di Matteo Riccardi e Paola Martino
CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 19 dicembre 2019 (dep. 13 gennaio 2020), n. 847 – Pres. Aceto, Est. Scarcella – ric. Lanzara e altro
La Cassazione interviene nuovamente a districare il fitto intreccio delle responsabilità connesse alla corretta gestione dei rifiuti prodotti dall’esecuzione di un contratto di appalto, definendo una specifica casistica di riferimento per ripartire gli obblighi – e le connesse posizioni di garanzia – tra committente e appaltatore (o subappaltatore).
La pronuncia si inscrive nel più ampio dibattito concernente la reale estensione della nozione di produttore giuridico del rifiuto, introdotta nel nostro ordinamento all’indomani della novella della L. 125/2015, imponendo un confronto con l’impostazione non sempre coerente adottata dalla giurisprudenza dinanzi a fattispecie di non conforme gestione dei rifiuti lungo la filiera.
La sentenza della Cassazione in commento affronta il tema degli obblighi e dei connessi profili di responsabilità per la gestione dei rifiuti nell’ambito dei contratti di appalto, problematica sempre attuale nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale e foriera di conseguenze giuridiche e operative di assoluto rilievo nei rapporti negoziali tra le parti.
La vicenda oggetto della sentenza trae origine dal sequestro preventivo in funzione di confisca disposto su una vasta area di proprietà di uno degli indagati, il quale si vedeva contestato, in concorso con altro soggetto, il reato di realizzazione di discarica abusiva (art. 256, comma 3 D.Lgs. 152/2006) commesso, nell’ambito delle opere di costruzione commissionate dal proprietario alla società appaltatrice, mediante tombamento nel suolo di rifiuti costituiti da inerti di origine edilizia, successivo spianamento tramite escavatore e riempimento di un’area al di sopra del piano campagna.
A fronte delle censure difensive principalmente orientate a negare il fumus commissi delicti legittimante il sequestro preventivo (oltre che profili di legittimità dello stesso, in quanto misura anticipatoria della confisca[i]), la Cassazione è stata chiamata a svolgere una approfondita riflessione sui profili di responsabilità del proprietario per il reato di discarica abusiva commesso sul suo terreno, nel contesto dell’esecuzione di un contratto di appalto di opere[ii].
La pronuncia può essere idealmente scomposta in tre sezioni, che, muovendo dalla ricostruzione della tipicità del reato di discarica abusiva, definiscono i profili di responsabilità degli imputati passando per la ricostruzione delle posizioni di garanzia loro ascrivibili in forza della legge e del contratto.
- L’esegesi della fattispecie incriminatrice di discarica abusiva – nelle forme della realizzazione e della gestione[iii] – è piuttosto agevole, potendo la Cassazione attingere a piene mani dalla sua interpretazione ormai consolidata nel diritto vivente, anche per differenza rispetto a figurae criminis del comparto ambientale contigue.
Ripresa la definizione di «discarica» contenuta all’interno della disciplina speciale (D.Lgs. 36/2003) quale «area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno» e richiamatone il regime autorizzativo, la Cassazione rammenta che il fatto tipico di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata presuppone un accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta (anche se non abituale), in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con carattere di definitività[iv], in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata[v].
La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato che il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono, anche se collocata all’interno dello stabilimento produttivo[vi].
Volendo tracciare un’actio finium regundorum tra la fattispecie in esame e gli altri reati in materia di rifiuti, si può evidenziare come l’abbandono di rifiuti si distingua per l’occasionalità del deposito del rifiuto, desumibile dalle modalità della condotta (quali la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), dalla quantità di rifiuti abbandonata e dall’unicità della condotta di abbandono, laddove la realizzazione di una discarica abusiva può essere integrata da una condotta abituale, come nel caso di plurimi conferimenti, ovvero da un’unica azione purché strutturata, anche se in modo grossolano, e finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti nell’area interessata, la quale ne risulta pertanto degradata[vii].
La contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti, secondo la massima ormai invalsa in giurisprudenza, riguarda un’ipotesi di deposito “controllabile” cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dall’art. 183, comma 1, lett. bb) D.Lgs. 152/2006, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro[viii]; qualora il deposito incontrollato si realizzi con plurime condotte di accumulo di rifiuti, in assenza di attività di gestione, la distinzione con la discarica abusiva dipende principalmente dalle dimensioni dell’area occupata e alla quantità dei rifiuti depositati[ix].
Il reato di gestione abusiva di rifiuti, parimenti, si differenzia sotto il profilo oggettivo dalla discarica abusiva, fermo restando che alcune condotte rilevanti ai sensi dell’art. 256, comma 1 D.Lgs. 152/2006 (come il trasporto e lo smaltimento) di fatto possono costituire antefatti prodromici al conferimento dei rifiuti in discarica.
Nel caso di specie, la presenza di una discarica non autorizzata era ritenuta accertata in ragione del rinvenimento nel cantiere di un mezzo meccanico intento allo spianamento di inerti precedentemente depositati all’interno dell’area, recintata e munita di due cancelli di ingresso entrambi provvisti di lucchetto; l’intero perimetro immediatamente a ridosso del corpo di fabbrica, per una superficie di notevole estensione (circa 3.500 mq), era stato interessato dall’apporto di un quantitativo rilevante di rifiuti inerti di origine edilizia e dal loro successivo deposito sul suolo nudo per essere poi oggetto di spianamento.
