rifiuti tutte le operazioni di miscelazione, ha ampliato il novero dei comportamenti penalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni incriminatrici del TUA.

Infatti, alla luce della pronuncia costituzionale, la riconduzione delle operazioni di miscelazione nell’una o nell’altra categoria enucleabile dall’articolo 187 TUA costituisce in ogni caso una gestione di rifiuti non autorizzata.

Tuttavia, sotto il profilo prettamente sanzionatorio, la miscelazione “in deroga” effettuata in violazione delle condizioni di legge è punita ai sensi dell’articolo 256, comma 1, lett. b) TUA – in quanto sempre relativa a rifiuti pericolosi – in forza del rinvio quoad poenam disposto dall’articolo 256, comma 5, TUA.

Diversamente, l’effettuazione di miscelazioni “non in deroga” senza autorizzazione è sanzionata, quale “mera” gestione abusiva, ai sensi dell’articolo 256, comma 1, lett. a), TUA, in quanto relativa a miscelazione di rifiuti non pericolosi.

Di scarso rilievo pratico – come già anticipato – appare il caso della miscelazione tra rifiuti pericolosi aventi differenti codici EER, ma medesime caratteristiche di pericolosità, giacché, anche configurandolo come ipotesi di semplice carenza di autorizzazione, la fattispecie sarebbe comunque sanzionata dalla lett. b) dell’articolo 256, comma 1, TUA: esattamente come se si trattasse di un’operazione di miscelazione effettuata in violazione del regime “in deroga” dell’articolo 187 TUA.

  1. La miscelazione di rifiuti: una nozione “forte” quale antidoto al deficit di precisione?

La violazione del divieto di miscelazione dei rifiuti, in passato sanzionata dall’articolo 51, comma 5, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (in relazione al divieto dell’articolo 9)12, è attualmente punita dall’articolo 256, comma 5, TUA che incrimina – giusta il rinvio all’articolo 187 TUA – tre categorie di condotte: (i) la miscelazione di rifiuti pericolosi dotati di differenti caratteristiche di pericolosità; (ii) la miscelazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi; (iii) la diluizione di rifiuti pericolosi13.

La produzione della giurisprudenza penale sulla fattispecie incriminatrice del comma 5 dell’articolo 256 TUA, piuttosto limitata, risente evidentemente della scarsa chiarezza interpretativa tutt’oggi esistente in ordine alla nozione di miscelazione.

In un primo momento, la Cassazione, in assenza di una presa di posizione espressa del legislatore, ha individuato un referente “per analogia” nella disciplina sulla spedizione transfrontaliera di rifiuti e segnatamente l’articolo 2, n. 3 del Regolamento (CE) n. 1013/2006 che definisce la «miscela di rifiuti» come quei «rifiuti che risultano dalla mescolanza intenzionale o involontaria di due o più tipi di rifiuti diversi quando per tale miscela non esiste una voce specifica negli allegati II, IIIB, IV e IVA».

In forza di tale aggancio normativo, il giudice di legittimità, in un caso del tutto simile a quello della pronuncia in commento – ove nell’impianto di un’impresa autorizzata alla raccolta, messa in sicurezza e demolizione di veicoli fuori uso erano stati rinvenuti materiali ferrosi derivanti dalla demolizione insieme ad altri rifiuti (tra cui RAEE) e diffuse tracce di oli lubrificanti – ha ritenuto di poter esportare detta definizione anche nella normativa “ordinaria” in tema di rifiuti, in modo da considerare la miscelazione come l’operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi in modo da dare origine ad una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo14.

Sui medesimi presupposti interpretativi si pone un altro precedente, in cui è stata sussunta nella fattispecie dell’articolo 256, comma 5, TUA la condotta del gestore di un impianto di autolavaggio che aveva fatto confluire, senza distinzione tra rifiuti, le linee di scolo delle acque reflue derivanti dalla bonifica delle autocisterne in una comune vasca di omogeneizzazione, dove le acque si miscelavano prima di essere avviate all’impianto chimico-fisico15.

Successivamente, la Cassazione ha prodotto un maggiore sforzo ermeneutico, condivisibilmente optando per una nozione “forte” di miscelazione, nel senso di ritenere che essa, lungi dal consistere nel mero deposito o stoccaggio indifferenziato di rifiuti (pericolosi tra di loro o pericolosi e non pericolosi), sussista allorquando i diversi rifiuti vengano diluiti oppure tra loro confusi in modo da rendere difficile o impossibile la loro separazione oppure da dare origine addirittura a un prodotto diverso dalle due fonti originarie16.

