La bonifica nei SIN: competenze e principi per l’accertamento della responsabilità dell’inquinatore

03 Gen 2023 | giurisprudenza, amministrativo

di Eleonora Gregori Ferri

T.A.R. Lombardia (Brescia), Sez. I, 21 ottobre 2022, n. 984 – Pres. Gabbricci, Est. Pavia – E. S.p.A. (avv.ti Ballerini, Degli Esposti, Troise Mangoni e Villata,) c. Provincia di Mantova (avv.ti Ruggerini e Salemi) e I.N.A.I.L. (avv.ti Cappa e Mari), n.c.d. Ministero della Transizione Ecologica (già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) (Avvocatura Distrettuale dello Stato), Comune di Mantova (Avv. Gianolio) e E. R. S.p.A. e V. S.p.A. (Avv.ti Grassi S., Onofri e Grassi F.) et. al. n.c. in giudizio.

In relazione ai Siti di Interesse Nazionale, l’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 assegna al Ministero dell’Ambiente la sola competenza in merito alle procedure di bonifica, lasciando in capo alla Provincia il potere d’ordinanza ai sensi dell’art. 244 del medesimo d.lgs. n. 152/2006, che comprende anche il potere di imporre, al responsabile dell’inquinamento, le misure di messa in sicurezza d’emergenza.

L’obbligo di bonifica si applica anche a fenomeni di inquinamento verificatisi prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006, laddove l’evento sia ancora attuale. In tal modo non si sanziona, ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma si pone rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi.

L’assunzione volontaria dell’obbligo di bonifica da parte del proprietario interessato non esclude né il potere/dovere dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest’ultimo di porre rimedio all’inquinamento stesso.

Il responsabile dell’inquinamento è (e resta) tenuto ad eseguire la bonifica, pur se, in epoca successiva, egli abbia ceduto a terzi il ramo di azienda. Il fenomeno della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si ha, infatti, soltanto in caso di successione a titolo universale, atteso che, solo in tale ipotesi, la responsabilità e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus.

Ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale e inquinamento, occorre utilizzare il canone civilistico del “più probabile che non”, con la conseguenza che l’individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c. e che, qualora l’Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, anche in via presuntiva, l’ascrivibilità dell’inquinamento a un soggetto, spetta a quest’ultimo l’onere di fornire la prova liberatoria.

  1. La storia del sito e le vicende giudiziarie

La sentenza in commento si inserisce nella lunga e complessa storia giudiziale che negli ultimi dieci anni ha interessato il Sito di Interesse Nazionale (SIN) denominato “Laghi di Mantova e Polo Chimico”, utilizzato sin dalla metà degli anni ‘50 per lo svolgimento di attività industriali particolarmente impattanti sull’ambiente. Nel tempo, talune delle attività produttive svolte in sito sono cessate, mentre altre proseguono ancora oggi.

Le prime evidenze della contaminazione delle matrici ambientali nell’area dello stabilimento principale sono tuttavia emerse soltanto dopo il 2002, a seguito di una serie indagini che avevano fatto riscontrare una notevole contaminazione da mercurio in tutte le matrici ambientali in sito e nel canale fluviale esterno. La Provincia di Mantova si era trovata dunque a dover avviare diversi procedimenti per l’identificazione del responsabile della contaminazione, all’esito dei quali era stata individuata l’odierna ricorrente (sebbene quest’ultima, al tempo della contestazione, non fosse più proprietaria delle aree in questione per aver ceduto il ramo d’azienda a una società terza).

I provvedimenti della Provincia vennero tutti impugnati avanti al TAR e, successivamente, in Consiglio di Stato, il quale però confermò l’accertamento di responsabilità in capo all’odierna ricorrente.

Tale premessa è necessaria ai fini di introdurre i fatti oggetto del giudizio in esame, che interessano una porzione di terreno esterna, ma limitrofa, al perimetro del SIN di Mantova, anche questa però contaminata da mercurio e idrocarburi. In relazione a quest’area il procedimento di identificazione del responsabile della contaminazione, conclusosi con l’individuazione dell’odierna ricorrente, era stato avviato dalla Provincia di Mantova nel 2019, successivamente quindi all’accertamento per il SIN, di cui si è detto sopra

La società ritenuta responsabile della contaminazione anche di quest’ulteriore area ha dunque impugnato con ricorso avanti al TAR Brescia, e successivi motivi aggiunti, il provvedimento della Provincia e gli atti connessi, compresa una nota del Ministero dell’Ambiente (oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energica), con la quale le era stato ordinato di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza dell’area, subentrando nelle misure già attivate dalla proprietaria dello stabilimento interno al perimetro del SIN.