- Conclusa la premessa in punto di tipicità del reato, il giudice di legittimità analizza l’estensione della posizione di garanzia eventualmente riconducibile al proprietario dell’area ed effettua una ricognizione delle condizioni che consentono un addebito a titolo omissivo improprio nei confronti del medesimo, per l’ipotesi-tipo in cui il reato sia stato materialmente commesso da un soggetto “terzo”.
La problematica, che costituisce un vero e proprio leitmotiv della produzione giurisprudenziale in materia di reati ambientali – e per cui si rinvia a più ampi contributi[x] – è risolta dalla Cassazione ripercorrendo la cospicua elaborazione pretoria che ha oggi cristallizzato il perimetro della sfera di garanzia del proprietario per il fatto altrui e i connessi limiti del rimprovero penale che allo stesso può essere mosso sfruttando la clausola di equivalenza dell’art. 40, comma 2 c.p.
Sul punto, è principio ormai condiviso che, in assenza di una formale fonte dell’obbligo di garanzia, nessuna responsabilità omissiva possa essere addebitata al proprietario di un’area, quand’anche egli abbia la consapevolezza dell’abbandono sul proprio fondo di rifiuti da parte di terzi, ma non risulti provato almeno un comportamento agevolatore da parte dello stesso alla realizzazione del reato altrui a titolo di concorso materiale o morale[xi].
Per converso, ove la consapevolezza del fatto illecito si “converta” in una forma di acquiescenza/collaborazione all’altrui condotta criminosa, che concretamente ne abbia reso possibile o anche solo agevolato la perpetrazione, il paradigma concorsuale dell’art. 110 c.p. rende possibile muovere un rimprovero al proprietario inerte che, ad esempio, abbia dato il proprio assenso allo scarico di rifiuti sulla sua area[xii].
Nella fattispecie in esame, la Cassazione motivava la responsabilità del proprietario, sotto il profilo psicologico, valorizzando – a dire il vero, in modo non del tutto persuasivo, anche in una fase “indiziaria” come quella cautelare – la presenza di una recinzione e di due cancelli a chiusura dell’area e la circostanza che l’appaltatore ne possedesse le chiavi, nonché la consapevolezza del committente in ordine alla produzione di inerti, in ragione dello svolgimento dell’attività edilizia dallo stesso commissionata. Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti dalla Corte per rinvenire, in capo al proprietario del fondo, quell’“assenso agevolatore” della condotta criminosa perpetrata dall’appaltatore, fondante la sua responsabilità a titolo di concorso nella gestione illecita dei rifiuti.
III. Al netto di queste pur opportune e interessanti precisazioni, tuttavia, il vero nucleo della pronuncia in esame risiede nell’analisi dei controversi rapporti tra committente e appaltatore sotto il profilo dell’allocazione degli obblighi di gestione dei rifiuti, e delle connesse responsabilità, derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto.
A tal fine, la Cassazione coglie l’occasione per tipizzare alcune casistiche ricorrenti che si verificano nell’ambito degli appalti e che, a seconda dei rapporti di fatto intercorrenti tra committente e appaltatore, determinano una modulazione delle rispettive sfere di responsabilità rispetto alla corretta gestione del rifiuto.
Una premessa di carattere normativo sul punto, tuttavia, si rivela necessaria, oltre che funzionale a comprendere il riparto di responsabilità tra committente e appaltatore[xiii].
È noto che l’art. 183, comma 1, lett. f) D.Lgs. 152/2006, nel porre la nozione di produttore del rifiuto, consente di identificare il soggetto su cui gravano una serie di obblighi lungo la filiera di gestione dei rifiuti, alla luce del principio della “responsabilità condivisa” (art. 178 D.Lgs. 152/2006) e degli specifici oneri posti dall’art. 188 D.Lgs. 152/2006, anche in relazione a eventuali condotte di altri soggetti (trasportatori, intermediari, commercianti, recuperatori e smaltitori) non conformi alla disciplina regolatoria[xiv].
La definizione originaria di produttore contenuta nel D.Lgs. 152/2006 e, ancor prima, nel D.Lgs. 22/1997 era stata sostituita, in recepimento della “direttiva quadro” sui rifiuti (art. 3 punto 5 Direttiva 2008/98/UE, anche nell’attuale versione successiva alle modifiche apportate dal c.d. Pacchetto Circular Economy, precisamente dalla Direttiva 2018/851/UE), ad opera del D.Lgs. 205/2010, il quale espressamente introduceva la duplice nozione di produttore iniziale («soggetto la cui attività produce rifiuti») e di nuovo produttore («chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti).
Senonché, sotto la spinta del caso Fincantieri[xv], il legislatore nazionale, con il D.L. 92/2015 e con la “atipica” legge di conversione 125/2015[xvi], ha ulteriormente ampliato la nozione di produttore, interpolando nell’ambito della definizione di produttore iniziale il riferimento al «soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione» e così individuando in chiave estensiva, accanto al produttore “materiale” del rifiuto, l’ambigua figura del produttore “giuridico”.
La nuova definizione è parsa sin da subito particolarmente insidiosa[xvii], dal momento che essa sembrava legittimare l’operatività dell’automatismo per cui, al di là del rilievo che assume l’attività che materialmente genera il rifiuto, ne è sempre produttore anche colui al quale tale produzione sia imputabile soltanto in senso giuridico, con generalizzata duplicazione degli obblighi giuridici rilevanti anche ai fini dell’art. 40 c.p. e imputazione in via presuntiva di una responsabilità solidale, salvo prova contraria, tra produttore materiale e giuridico.