Tale approdo è di particolare importanza, poiché – facendo perno sulla previsione dell’articolo 187, comma 3, TUA (secondo cui è imposto al trasgressore del divieto, in via aggiuntiva, di «procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati, qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 177, comma 4») – sposta l’attenzione dell’interprete sul profilo della materiale compenetrazione tra i rifiuti, nel senso di esigere una valutazione più pregnante rispetto al semplice accertamento della presenza di un accumulo indifferenziato degli stessi.

In questa direzione, il profilo discretivo ai fini dell’individuazione di una miscelazione giuridicamente rilevante viene individuato, una volta frammiste le varie tipologie di rifiuti, nella impossibilità (assoluta o relativa) di separazione degli stessi dal punto di vista fisico/chimico; pare un logico corollario di simile impostazione, poi, ritenere i rifiuti miscelati allorché essi costituiscano un quid novi rispetto alle componenti originarie.

Senonché, le successive pronunzie hanno ripiegato sulla tesi “debole”, riconoscendo dapprima, a stretto giro, un’ipotesi di miscelazione vietata nel caso di un trasporto abusivo di rifiuti ferrosi, apparecchiature in disuso e imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose (quali vernici e collanti), i quali invece – secondo la prospettazione difensiva – erano semplicemente depositati alla rinfusa sull’autocarro17.

Con un approccio simile, la Cassazione ha ritenuto integrato il reato dell’articolo 256, comma 5, TUA in relazione all’accumulo di rifiuti pericolosi (vetro artistico con concentrazioni di arsenico sopra-soglia e vetro proveniente dal tubo catodico di televisori dismessi) e non pericolosi; l’accertata miscelazione è stata motivata in ragione del fatto che i rifiuti non erano separati l’uno dall’altro, ma erano addossati in modo da creare zone in cui i cumuli (di vetri) adiacenti erano tra di loro mescolati, senza che fossero adottate precauzioni tecniche volte a impedire il mescolamento delle diverse tipologie di rottame18.

L’irrilevanza del canone di separabilità dei rifiuti ha trovato conferma, ancora, in una più recente pronuncia in cui è stata considerata integrata la miscelazione a fronte dell’accumulo alla rinfusa, all’interno di un container, di rifiuti pericolosi (filtri dell’olio e altri rifiuti contenenti olio lubrificante) e di rifiuti non pericolosi che da questi ultimi erano stati imbrattati: senza pregio alcuno è stato ritenuta l’obiezione che, una volta svuotato il container, i rifiuti erano stati agevolmente separati, così da fornire prova dell’assenza di profili di irreversibile commistione19.

All’esito di questo iter giurisprudenziale si pone la pronuncia in commento che ha ravvisato gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice dell’articolo 187, comma 5, TUA in relazione alle operazioni di compattamento degli autoveicoli rottamati, senza preventiva bonifica degli stessi, in modo da realizzare una attività non consentita di miscelazione “omogenea” (tra rifiuti pericolosi aventi codici CER diversi, in particolare oli lubrificanti e liquidi delle autovetture) ed “eterogenea” (tra rifiuti pericolosi e non pericolosi).

Il giudice di legittimità, nel caso di specie, ha ritenuto violato il divieto di miscelazione, essendo state rilevate percolazioni oleose in corrispondenza dei pacchi pressati, nonché, all’interno delle carcasse compattate, la presenza di parti dei veicoli (tappezzeria, selleria, vetri, gomma) che avrebbero dovuto essere preventivamente eliminate.

Si tratta di circostanze in fatto che, a ben vedere, anche in ragione dell’avvenuto compattamento degli autoveicoli fuori uso, difficilmente avrebbero consentito una separazione delle varie componenti e delle varie tipologie di reflui oleosi fuoriusciti in quantità consistenti, fermo restando che, a nostro avviso, la condotta di mero accatastamento dei vari rifiuti avrebbe dovuto essere correttamente espunta dal capo di imputazione.

L’indirizzo della giurisprudenza dominante – con l’eccezione, come visto, della pronuncia sopra richiamata – non pare condivisibile, nella misura in cui estende l’area del rimprovero criminale mediante il ricorso a una nozione genericamente estensiva di miscelazione.

In quest’ottica, autorevole dottrina ha da tempo messo in luce come la tendenziale indistinguibilità del composto ottenuto dalla somma dei rifiuti originari sia la caratteristica essenziale della miscelazione vietata dalla legge20, in modo da differenziare, da un lato, le ipotesi di mera contaminazione tra rifiuti derivanti dalla loro generica commistione21 ovvero l’abbandono incontrollato di rifiuti che conservino la propria individualità e, dall’altro, le fattispecie penalmente rilevanti di miscelazione non reversibile (quantomeno in senso relativo).

