La combustione di rifiuti è illecita se illecito ne è il deposito: una condizione imposta dal principio di tassatività

15 Nov 2019 | giurisprudenza, penale

Di Vincenzo Morgioni

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 13 settembre 2019, n. 38021 (sentenza) – Pres. Sarno, Est. Reynaud – ric. Vasile.

Il delitto di combustione illecita di rifiuti, di cui all’art. 256bis, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 punisce la combustione illecita dei soli «rifiuti abbandonati ovvero depositati in modo incontrollato». Il riferimento, dunque, è alle condotte richiamate nell’art. 255, comma 1 (e 256, comma 2) d.lgs. 152/2006 e, per il principio di tassatività, non può estendersi a rifiuti che siano oggetto di forme di gestione autorizzata o comunque lecita. 

Frutto dell’evoluzione del principio di legalità, il canone della tassatività della norma penale è l’argine che limita non solo l’attività del legislatore, imponendogli uno sforzo di precisione nella formulazione della norma penale ma altresì dell’organo giudicante al quale è richiesto di non lanciarsi in interpretazioni lontane dal significato autentico dei termini scelti per la stesura del precetto normativo.

Un’esigenza quest’ultima che si avverte maggiormente di fronte a un diritto figlio di una tecnica legislativa moderna, qual è il diritto penale dell’ambiente, le cui fattispecie tendono a completarsi tramite il richiamo ad altri concetti presenti sempre all’interno del Testo Unico dell’Ambiente (“TUA”).

Ciò appare del resto condivisibile se si considera che «l’immissione in proposizioni finite dei multiformi aspetti di una realtà comunque complessa non può avvenire attraverso l’impiego dei soli concetti o elementi descrittivi ma impone il ricorso a concetti o elementi normativi così definiti perché possono essere intesi soltanto con riferimento a norme giuridiche, oppure extra-giuridiche ma comunque sociali e in numerose norme di parte speciale»[i].

Nel caso di specie, il compito di rimarcare la presenza di un argine normativo invalicabile dalla penna dell’organo giudicante è toccato alla Terza Sezione della Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul corretto significato del riferimento ai «rifiuti abbandonati ovvero depositati in modo incontrollato» contenuto nella fattispecie di combustione illecita di rifiuti, di cui all’art. 256bis del TUA.

Ripercorrendo brevemente i passaggi che hanno preceduto la decisione della Suprema Corte, con sentenza del 30 aprile 2018 la Corte d’Appello dell’Aquila, in parziale riforma della pronuncia resa dal Giudice di Seconde Cure, assolveva gli imputati da un’ipotesi di concorso nella contravvenzione di attività di gestione illecita di rifiuti consistente in deposito incontrollato, confermandone invece la condanna per concorso nel delitto di combustione illecita di rifiuti, aggravato per aver commesso il fatto nell’ambito di un’attività di impresa, nonché nel delitto di getto pericoloso di cose, di cui all’art. 674 c.p. (l’abbruciamento del materiale aveva, infatti, provocato emissioni di fumi ritenute moleste).

Avverso tale decisione, i ricorrenti deducevano, innanzitutto, il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Difatti, in modo del tutto stravagante, i Giudici d’Appello da un lato avevano assolto gli imputati per il deposito incontrollato, non ravvisando una loro consapevolezza riguardante l’assenza di autorizzazione in capo al loro datore di lavoro per l’accatastamento dei rifiuti; dall’altro li aveva invece ritenuti responsabili ai sensi dell’art. 256bis TUA, fattispecie che richiede una piena coscienza dell’abbandono o dell’illecita collocazione dei rifiuti.

In continuità col primo motivo, i ricorrenti deducevano poi una violazione di legge da parte della Corte d’Appello, atteso che l’accumulo di rifiuti di cui si contestava l’abbruciamento si collocava in area antistante al luogo di produzione, il che rendeva il deposito “lecito” secondo il disposto dell’art. 183 del TUA. Aspetto questo che contribuiva a escludere il dolo degli imputati. Difatti, per quanto detto, era ragionevole ritenere che questi ultimi avessero agito nella convinzione di bruciare rifiuti stoccati in modo lecito.