La modifica destò non poche preoccupazioni pure negli operatori del settore, i quali, se fino ad allora potevano fare affidamento su una giurisprudenza alquanto cauta nel ravvisare una responsabilità anche in capo al committente per la gestione illecita dei rifiuti, guardavano con apprensione a una dilatazione del perimetro delle responsabilità connesse all’esecuzione dell’appalto.
Si segnala tuttavia, per completezza, che il novum normativo non appariva del tutto inedito nel panorama del diritto ambientale, giacché un minoritario orientamento giurisprudenziale in passato, nella vigenza del D.Lgs. 22/1997[xviii], aveva già fatto un tentativo di “fuga in avanti” affermando che, in alcuni casi, debba essere considerato quale produttore dei rifiuti il soggetto nel cui interesse l’attività viene svolta e che questo soggetto sia titolare di una posizione di garanzia concorrente rispetto all’obbligo del produttore materiale/detentore di gestire correttamente i rifiuti: così, ad esempio, «anche il proprietario dell’immobile committente o l’intestatario della concessione edilizia, con la quale si consente l’edificazione di un nuovo edificio previa demolizione di altro preesistente devono essere considerati produttori dei rifiuti derivanti dall’abbattimento del precedente fabbricato»[xix].
Il rilievo della distinzione normativa sulla qualifica di produttore viene in considerazione – ricollegandosi al tema oggetto del presente contributo – con riferimento ai rifiuti prodotti nell’esecuzione di un contratto di appalto (o di subappalto), rispetto ai quali, mentre è intuitivo che l’appaltatore (o subappaltatore) ne rappresenti il produttore materiale, più incerta è la collocazione del committente.
La giurisprudenza oggi prevalente, spegnendo i timori degli operatori emersi all’indomani della modifica nella definizione di produttore[xx], è rimasta ferma nel rinvenire soltanto eccezionalmente una responsabilità in capo al committente per la gestione dei rifiuti prodotti dal contratto di appalto, in forza di condivisibili argomentazioni connesse all’insussistenza in capo al committente di poteri giuridici impeditivi nei confronti dell’appaltatore – con il rischio che si venisse a configurare una responsabilità penale per fatto altrui – e nella sostanza ha bypassato la portata innovativa della L. 125/2015.
Il formante pretorio è così ormai concorde nell’identificare fisiologicamente nell’appaltatore il produttore del rifiuto «in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un opera o alla prestazione di un servizio, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio», dunque soggetto agli obblighi previsti dalla normativa ambientale (tra gli altri, corretta classificazione del rifiuto e verifica dei titoli autorizzativi in capo ai soggetti cui il rifiuto sia successivamente conferito); regola che, peraltro, soffre di un’eccezione, con conseguente ampiamento della platea dei soggetti penalmente responsabili, nei casi in cui «per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto»[xxi].
La tesi di favore per i committenti si fonda sull’argomentazione che «nessuna fonte legale, né scaturente da norma extrapenale, quale la disciplina generale sui rifiuti, né da contratto, individua tali soggetti come gravati da un obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato ed il correlato potere giuridico di impedire che l’appaltatore commetta il reato di abusiva gestione dei rifiuti» e, pertanto, «tranne nel caso di un diretto concorso nella commissione del reato, non può ravvisarsi alcuna responsabilità ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2 per mancato intervento al fine di impedire violazioni della normativa in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice»[xxii].
Tale impostazione trova costante conferma nella giurisprudenza di legittimità che, ad esempio, nel caso di inosservanza della disciplina sul deposito temporaneo di materiali di risulta edile provenienti dai lavori di recupero abitativo di un immobile, ha affermato che il committente di lavori edili, al pari dell’appaltante nell’ipotesi del subappalto, e il direttore dei lavori non hanno alcun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dall’appaltatore o dal subappaltatore, né di garantire che la stessa sia effettuata correttamente[xxiii].
Detta opzione interpretativa è variamente ripresa dal formante pretorio, il quale richiede, per imputare al committente un fatto proprio e colpevole, la sussistenza di elementi probatori che ne attestino un diretto coinvolgimento nell’esecuzione delle opere appaltate, in assenza dei quali non è possibile muovergli un rimprovero fondato esclusivamente sulla base della sua qualifica civilistica[xxiv]; la condotta del committente, in tal senso, acquista rilievo penalistico allorché, ad esempio, si accerti una sua partecipazione attiva alle operazioni di abusivo smaltimento di rifiuti, magari pianificate dallo stesso ed eseguite sotto la sua direzione, quale parte essenziale del negozio stipulato con l’appaltatore[xxv].
Senz’altro più agevole, in sede processuale, provare i profili di colpa in capo all’appaltatore, il quale – proprio per la posizione di garanzia che assume – non può “disinteressarsi” della sorte del rifiuto la cui gestione abbia affidato a terzi e, pertanto, non può opporre che del trasporto in discarica (in realtà mai avvenuto) dei materiali di risulta della demolizione di un edificio si fosse occupato un diverso autotrasportatore[xxvi].
In breve, la giurisprudenza sembra ormai consolidata nell’addossare in via esclusiva in capo all’appaltatore (ovvero, mutatis mutandis, al subappaltatore), salvo ipotesi “patologiche” del rapporto negoziale, i rischi connessi alla corretta gestione dei rifiuti prodotti in occasione dell’esecuzione del contratto di appalto, anche alla luce dell’assetto degli obblighi tra le parti definito dal legislatore, il quale ravvisa come nota caratteristica della prestazione dell’appaltatore l’autonomia rispetto al committente, nei termini dell’esecuzione delle opere «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio» (art. 1655 c.c.).
