di Eva Maschietto
T.R.G.A., Bolzano, 25 giugno 2019 n. 149 – Autostrada del Brennero S.p.A. (Avv. I Janes) c. Provincia Autonoma di Bolzano (Avv.ti R. von Guggenberg, H. Silbernagl, F. Cavallar e P. Gianesello), ARPA Bolzano (nc), Direttore dell’Ufficio Gestione Rifiuti (nc), nei confronti di E. I. S.r.l. (Avv.ti A. Capria e T. Marocco), T. I. S.p.A. (Avv.ti R. Villata, A. Degli Esposti e A. von Walther), S. R. S.r.l., Comune di Vadena, Regione Trentino – Alto Adige, Anas S.p.A. (nc)
La normativa della Provincia Autonoma di Bolzano che consente – tra l’altro – la certificazione dell’avvenuta bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale richiede che sia dimostrata, in modo certo e inconfutabile, l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi di bonifica, nonostante l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili secondo i principi della normativa comunitaria.
La valutazione sulla sostenibilità dell’intervento e la dimostrazione dell’impossibilità economica del raggiungimento degli obiettivi va condotta tramite un’istruttoria adeguata che tenga conto della rilevanza, sotto il profilo dell’interesse pubblico, della decisione di rinunciare alla bonifica in conformità ai limiti di concentrazione e non prescinde dalle condizioni soggettive del responsabile dell’inquinamento.
I costi e la durata della bonifica non possono che essere proporzionali alla gravità dell’inquinamento provocato, senza che l’ammontare dei costi sostenuti e il notevole tempo impiegato possa considerarsi una causa esimente dalla responsabilità.
Il caso esaminato dal TRGA di Bolzano nella decisione in commento riveste, oltre a una significativa importanza pratica per la comune natura del sito e la diffusa tipologia di inquinamento, un interesse più ampio, perché dà la concreta misura della difficilissima applicazione del principio generale di “sostenibilità” alle attività di bonifica dei siti inquinati. Ciò anche quando – come nella fattispecie che ci occupa – la normativa della Provincia Autonoma di Bolzano sia evidentemente intesa a chiarirne i contorni allo scopo di favorirne l’applicazione.
Come noto, in generale, il principio della bonifica secondo le migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (c.d. B.A.T.N.E.E.C.[i]) è un principio di diritto comunitario, cristallizzato a livello normativo nazionale nell’art. 242, comma 8, del Testo Unico Ambientale (D. Lgs. 152/06), nonché espressamente menzionato al precedente comma 7 terzo paragrafo[ii]. Attraverso tale principio si intende bilanciare l’esigenza di utilizzo della migliore scienza ed esperienza dell’operatore che esegue la bonifica con il principio di ragionevolezza, quale espressione dell’applicazione del più generale principio di proporzionalità, applicabile non solo in materia di bonifica ma a diverse materie ambientali[iii]. In sintesi, il fine ambientale non può essere assoluto e avulso dal dato reale ed economico, ma va con quest’ultimo confrontato e contemperato. Nulla di più difficile da applicare nella pratica.
Il caso oggetto della decisione riguarda un punto vendita di carburante interessato da contaminazione da idrocarburi per il quale, a seguito di alcune attività di bonifica, l’autorità aveva in effetti rilasciato una certificazione di avvenuta bonifica, con misure di sicurezza e prescrizioni ai sensi dell’art. 5 della delibera provinciale 5 aprile 2005 n. 1072[iv], in attuazione della legge Provinciale n. 4 del 2006 (in particolare art. 40 comma 4), disponendo l’inserzione del punto vendita nel registro dei siti contaminati, sull’assunto che fosse stato dimostrato che gli obiettivi di bonifica non avrebbero potuto essere raggiunti nonostante l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili.
Per una volta, quindi, l’autorità aveva apparentemente condiviso la valutazione complessiva del bilanciamento tra gli interventi effettuati, la sostenibilità dei costi e il risultato atteso, così come effettuata dal privato (nella specie una nota compagnia petrolifera, precedente gestore del punto vendita, identificata come originario responsabile o, quantomeno, corresponsabile dello stato di compromissione ambientale del sito).