Sembra che, a tal fine, l’accennato criterio della separabilità possa fungere da adeguato spartiacque applicativo, risultando coerente con una nozione di miscelazione per cui la norma penale in bianco dell’articolo 256, comma 5, TUA esige necessaria chiarezza e tassatività: in breve, la miscelazione come attività di unione e mescolatura di rifiuti, attuata in modo indistinto, tale da rendere complessa, se non impossibile, la materiale distinzione tra le varie categorie di rifiuti22.

L’adozione di simile criterio, tra l’altro, sembra coerente con la ratio sottesa al divieto di miscelazione, così come ricavabile dalla normativa europea, con specifico riferimento all’articolo 10 della Direttiva 2008/98/CE.

Tale disposizione, nell’imporre agli Stati membri di adottare le misure necessarie a garantire che i rifiuti siano sottoposti a operazioni di recupero conformemente alla Direttiva stessa, stabilisce che, ove necessario per ottemperare al predetto obbligo ovvero per facilitare o migliorare il recupero, «i rifiuti sono raccolti separatamente, laddove ciò sia realizzabile dal punto di vista tecnico, economico e ambientale, e non sono miscelati con altri rifiuti o altri materiali aventi proprietà diverse».

L’opzione preferenziale per la raccolta separata dei rifiuti, dunque, pare riconducibile a due ordini di ragioni.

In prima battuta, l’obiettivo consiste nell’impedire la contaminazione di rifiuti che, non miscelati, sarebbero riciclabili o recuperabili e, in genere, nell’evitare la riduzione o diluizione di contaminanti nel caso di miscelazione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi.

Sotto diversa prospettiva, trova valorizzazione il principio della gerarchia nella gestione dei rifiuti, in forza del quale la raccolta separata dei rifiuti rende l’effettuazione delle operazioni di riciclo e di recupero più semplici, dal momento che le caratteristiche di un singolo flusso di rifiuti sono più facilmente prevedibili e controllabili rispetto a quelle dei rifiuti miscelati; più in generale, essa semplificherebbe tutte le operazioni di trattamento, giacché la gestione di un flusso omogeneo di rifiuti è tendenzialmente considerata più semplice rispetto alla gestione di rifiuti tra loro miscelati23.

In chiusura, si rileva come la persistente situazione di incertezza interpretativa in ordine ai confini della miscelazione vietata debba essere opportunamente valutata anche alla luce dell’impatto che essa produce sul “nucleo duro” delle garanzie individuali.

In particolare, occorre riflettere sulla potenziale violazione del principio di legalità in materia penale, secondo la sua declinazione convenzionale (articolo 7 CEDU), in relazione alle necessarie caratteristiche qualitative di accessibilità (accessibility) e di prevedibilità (foreseeability) del precetto penale, quali note modali dell’incriminazione che – grazie agli insegnamenti della CEDU24 – devono essere sindacate anche in ragione dello stato della giurisprudenza al momento di commissione del fatto25.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di cassazione) cliccare sul pdf allegato. Martino_Cass. 4976-2019

 

1Per un inquadramento del tema della miscelazione, cfr. M. Benozzo, La gestione dei rifiuti, in AA.VV., Commento al Codice dell’ambiente, a cura di Germanò, Rook Basile, Bruno e Benozzo, 2ᵃ ed., Torino, 2013, 602 ss.

2 Analogo divieto di miscelazione è posto in maniera del tutto speculare nella disciplina specifica in tema di discariche (d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36), ove l’articolo 6, comma 2, dispone il divieto di «diluire o mescolare rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità di cui all’art. 7», sanzionandone l’eventuale violazione in forza del successivo articolo 16, comma 2 (il quale, tra l’altro, sconta un evidente difetto di coordinamento, richiamando erroneamente il divieto dell’articolo 7, comma 4).

3 L’articolo 187, comma 1, TUA specifica, infine, che la miscelazione «comprende la diluizione di sostanze pericolose».

4 Per R. Nitti, La gestione dei rifiuti, in AA.VV., Diritto penale dell’ambiente, a cura di Amato, Muscatiello, Nitti, Rossi e Triggiani, Bari, 2006, 232, la miscelazione costituisce una modalità operativa di alcune operazioni di gestione di rifiuti e non già essa stessa categoria autonoma di gestione.

5 Le operazioni “in deroga” sono ammesse a condizione che: a) siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 177, comma 4, e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto; b) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211; c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’articolo 183, comma 1, lett. nn).

6 In giurisprudenza, con riferimento alle operazioni “in deroga”, cfr. T.A.R. Piemonte, 22 aprile 1999, n. 266, in Riv. giur. amb., 2000, 541.