Ne segue che soltanto l’appaltatore potrà essere chiamato a rispondere a titolo di concorso o, anche, di cooperazione colposa[xxvii] nei reati commessi “a valle” del momento genetico del rifiuto, cioè da parte di soggetti che intervengono nelle successive fasi di gestione dello stesso, ciò anche a titolo omissivo (per non aver impedito l’evento giuridico «che si ha l’obbligo di impedire») nella forma, ad esempio, della mancata o incompleta verifica delle autorizzazioni in capo al trasportatore o all’impianto di destino del rifiuto.
Detta impostazione è condivisibilmente recepita dalla Cassazione nella pronuncia in commento, che, analizzando le posizioni degli imputati sotto la lente degli obblighi scaturenti dal contratto di appalto, constata in prima battuta «l’assenza di una fonte legale o contrattuale che preveda espressamente un dovere del committente di garantire il rispetto della norma in materia rifiuti da parte di colui che materialmente li origina (appaltatore)», fermo restando, naturalmente, che «il committente è personalmente responsabile qualora abbia concorso, a vario titolo, nell’illecita gestione dei rifiuti».
Volendo sintetizzare le fattispecie ipotizzabili nei rapporti “penalistici” tra committente e appaltatore, il giudice di legittimità individua tre casi-tipo che possono costituire un utile riferimento per l’interprete – chiamato in ogni caso a una valutazione alla luce delle circostanze concrete – all’insegna di un grado di connessione variabile tra il rifiuto prodotto e i poteri di controllo del committente.
Nella prima ipotesi – che potrebbe essere definita “a connessione debole” – i rifiuti, una volta prodotti dall’appaltatore, sono messi in deposito temporaneo all’interno di un’area messa a disposizione dal committente-proprietario, che ne cede al primo la completa disponibilità e quindi la custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c.
In tale eventualità, il proprietario-committente dell’opera, avendo concesso la completa disponibilità dell’area all’appaltatore, nonché la custodia della stessa, non assume nessun obbligo giuridico di verificare la corretta gestione dei rifiuti o verificare il rispetto dei requisiti modali o temporali del deposito.
Tuttavia – come sopra anticipato – qualora sia intervenuto un accordo “a monte” tra il proprietario e i terzi che depositano i rifiuti, al fine di collocarli in via definitiva sul posto, quand’anche i rifiuti siano stati utilizzati per la realizzazione di opere sul terreno medesimo, non potrà negarsi il contributo concorsuale del proprietario nella realizzazione del reato di discarica abusiva[xxviii].
Nella seconda ipotesi, invece, il committente mantiene il controllo dei lavori e, pertanto, anche della gestione dei rifiuti prodotti (trasporto, recupero e/o smaltimento degli stessi) – rappresentando un caso di “connessione forte” – laddove l’appaltatore è mero esecutore dell’opera commissionata dal committente, sotto la cui supervisione gestirà anche i rifiuti materialmente prodotti.
In tal caso, la condotta del committente integra i presupposti della riferibilità giuridica della produzione del rifiuto, costituendolo «produttore giuridico» in senso proprio, e lo rende titolare di una posizione di garanzia penalmente rilevante sulla corretta gestione del rifiuto; detta posizione di garanzia, comunque, potrà anche essere condivisa con l’appaltatore che concretamente partecipi della gestione, con conseguente contestazione del reato nella forma del concorso ai sensi dell’art. 110 c.p.
Nella terza e ultima ipotesi – “a connessione zero” – il proprietario-committente non svolge nessun tipo di ingerenza sulla gestione dei rifiuti prodotti materialmente dall’appaltatore, i quali non sono depositati in un’area nella disponibilità del committente
Si tratta della fattispecie meno problematica, dal momento che il committente dell’opera dalla cui realizzazione derivano i rifiuti materialmente prodotti all’appaltatore, lasciando a quest’ultimo piena autonomia dal punto di vista organizzativo e gestionale, non assume nessun obbligo di vigilare sulle successive sorti del rifiuto.
La presenza di una “connessione forte” tra committente e rifiuto – ossia, in altri termini, un rapporto di prossimità determinato dall’assunzione, da parte del committente, di poteri gestori e decisionali nell’ambito del processo produttivo del rifiuto – chiama in causa le argomentazioni della giurisprudenza, secondo cui «in caso di appalto, la responsabilità della stazione appaltante […] è limitata ai casi in cui sia stata dimostrata un’ingerenza nella esecuzione dell’opera ovvero un controllo diretto su quest’ultima da parte del committente, tale da comportare l’estensione anche a carico di questo dei doveri diversamente concernente il solo soggetto appaltatore»[xxix].
In simili ipotesi, infatti, la posizione di controllo del committente rispetto alle vicende del rifiuto e i connessi obblighi di vigilanza lungo la filiera sono “attivati” dalla circostanza che l’agente ha assunto in concreto la gestione dei rischi connessi all’attività, estendendo così la sua sfera di governo dei rischi in questione.
La responsabilità del committente, dunque, deriva dall’esercizio di prerogative che, di norma, dovrebbero competere all’appaltatore, per il quale è la stessa regolamentazione legale del contratto di appalto a escludere forme di ingerenza da parte del committente in attività che dovrebbero essere svolte in regime di autonomia organizzativa e gestionale.