  1. I profili di maggiore interesse delineati nella sentenza TAR Brescia n. 984/2022

Le censure mosse dalla ricorrente avverso gli atti impugnati sono tante e volte a cercare di dimostrare l’illegittimità dell’operato delle Amministrazioni procedenti sotto diversi profili. Per la rilevanza delle argomentazioni spese e della disanima che ne fa il TAR, sono cinque i motivi di ricorso sui quali si propone una riflessione.

2.1       Sul riparto di competenze tra Provincia e Ministero dell’Ambiente

Il primo motivo attiene all’incompetenza della Provincia ad imporre sul responsabile della contaminazione l’esecuzione delle attività di bonifica, laddove le aree in questione siano comprese all’interno del perimetro di un SIN. Secondo la ricorrente, infatti, la competenza in materia cadrebbe esclusivamente e interamente in capo al Ministero dell’Ambiente, ai sensi dell’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006.

Il TAR Brescia respinge in toto tale interpretazione, partendo dal presupposto che per un corretto riparto delle competenze in materia di obblighi di bonifica nei SIN, non è sufficiente il richiamo al solo art. 252 cit., che individua soltanto la competenza ministeriale in merito alla gestione della procedura di bonifica e che segue la medesima scansione prevista per i cd. “siti regionali” dall’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006. Peraltro, l’art. 252 cit., norma che come detto regola le particolarità del procedimento per i SIN, non contiene alcun riferimento alle attività propedeutiche e precedenti alla bonifica in senso stretto – fra cui l’ordinanza di individuazione del soggetto responsabile e quella di attivazione delle misure di messa in sicurezza di emergenza – fatto questo che porta a ritenere che per questi adempimenti resti confermata la competenza in capo alla Provincia, al pari di quanto avviene per i siti regionali.

Richiamando le parole del TAR: “l’art. 252, d.lg. n. 152 del 2006, in relazione ai siti di interesse nazionale, devolve al Ministero dell’ambiente la sola competenza in merito alle procedure di bonifica, lasciando, invece, inalterata la competenza della Provincia, desumibile dall’art. 244, ad ordinare l’adozione delle misure ritenute in via provvisoria necessarie (…) in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente del sito di competenza statale (…) posto che l’art. 244 non distingue tra siti di interesse nazionale e siti diversi”; diversamente “l’art. 252 riserva al Ministero le procedure di bonifica di cui all’art. 242, facendo riferimento ad una fase del procedimento certamente successiva rispetto a quella in cui si innesta la competenza provinciale”. Infatti “nel momento in cui la Provincia adotta l’ordinanza di cui all’art.244 non è nemmeno certo che il sito necessiti di bonifica (perché non è stato ancora accertato il superamento delle soglie di cui all’art. 242, comma 2); sul piano della ratio, del resto, tale interpretazione trova ulteriore conferma nella considerazione che la messa in sicurezza d ‘emergenza presuppone esigenze di celerità che possono certamente giustificare la deroga alla competenza ministeriale a favore dell’Amministrazione più vicina al territorio contaminato e, quindi, presumibilmente meglio in grado di intervenire rapidamente[i].

2.2       Sulla legittimità dell’imposizione della bonifica a condotte inquinanti risalenti

Il secondo tema che merita un approfondimento emerge dalla censura della società ricorrente, secondo cui i fenomeni di inquinamento verificatisi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/1997 (che anticipa all’art. 17 gli obblighi di bonifica poi codificati nel d.lgs. n. 152/2006) non sarebbero sanzionabili, in quanto prima dell’entrata in vigore di questa norma i comportamenti, anche inquinanti, tenuti dagli operatori industriali sarebbero stati legittimi.

A tale proposito, il giudice ricorda che per orientamento giurisprudenziale consolidato (ex multis la nota Adunanza Plenaria n. 10/2019), anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/1997 il danno ambientale era sanzionato dall’ordinamento in quanto illecito civile e che il medesimo risultato dell’obbligo di bonifica poteva essere raggiunto mediante l’istituto della reintegrazione in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c., applicabile in alternativa al risarcimento in denaro previsto dall’art. 2050 c.c. per gli illeciti extracontrattuali derivanti da attività pericolose.