Contro tale provvedimento, tuttavia, è insorto il gestore della locale autostrada, il cui interesse a ricorrere – si deve presumere – consisteva nel trovarsi un sito non perfettamente bonificato a servizio dell’infrastruttura in gestione e il TRGA ha accolto il ricorso (superando alcune eccezioni preliminari di tardività riferite agli atti presupposti), concentrandosi sull’applicazione della normativa specifica in materia di bonifica.
Nel caso di specie, l’atto di certificazione impugnato era stato adottato sulla base della locale normativa (appunto, l’art. 5 cit.) che prevede una particolare forma di bonifica, suggerita – secondo quanto risulta dalla decisione – alla società petrolifera dalla stessa autorità provinciale, autorizzabile, in via eccezionale, solo quando sia dimostrato che i valori di concentrazione limite accettabili di cui all’art. 3, comma 1, della stessa delibera non possano essere raggiunti nonostante l’applicazione, “secondo i principi della normativa comunitaria, delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, e sempre che le misure di sicurezza garantiscano la tutela ambientale e sanitaria”.
Secondo il TRGA, il presupposto per l’applicazione di tale disposizione è l’ottenimento dell’inconfutabile dimostrazione “dell’impossibilità di realizzare gli obiettivi di bonifica nonostante l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili”, obiettivo che si raggiunge approfondendo tutti i profili rilevanti, da quello dell’impossibilità rapportata all’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili e a quello dei costi sopportabili.
A prescindere dalle questioni relative alla sufficienza della prova, quel che colpisce nella decisione è che la medesima non si occupa di svolgere una classica analisi di sostenibilità rispetto al comparto, chiedendosi che cosa sia effettivamente e obiettivamente esigibile in un contesto come quello di specie, ma si spinge ad indagare le condizioni proprie e specifiche del soggetto che sta portando avanti la bonifica.
Non si può non rimarcare, infatti, l’inciso in cui il TRGA, infatti, espressamente commenta sul fatto che la società petrolifera in questione abbia, in effetti, una capacità economica notevole.
In altre parole, in un contesto come quello ambientale, ci si domanda se l’applicazione del principio di sostenibilità debba essere orientata avendo riguardo al risultato raggiungibile tramite l’attività di bonifica sul bene compromesso, utilizzando le risorse effettivamente esigibili secondo la migliore scienza ed esperienza del settore, ovvero se tale applicazione debba essere orientata soggettivamente, potendo quindi giungere a risultati diversi a seconda delle capacità economiche del soggetto che procede all’intervento, ovvero ancora sulla base di altre caratteristiche.
La decisione del TRGA in commento sembra seguire questa seconda strada, ponendo un ulteriore livello di giudizio sull’analisi costi-benefici, e valutando anche le condizioni economiche soggettive del responsabile dell’inquinamento.
Le conseguenze di tale impostazione sono piuttosto rilevanti soprattutto sotto il profilo probatorio, perché sembra evidente che alla società petrolifera viene richiesto l’assolvimento di un onere sulla dimostrazione dell’“impossibilità” di spesa che dimostri la sussistenza di un “impedimento economico alla prosecuzione dell’attività di bonifica e di risanamento ambientale”[v].
La Legge Provinciale prevede espressamente una particolare tipologia di bonifica che consente la certificazione pur in presenza del superamento di limiti tabellari (e quindi al di là del conseguimento degli obiettivi di bonifica, che si identificano tendenzialmente proprio con il rispetto di valori di concentrazione limite considerati accettabili), autorizzabile solo ove siano attuate “misure di sicurezza” che garantiscano, comunque, la tutela ambientale e sanitaria (a fronte dell’applicazione di un’analisi di rischio effettuata a valle del procedimento). In tutti questi casi, la normativa prevede che “l’Agenzia provinciale [possa], con provvedimento motivato, anche approvare progetti di bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale” addirittura “senza il calcolo del rischio, a condizione che il progetto dimostri che non vi sono possibilità di contatto tra la sorgente e i recettori”. La norma prevede che con tale approvazione si possano fissare misure di sicurezza, i piani di monitoraggio e controllo oltre a limitazioni temporanee o permanenti o particolari modalità per l’utilizzo del sito (che possono comportare variazioni urbanistiche necessarie a garantire l’attuazione delle misure di sicurezza e delle limitazioni o modalità d’uso del sito, ferma restando la destinazione d’uso).