Nel caso in cui dunque l’appalto non sia “genuino”, cioè allorquando il committente invade l’ambito di competenza dell’appaltatore nell’esecuzione dell’opera o del servizio atteggiandosi a dominus delle attività, ebbene l’equilibrio del sinallagma contrattuale risulta alterato anche ai fini penalistici, con conseguente imputazione in capo al committente anche degli obblighi inerenti alla corretta gestione dei rifiuti prodotti, in origine gravanti sul solo appaltatore.
Occorre in proposito evidenziare, tuttavia, che la giurisprudenza sembra attribuire altresì rilievo, ai fini del riparto degli obblighi in tema di gestione dei rifiuti prodotti dalle attività appaltate, alla regolazione contrattuale intercorsa tra le parti, quale lex specialis suscettibile di modulare l’assetto delle obbligazioni predisposto dal legislatore; sicché, al di fuori dell’ipotesi di ingerenza e/o controllo diretto del committente, può essere ritagliata una nuova e ulteriore porzione di responsabilità del committente connessa alla «particolarità dell’obbligazione assunta»[xxx].
Con una recente sentenza, infatti, la Cassazione ha ritenuto idoneo a fondare la responsabilità del committente, in relazione al reato di deposito incontrollato di rifiuti, l’accordo intervenuto tra quest’ultimo e il soggetto appaltatore, che poneva in capo al committente-proprietario dell’area gli oneri della gestione dei rifiuti prodotti dall’appalto[xxxi].
Nondimeno, un altrettanto recente approdo della Cassazione pare aver fortemente attenuato i principi giurisprudenziali ormai consolidati, pure sotto il profilo del rilievo di eventuali disposizioni contrattuali “in deroga” sull’attribuzione degli oneri di gestione dei rifiuti, avendo ribadito, in ogni caso, la valenza della posizione di garanzia gravante ex lege sulle due figure di produttore definite dall’art. 183 D.Lgs. 152/2006, all’insegna di una responsabilità concorrente tra committente e appaltatore[xxxii].
La vicenda giudiziaria riguardava l’abusivo smaltimento di materiale abrasivo di scarto (grit) utilizzato per l’attività di sabbiatura delle carene delle navi all’interno del cantiere navale di Messina, eseguita in appalto dalla società del ricorrente, in forza di contratto che poneva espressamente gli oneri di smaltimento dei rifiuti prodotti a carico della società committente.
Nel caso di specie, la Corte, replicando quanto già affermato in sede cautelare[xxxiii], nel ravvisare la responsabilità dell’appaltatore alla luce di una rigorosa interpretazione della nuova definizione di produttore del rifiuto, così come modificata in senso estensivo dalla L. 125/2015, ha argomentato che «la nuova disposizione, letta in combinato disposto con l’art 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, pur avendo specificato la responsabilità del produttore giuridico di rifiuti – da doversi intendere quale committente dei lavori da cui deriva la produzione degli stessi – non ha certamente escluso la responsabilità del produttore materiale, ossia del soggetto che abbia, di fatto, prodotto le sostanze destinati allo smaltimento».
Per tale motivo, a fronte delle doglianze dell’appaltatore ricorrente – che invocava sul punto l’accordo con la società committente che gestiva il cantiere navale affinché l’effettiva gestione dei rifiuti fosse demandata a quest’ultima – la Cassazione ha affermato il principio per cui «a prescindere dagli accordi relativi agli oneri di smaltimento – che nella prassi spesso trasferiscono all’appaltatore mere attività operative e mantengono sull’appaltante, per ragioni di politica aziendale, gli oneri materiali ed economici dello smaltimento dei rifiuti – la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale e al detentore dei rifiuti».
Richiamando chiaramente l’incedere della pronuncia Fincantieri – per cui, si rammenta, «gli obblighi connessi alla gestione dei rifiuti stessi non gravano certamente solo sul produttore in senso giuridico, ove questi sia appaltatore delle opere da cui i rifiuti derivino, ma anche, e si direbbe soprattutto, sul produttore in senso materiale» – la Cassazione ha concluso nel senso che «il mancato trasferimento degli oneri di smaltimento nell’ambito del contratto di appalto non comporta il venir meno della responsabilità del produttore materiale dei rifiuti per le attività poste in essere dai soggetti deputati, a qualsiasi titolo, allo smaltimento medesimo».
Il panorama giurisprudenziale illustrato, in ultima analisi, pare sufficientemente consolidato nel senso di escludere una responsabilità “da posizione” del committente – quale target indefettibile del rimprovero per carente/omessa vigilanza sull’adempimento degli obblighi in tema di rifiuti – imponendo, per converso, un’attenta indagine del giudice sulla fattispecie concreta con specifico riferimento al grado di coinvolgimento del committente nella direzione ed esecuzione delle attività appaltate; ciò nell’ottica di verificare se, al di là della regolamentazione intercorsa per tabulas tra le parti del contratto di appalto, sussista il nesso di riferibilità giuridica tra committente e produzione del rifiuto e, di conseguenza, sia configurabile un suo potere di signoria, da esercitare anche in via impeditiva, circa le modalità di svolgimento delle attività materialmente compiute dall’appaltatore (o dal subappaltatore).