7 Si tratta delle operazioni di miscelazione, rispettivamente, di rifiuti non pericolosi tra di loro e di rifiuti non pericolosi con altri materiali o sostanze.

8 Corte cost., 12 aprile 2017, n. 75, in Giur. cost., 2017, 2, 723. Per un commento, si rinvia alla nota di P. Fimiani, Miscelazione dei rifiuti: gli effetti della incostituzionalità dell’articolo 49 della legge sulla “green economy”, in Riv. rif., 2017, 252.

9 L’articolo 18 della Direttiva prevede quanto segue: «1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose. 2. In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri possono permettere la miscelazione a condizione che: a) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione a norma dell’articolo 23; b) le disposizioni dell’articolo 13 siano ottemperate e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto; e c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili».

10 L’Allegato I ricomprende tra le operazioni di smaltimento, tra le altre, le operazioni con codice D13, definite come «Blending or mixing prior to submission to any of the operations numbered D 1 to D 12».

11 L’Allegato II ricomprende tra le operazioni di recupero, tra le altre, le operazioni con codice R12, definite come «Exchange of waste for submission to any of the operations numbered R 1 to R 11», specificando in nota che «If there is no other R code appropriate, this can include preliminary operations prior to recovery including pre-processing such as, inter alia, dismantling, sorting, crushing, compacting, pelletising, drying, shredding, conditioning, repackaging, separating, blending or mixing prior to submission to any of the operations numbered R1 to R11». Si noti che a tale attività di miscelazione non si fa riferimento alcuno nei rispettivi punti della versione italiana della Direttiva 2008/98/CE, né, d’altro canto, nel TUA.

12 Per il previgente quadro sanzionatorio si rinvia a Giu. Di Nardo-Gio. Di Nardo, I reati ambientali, Padova, 2002, 215 ss.

13 Per una panoramica sulla fattispecie penale, si veda V. Paone, La gestione dei rifiuti: i reati, in AA.VV., Trattato di diritto penale dell’impresa, diretto da Di Amato, vol. XI, Padova, 2011, 487 ss., nonché, recentemente, F. Barresi, Attività di gestione di rifiuti non autorizzata, in AA.VV., Il nuovo diritto penale dell’ambiente, diretto da Cornacchia e Pisani, Bologna, 2018, 557 ss.

14 Cass., sez. III, 11 marzo 2009, n. 19333, in Dir. giur. agr., 2009, 10, 623 ss., con nota di P. Costantino, Rifiuti pericolosi e divieto di miscelazione: la Cassazione «mescola» argomenti di diversa natura. Si vedano anche i commenti di M.V. Balossi, La miscelazione di rifiuti e i suoi limiti, in Amb. & svil., 2009, 9, 792, e di M. Diani, Miscelazione di rifiuti o semplice triturazione di veicoli fuori uso?, in Ambiente, 2005, 183. In precedenza, in un caso di sistematica triturazione di veicoli fuori uso non bonificati in quanto contenenti, oli minerali in rilevante quantità, cfr. Cass., sez. III, 19 novembre 2003, n. 2954, in Dejure.

15 Cass., sez. III, 30 maggio 2007, n. 24481, in Lexambiente.it.

16 Cass., sez. III, 2 aprile 2013, n. 37099, in Amb. & svil., 2014, 2, 148.

17 Cass., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 45609, in Dejure.

18 Cass., sez. III, 2 aprile 2015, n. 27135, in Lexambiente.it.

19 Cass., sez. III, 12 gennaio 2017, n. 16462, in Dejure.

20 V. Paone, La miscelazione dei rifiuti dopo la sentenza della Consulta, in Amb. & svil., 2017, 6, 440.

21 Per una differenziazione tra commistione e miscelazione, si rinvia a Corte giust. UE, 11 dicembre 2008, n. 387, in Foro it., 2009, IV, 405.

22 Così, P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, 559; v. anche C. Bernasconi, sub Articolo 256, comma 5, in AA.VV., Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di Giunta, 2ᵃ ed., Padova, 2007, 306.

23 Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste, emanate dalla Commissione Europea, Direzione Generale Ambiente, giugno 2012.

24 CEDU, sent. 14 aprile 2015, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1, 333 ss., con nota di M. Donini, Il Caso Contrada e la Corte EDU. La responsabilità dello Stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria.

25 Sul principio di legalità penale dell’articolo 7 CEDU, si rinvia agli autorevoli contributi di F. Viganò, Il nullum crimen conteso: legalità ‘costituzionale’ vs. legalità ‘convenzionale’?, in Dir. pen. cont, 5 aprile 2017, 13 ss.; Id., Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, ivi, 19 dicembre 2016, 1 ss.

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