L’istruttoria sul fatto che l’operatore abbia dato prova certa e inconfutabile dell’impossibilità del raggiungimento degli obiettivi di bonifica è, quindi, lasciata all’Agenzia provinciale per l’ambiente e deve essere adeguata, tenendo conto “della rilevanza, sotto il profilo dell’interesse pubblico, della decisione di rinunciare alla bonifica in conformità ai limiti di concentrazione”.
A giudizio del TRGA, la relazione dell’esperto ambientale presentata dalla società petrolifera non ha assolto al rigoroso onere probatorio richiesto dalla normativa provinciale, perché non ha dato conto dell’applicazione delle “migliori tecnologie disponibili”, omettendo anche solo un accenno non solo alla “esaustiva rassegna delle soluzioni adottate in casi simili sia a livello nazionale che internazionale per definire in che modo possono essere rispettati i criteri stabiliti” dalla norma, ma soprattutto non consentendo “di stabilire l’efficacia delle diverse tecnologie applicate nelle condizioni specifiche del sito…”.
Sullo sforzo economico, invece, il TAR osserva che “i costi e la durata della bonifica non possono che essere proporzionali alla gravità dell’inquinamento provocato, senza che l’ammontare dei costi sostenuti e il notevole tempo impiegato possa considerarsi una causa esimente dalla responsabilità”, ma ha, ancora, rimarcato il fatto che la società “è una delle maggiori compagnie petrolifere a livello internazionale”, dando rilievo – quindi – alla sua condizione soggettiva.
La sentenza chiude, dopo una citazione della sentenza della Corte Costituzionale 16 marzo 1990, n. 127, su un punto per la verità non controverso nella specie, per cui il “limite massimo di emissione inquinante consentito dalla legge non può mai superare quello assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive, sicché la norma che condiziona l’obbligo di utilizzare la migliore tecnologia disponibile al costo non eccessivo di essa deve intendersi riferita (conformemente alle direttive CEE) al raggiungimento di livelli inferiori a quello di tolleranza; ove poi si tratti di piani di risanamento di zone particolarmente inquinate, potrà tenersi conto del costo della migliore tecnologia disponibile soltanto ai fini delle prescrizioni sui tempi e modi dell’adeguamento a livelli di emissione più rigorosi”, ricordando come in materia ambientale e, in particolare di bonifica, la motivazione di un provvedimento debba essere sostenuta ed esaustiva.
L’attuazione nella realtà del principio di bonifica a costi sostenibili, come dimostra questa decisione, è quindi sempre molto difficile e rara anche quando – come nel caso di specie – l’amministrazione procedente è incline alla sua applicazione attraverso una normativa speciale che ne guida i passaggi.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato
Maschietto_TRGA Bolzano 149-2019
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[i] Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs.
[ii] Dove si specifica il fatto che nell’articolazione temporale del progetto di bonifica “potrà essere valutata l’adozione di tecnologie innovative, di dimostrata efficienza ed efficacia, a costi sopportabili, resesi disponibili a seguito dello sviluppo tecnico-scientifico del settore”.
[iii] Nel diritto comunitario, ad esempio, si ricorda la sentenza della Prima sezione della Corte di Giustizia del 18 ottobre 2012 C- 301/10 (Commissione Europea contro Regno Unito) nel caso relativo alla violazione da parte del Regno Unito degli obblighi derivanti dalla Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane, al considerando n. 64 “La nozione di BTKNEEC [sic, nella traduzione ufficiale] consente, pertanto, di assicurare il rispetto degli obblighi della direttiva 91/271 senza porre a carico degli Stati membri obblighi irrealizzabili che non potrebbero adempiere o soltanto a costi sproporzionati.”
[iv] Come modificata dalle delibere 2929 dell’11 agosto 2006, 3243 dell’8 settembre 2008, 781 del 29maggio 2012 e 656 del 3 giugno 2014: essa stabilisce i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati. L’art. 2, comma 1, alla lett. e), definisce la “bonifica” come “l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque superficiali o nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dalle presenti disposizioni” e, alla lett. f), la “bonifica con misure di sicurezza” come “ l’insieme degli interventi atti a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque sotterranee o nelle acque superficiali a valori di concentrazione superiori ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti per la destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici, qualora i suddetti valori di concentrazione limite accettabili non possano essere raggiunti neppure con l’applicazione, secondo i principi della normativa comunitaria, delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili”.
[v] Aggiungendo il TRGA che tale prova sarebbe “poco plausibile, considerato che Esso è una compagnia petrolifera internazionale”.