In prospettiva, però, vi è da chiedersi se, a cinque anni di distanza dalle modifiche normative apportate alla definizione di produttore, tale orientamento possa ormai ritenersi granitico o non sia lecito attendersi, piuttosto, una reazione “a scoppio ritardato” della giurisprudenza a fronte di un quadro normativo ormai mutato e non ancora del tutto assimilato, che trova nella nozione di produttore giuridico una nozione versatile e facilmente plasmabile[xxxiv]; ciò, tanto più, dinanzi a un contesto regolatorio eterogeneo rispetto a quello in passato scolpito nel D.Lgs. 152/2006 – e prima ancora nel D.Lgs. 22/1997 (art. 2, comma 3) – ove figurava unicamente il richiamo al principio di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, insuscettibile di fondare una posizione di garanzia del committente ispirata ai canoni di tassatività e determinatezza di matrice penalistica.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato
RGA_256_gestione abusiva_appalto_20191119_847_Cass_III_LANZARA
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Note:
[i] Il secondo profilo di doglianza della difesa degli imputati riguardava la sussistenza del periculum in mora, quale presupposto della misura cautelare reale del sequestro preventivo, valorizzando il fatto che, tra l’altro, il titolare della società esecutrice dei lavori si era fattivamente attivato post factum, conferendo apposito incarico a impresa specializzata per la bonifica dell’area (rectius, rimozione dei rifiuti). Sul punto, la Cassazione evidenzia che la confisca dell’area prevista dall’art. 256, comma 3 D.Lgs. 152/2006 ha natura obbligatoria in caso di condanna, anche patteggiata, per il reato di discarica abusiva, ove l’area sia di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi in ogni caso gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi. L’automatismo della confisca può essere escluso, dunque, solo se l’area su cui la discarica abusiva è realizzata sia di proprietà di un soggetto terzo, ossia di un soggetto che non è autore dell’illecito o concorrente nel medesimo (sul punto, Cass., sez. III, sez. III, 11 maggio 2018, n. 28751, Canaccini, in Cass. pen., 2019, 3, 1268 ss.), ovvero in caso di estinzione del reato per prescrizione (così, Cass., sez. IV, 4 dicembre 2018, n. 10873, Mascheroni, in www.dejure.it; Cass., sez. III, 27 giugno 2013, n. 37548, Rattenuti, in C.E.D. Cass., 2013, rv. 257687). Diversamente, in ossequio a un orientamento giurisprudenziale consolidato, la confisca obbligatoria dell’area deve essere disposta anche qualora essa sia stata sottoposta a bonifica in quanto tale circostanza, sebbene possa eventualmente comportare il venire meno delle esigenze di cautela connesse al sequestro c.d. impeditivo, non ha alcun rilievo per le ipotesi di cui all’art. 321 c.p.p., comma 2 (Cass., sez. III, 11 marzo 2010, n. 14344, in Foro it., 2010, 9, 445).
[ii] Per un primo commento alla pronuncia, Scialò, La nozione di produttore (giuridico) dei rifiuti in bilico tra committente e appaltatore . I chiarimenti della Suprema Corte, in Dir. giur. agr. alim. amb., 2020, 1.
[iii] In generale, la fattispecie di realizzazione di discarica abusiva richiede «l’allestimento di un’area con effettuazione di opere, quali spianamento del terreno, apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione o recinzione» (così, Cass., sez. III, 30 settembre 2008, n. 46072, in Amb. & svil., 2008, 471 ss.); la gestione di discarica abusiva ricorre quando sussiste una organizzazione, anche se rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della medesima, non assumendo rilevanza il dato che il quantitativo di rifiuti presenti in loco non risulti di particolare entità.
[iv] I ricorrenti, sotto tale profilo, opponevano che la società appaltatrice stesse eseguendo i lavori di ultimazione di un fabbricato, dunque con la sola finalità edificatoria, non anche quella di realizzazione di una discarica con definitivo accumulo dei rifiuti in prossimità del sito di lavoro.
[v] In questi termini, tra le altre, Cass., sez. III, 20 aprile 2018, n. 39027, in C.E.D. Cass., 2018; Cass., sez. III, 13 novembre 2013, n. 47501, ivi, 2013; Cass., sez. V, 17 giugno 2004, n. 27296, in Dir. giur. agr., 2005, 545; Cass., sez. III, 10 gennaio 2002, n. 6796, in Cass. pen., 2003, 1633.
[vi] Cass., sez. III, 18 settembre 2008, n. 41351, in Foro it., 2009, 5, 245.
[vii] Cass., sez. III, 16 marzo 2017, n. 18399, in C.E.D. Cass., 2017.
[viii] Cass., sez. III, 22 novembre 2017, n. 6999, in Cass. pen., 2018, 11, 3875.
[ix] Cass., sez. III, 20 maggio 2014, n. 38676, in C.E.D. Cass., 2015; Cass., sez. III, 10 novembre 2009, n. 49911, ivi, 2009. In breve, le caratteristiche differenziali del deposito incontrollato sono la provvisorietà e precarietà delle condizioni di accumulo e di rischio di pericolosità per l’ambiente, la temporaneità dell’accumulo e il quantitativo non limitato di rifiuti.
[x] Amendola, Rifiuti e proprietario del terreno. Quando la responsabilità penale è incerta, in Dir. giur. agr. alim. amb., 2019, 1; Losengo, Deposito incontrollato di rifiuti: quando il proprietario incolpevole può essere “colpevolizzato”?, in questa Rivista, 2019, 5; Rosolen, Non risponde penalmente il proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano abbandonato rifiuti per non essersi attivato per la rimozione, in Dir. giur. agr. alim. amb., 2017, 4.
[xi] Cass., sez. IV, 26 giugno 2013, n. 36406, in C.E.D. Cass., 2013.
[xii] Cass., sez. III, 12 novembre 2013, n. 49327, in Riv. pen., 2014, 2, 192.
[xiii] Per un’introduzione al tema, si veda Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, 4ª ed., Milano, 2016, 108 ss.