Più distanti dalle tematiche che maggiormente interessano in questa sede, sono gli ultimi due motivi di impugnazione con i quali si deduceva da un lato la mancata applicazione della scriminante dell’adempimento di un obbligo di cui all’art. 59 cp (quest’ultima avrebbe potuto trovare riconoscimento secondo i ricorrenti, posto che loro avevano agito per obbedire a un ordine impartito dal datore di lavoro); dall’altro l’erronea applicazione dell’art. 674 cp considerando che dalla condotta contestata non sarebbe potuto derivare alcuna molestia visto che la combustione era avvenuta in aria industriale senza che potesse ritenersi superato il limite di tollerabilità imposto dalle disposizioni civilistiche.

Tralasciando le statuizioni rese su questi due ultimi punti, giacché rigettati dalla Suprema Corte, la Cassazione ha ritenuto di accogliere i motivi dedotti sulla corretta interpretazione dell’art 256bis TUA.

In ossequio alle censure rilevate dai ricorrenti, la Cassazione, proprio in nome del principio di tassatività, corregge l’interpretazione resa data dalla Corte territoriale, sancendo in principio che il delitto in esame non possa configurarsi qualora oggetto di combustione siano rifiuti accatastati in maniera del tutto lecita.

Chiaro è il testo della norma sul punto: è punito soltanto chi appicca il fuoco a «rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata», concetti che richiamano certamente le condotte già individuate dall’art. 255 TUA (illecito amministrativo rubricato «abbandono di rifiuti») e dal reato di gestione non autorizzata di rifiuti, art. 256 TUA, che richiedono, nel loro complesso, una dismissione dei materiali di scarto del tutto incontrollata e priva di autorizzazione.

Non è un caso, del resto, che la fattispecie in esame si collochi, all’interno del TUA, dopo le citate fattispecie, come apice di un crescendo nel quale prima si puniscono l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti e poi, al culmine dell’offesa, si sanziona, a titolo di delitto, la più grave condotta della combustione di rifiuti abbandonati in modo non autorizzato.

Non oltre, dunque, può estendersi la mano dell’interprete: del resto, ogni variazione sul tema che si discosti da tali parametri rischierebbe di andare al di là dei confini chiaramente tracciati dal legislatore.

Dissipato ogni dubbio sulla concreta configurabilità della norma, la Corte osserva poi come l’incenerimento a terra sia comunque un’attività che richiederebbe un’autorizzazione (di cui gli imputati erano privi, come accertato nei precedenti giudizi di merito), sicché laddove questa manchi e non si tratti, come nel caso di specie, di condotta commessa su rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, potrebbe sussistere la residuale ipotesi di smaltimento non autorizzato di cui all’art. 256, comma 1, del TUA, peraltro punibile a titolo di colpa.

Infine la difesa, secondo la Suprema Corte, coglie nel segno nell’eccepire la contraddittorietà dell’impugnata sentenza, nella misura in cui quest’ultima prima aveva escluso la sussistenza della contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti, per poi ritenere gli imputati responsabili del delitto di illecita combustione di rifiuti sul presupposto che oggetto di abbruciamento fossero stati materiali depositati in maniera incontrollata.

La pronuncia in esame dunque supera a pieni voti il test imposto dal principio di tassatività e determinatezza della norma penale, fornendo una lettura della fattispecie assolutamente in linea sia col significato autentico del dato letterale, sia con la ratio della norma, da individuarsi, come anticipato, nella necessità di reprimere «una forma patologica qualificata di illecito smaltimento»[ii] .

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato

Morgioni_cass. pen. 38021-2019

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Morgioni – 38021-2019 

[i] M. Romano, sub art. 1, in Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, p. 42.

[ii] A. Alberico, Il nuovo reato di combustione illecita di rifiuti, in  penalecontemporaneo.it, p. 10.

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