[xiv] Il principio della responsabilità condivisa è stato valorizzato, da ultimo, da Cass., sez. III, 11 dicembre 2019, n. 5912, Arzaroli, in www.lexambiente.it, 27 febbraio 2020.
[xv] Cass., sez. III, 9 luglio 2014, n. 5916, PM in proc. De Marco, in Riv. quadr. dir. amb., 2015, 2, 125 ss., con nota di Kassim, La nozione di produttore del rifiuto alla luce della recente sentenza Cass. Pen. 10 febbraio 2015, n. 5916 e del conseguente intervento del legislatore, era intervenuta a giudicare delle modalità di gestione dei rifiuti derivanti dalla attività di costruzione delle navi nel cantiere navale di Monfalcone, materialmente eseguita in specifici ambiti tecnici da diverse società subappaltatrici su incarico dell’appaltatore Fincantieri s.p.a. La Corte, nell’accogliere in sede cautelare il ricorso del pubblico ministero, evidenziava come l’attribuzione a Fincantieri s.p.a. della qualifica di produttore in senso giuridico non valesse esimere le società subappaltatrici, certamente produttrici in senso materiale, dalle responsabilità connesse alla gestione dei rifiuti senza titolo autorizzativo (qualificata, nel dettaglio, come stoccaggio di rifiuti). A fronte della decisione di Fincantieri s.p.a. di interrompere l’attività dell’intero cantiere navale – con gravi ripercussioni di tipo produttivo e occupazionale – il legislatore è intervenuto estendendo la definizione di «produttore di rifiuti» al soggetto al quale la produzione del rifiuto sia giuridicamente ascrivibile, così da ricomprendervi in modo inequivocabile anche Fincantieri s.p.a.
[xvi] Si rammenta che l’art. 11 L. 125/2015 ha abrogato l’art. 1 D.L. 92/2015 (rimasto in vigore dal 4 luglio 2015 al 14 agosto 2015) e contestualmente ha convertito in legge il D.L. 78/2015. L’art. 11, comma 16 bis D.L. 78/2015, che ha definitivamente modificato l’art. 183 D.Lgs. 152/2006, è in vigore dal 15 agosto 2015. Si noti che il D.L. 92/2015, in apertura, faceva espresso riferimento alla necessità di un ««allineamento della normativa nazionale in materia di rifiuti alle previsioni della disciplina dell’Unione Europea e in adesione agli indirizzi giurisprudenziali da ultimo ribaditi nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 5916 del 2015».
[xvii] In dottrina, cfr. Paone, La nozione di produttore dopo il d.l. n. 92/2015, in www.lexambiente.it, 17 luglio 2015; Pierobon, Decreto-legge “salva Ilva-Fincantieri”: ma non solo. Le novità, ivi, 23 luglio 2015; Roettgen-Lepore, La nozione di “produttore iniziale di rifiuti”, in Amb. & svil., 2015, 11-12, 628 ss.; Tapetto, Considerazioni sulla nuova definizione di produttore di rifiuti e sulle conseguenze operative, in www.lexambiente.it, 6 novembre 2015.
[xviii] L’art. 6, comma 1, lett. b) D.Lgs. 22/1997 definiva il produttore di rifiuti come «la persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti».
[xix] Cass., sez. III, 21 gennaio 2000, n. 4957, Rigotti e altri, in Riv. giur. amb., 2001, 3-4, 455, con nota di Prati, I rifiuti da demolizione e la nozione legale del «produttore di rifiuti», e in Riv. pen., 2000, 919 ss., con nota di Santoloci-Maglia, Rifiuti da demolizioni: chi è il produttore. Così, anche Cass., sez. III, 19 dicembre 2007, n. 6443, Cioni, in www. lexambiente.it; Cass., sez. III, 5 giugno 2003, n. 24347, in Rivamb., 2003, 1353. Richiama l’orientamento estensivo, pur senza confrontarvisi, Cass., sez. III, 15 giugno 2005, n. 36963, Rebecchi, in Riv. giur. amb., 2006, 281, con nota di Pomini, Brevi note in tema di contratto d’appalto e gestione dei rifiuti: chi ne è il produttore?.
[xx] In questo senso, ad esempio, Cass. 22 settembre 2004, n. 40618, Bassi, in Giur. it., 2005, 2159, che, nel contrastare frontalmente il precedente del 2000, esclude recisamente che il committente possa essere chiamato a rispondere del reato eventualmente commesso dall’appaltatore nell’ambito della gestione dei rifiuti derivanti dall’esecuzione dell’appalto, giacché «neppure con una interpretazione estensiva si può sostenere che il committente sia coinvolto nella produzione o distribuzione e nemmeno nell’utilizzo o nel consumo di “beni da cui originano i rifiuti” […] o che sia un produttore o detentore dei rifiuti gravato dagli oneri dello smaltimento»: nel caso di specie, il committente «nessun rapporto diretto ha mai avuto, invece, con i “beni da cui originano i rifiuti” o con la attività di produzione, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti stessi» e, dunque, « «sarebbe profondamente sbagliato […] sostenere che anche il committente di lavori edili o urbanistici è “garante” della corretta gestione dei rifiuti da parte dell’appaltatore e quindi penalmente corresponsabile del reato di abusiva attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti che l’appaltatore abbia effettuato nell’esecuzione dell’appalto».
[xxi] Cass., sez. III, 5 febbraio 2015, n. 11029, D’Andrea, in Dir. & giust., 17 marzo 2015; Cass., sez. III, 5 marzo 2015, n. 12971, ivi, 27 marzo 2015.
[xxii] Cass., sez. III, 17 aprile 2012, n. 19072, in Riv. giur. amb., 2012, 6, 758, con nota di Melzi D’Eril, Nessuna posizione di garanzia per il committente che non abbia la paternità dei rifiuti «mal gestiti» dall’appaltatore; Cass., sez. III, 5 aprile 2011, n. 35692, Taiuti, in C.E.D. Cass., 2011, rv. 251224; Cass., sez. III, 29 aprile 2010, n. 22760, Laudisi, in Amb. & svil., 2011, 264; Cass., sez. III, 28 gennaio 2003, n. 15165, Capecchi, in Riv. giur. amb., 2003, 6, 1040, con nota di Milocco.
[xxiii] Cass., sez. III, 25 maggio 2011, n. 25041, Spagnuolo, in Cass. pen., 2012, 6, 2264. Analogamente, Cass., sez. III, 19 ottobre 2017, n. 1581, in www.ambientediritto.it; Cass., sez. III, 21 ottobre 2009, n. 44457, Leone, in Cass. pen., 2010, 10, 3571.
[xxiv] Cass. sez. III, 30 maggio 2017, n. 223, in ilPenalista.it, 19 febbraio 2018, con nota di Fimiani, Il produttore dei rifiuti nei lavori edili commessi in appalto. Nello stesso senso, Cass., sez. III, 8 maggio 2018, n. 41699, in www.olympus.uniurb.it.
[xxv] Così, pur con riferimento alla figura del direttore dei lavori (equiparabile al committente quanto a posizione di garanzia), Cass., sez. III, 8 maggio 2018, n. 43160, in www.reteambiente.it, 11 ottobre 2018.
[xxvi] Cass., sez. III, 27 giugno 2013, n. 37541, in www. lexambiente.it, 30 settembre 2013.
[xxvii] Cass., sez. III, 5 novembre 2014, n. 48016, in Cass. pen., 2015, 5, 1916, con riferimento alla vicenda relativa alla gestione di una discarica abusiva di rifiuti, ha ribadito il principio secondo cui la cooperazione colposa, benché dalla legge espressamente prevista per i delitti colposi, è riferibile anche alle contravvenzioni.
[xxviii] Così, Cass., sez. III, 8 ottobre 2015, n. 45145, in Dir. & giust., 12 novembre 2015.
[xxix] Cass., sez. III, 22 novembre 2017, n. 19152, in Dir. & giust., 7 maggio 2018.
[xxx] Cass., sez. III, 5 febbraio 2015, n. 11029, cit.
[xxxi] Cass., sez. III, 19 novembre 2019, n. 5520, in www.reteambiente.it, 12 febbraio 2020, osserva come, nel caso sottoposto al suo esame, la regola generale che vede nell’appaltatore, salvo casi eccezionali, il produttore del rifiuto con i connessi obblighi di corretto smaltimento «non appare in concreto conferente»; tale assunto poggia sulla considerazione che «la predetta regola — suscettibile di modifiche negoziali tra le parti — trova nel caso di specie una deroga in apposito accordo, consacrato, secondo il Tribunale, in un “preventivo della società appaltatrice” — rimasto incontestato -, che rimetteva a carico dell’appaltante e, quindi, dell’imputato, il compito di procedere allo smaltimento dei rifiuti prodotti. […] Tale circostanza è sufficiente ad imputare al ricorrente la gestione di rifiuti presenti nello stabilimento».
[xxxii] Cass., sez. III, 16 aprile 2019, n. 39352, Radin e altro, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2019, 3-4, 949. I capi di imputazione contestati a vario titolo riguardavano, oltre la fattispecie associativa, il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (ora art. 452-quaterdecies c.p.), il disastro innominato (art. 434 c.p.) e la gestione abusiva di rifiuti (art. 256, comma 1 D.Lgs. 152/2006). Era stata contestata anche la responsabilità “da reato” ai sensi del D.Lgs. 231/2001 alla società appaltatrice (Petrol Lavori s.r.l.) nel cui interesse il ricorrente aveva agito.
[xxxiii] Cass., sez. III, 17 dicembre 2013, n. 13025, in www.ambientediritto.it.
[xxxiv] Sotto questo profilo, la posizione di garanzia facente capo al produttore giuridico del rifiuto può produrre riflessi anche in ambiti diversi da quello ambientale, quale, ad esempio, nel settore della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il concetto, infatti, è richiamato, nel noto caso Truck Center, da Cass., sez. IV, 8 febbraio 2019, n. 12876, in Foro it., 2019, 11, 672, per fondare la responsabilità del titolare della società produttrice di acido solforico che per il trasporto dello stesso aveva pattuito con la società trasportatrice l’uso, previa bonifica, della cisterna in cui si era verificato l’evento mortale. Così, per la Cassazione, nel ricordare che «la responsabilità per la gestione dei rifiuti in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie gravi su tutti i soggetti coinvolti nella produzione o nella detenzione di beni dai quali originano i rifiuti pericolosi e che la normativa di riferimento è posta a protezione della salute umana per tutti coloro, quindi anche i lavoratori, che vengono in contatto con i rifiuti nelle attività di gestione degli stessi», richiama la pronuncia Rigotti del 2000, che chiama in causa non solo colui che svolge l’attività materiale di produzione del rifiuto, ma anche colui al quale è riferibile l’attività giuridica e quindi qualsiasi intervento che determina in concreto la produzione di rifiuti e da cui deriva la posizione di garanzia dell’adempimento di determinati obblighi in materia di smaltimento.