Sulla base di tale interpretazione, precisa il TAR Brescia, risulta irrilevante che all’epoca dell’inquinamento la condotta non fosse vietata con una norma ad hoc. “D’altra parte” precisa sul punto il TAR “accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni “storiche” non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali attività, essenziali per la tutela della salute e dell’ambiente, debbano essere poste a carico della collettività anziché del soggetto che non solo le ha poste in essere ma che ne ha addirittura beneficiato”. Ciò, prosegue il giudice di prime cure, sarebbe oltremodo ingiusto ogniqualvolta la condotta lesiva dell’ambiente è tenuta da operatori che da quella attività hanno tratto un vantaggio economico, oltre che contrario al principio “chi inquina paga” di cui all’art. 191 del TFUE e all’art. 3-ter del d.lgs. n. 152/2006.

È tuttavia fatta salva dal TAR la possibilità, in capo all’operatore, di fornire la prova liberatoria consistente nella dimostrazione di aver già all’epoca posto in essere “ogni esigibile accorgimento idoneo a prevedere in radice tale contaminazione[ii].

Pertanto, secondo il TAR: “L’obbligo di bonifica dei siti inquinati, previsto all’inizio dall’art. 17 d.lgs. n. 22/1997 (poi sostituito dal d.lgs. n. 152/2006), può trovare applicazione anche a fenomeni di inquinamento verificatisi prima della sua entrata in vigore alla sola condizione, presente nel caso di specie, che l’evento “compromissione ambiente” sia ancora attuale” con la conseguenza che “le disposizioni di cui agli artt. 242 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 vanno interpretate nel senso che l’obbligo di adottare le misure dirette a fronteggiare la situazione di inquinamento incombe su colui che di tale situazione sia responsabile per avervi dato causa[iii]. Infatti: “per giurisprudenza pressoché unanime, le norme in materia di obblighi di bonifica non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente”.

2.3       L’obbligo di indagine anche in caso di assunzione della bonifica da parte del soggetto interessato

Il terzo punto che vale la pena di evidenziare riguarda l’opportunità delle indagini svolte dalla Provincia in merito alla ricerca del responsabile della contaminazione. Ha sostenuto infatti la ricorrente che in presenza di un impegno alla bonifica da parte del soggetto interessato, sarebbe venuta meno la necessità di qualsiasi attività di accertamento da parte della Provincia che, anzi, avrebbe così solo ritardato (e dunque aggravato) il procedimento di bonifica.

Essendo la questione già stata trattata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 2195/2020 che ha deciso sulla responsabilità della ricorrente in merito alla contaminazione delle aree interne al perimetro del SIN, sul punto il TAR Brescia si limita a richiamare quanto già statuito in detta pronuncia, ossia che “l’assunzione volontaria dell’obbligo di bonifica da parte del proprietario interessato non esclude né il potere/dovere dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest’ultimo di porre rimedio all’inquinamento stesso”.

2.4       La successione nella responsabilità ambientale

Il quarto tema di interesse concerne invece la successione nella responsabilità ambientale. La domanda sottesa alla censura della società ricorrente è se vi possa essere un passaggio della responsabilità ambientale da un soggetto a un altro, per effetto di successioni d’impresa a titolo particolare, come nel caso della cessione di ramo d’azienda. La risposta del TAR è negativa ed è così motivata: “la cessione del ramo di azienda non determina una vicenda estintiva né a livello soggettivo, né a livello oggettivo: invero, il cedente, quale soggetto di diritto, permane pur dopo la cessione; specularmente, rimangono in capo al cedente le obbligazioni già gravanti sul medesimo prima della cessione” soprattutto se relative a ipotesi di compromissione di beni pubblici fondamentali, come l’ambiente, in cui è la stessa disciplina normativa speciale “che assegna decisivo ed esclusivo rilievo, ai fini dell’imputazione degli obblighi di bonifica, all’individuazione dello specifico soggetto che ha causato l’inquinamento. Alla stregua di tale speciale disciplina, quindi, il soggetto individuato quale responsabile dell’inquinamento è (e resta) senz’altro tenuto ad eseguire la bonifica, pur se, in epoca successiva agli episodi di contaminazione, abbia ceduto a terzi il ramo di azienda. Il fenomeno della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore, cui fa cenno il ricorrente, si ha, invece, soltanto nel diverso e particolare caso di successione a titolo universale, ossia allorché si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente, atteso che, solo in tali ipotesi, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus”.

Tale esegesi è condivisibile, in quanto coerente con il già richiamato principio “chi inquina paga” di cui all’art. 191 del TFUE.

2.5       Il criterio del “più probabile che non

La sentenza merita infine di essere menzionata anche con riferimento al problema inerente la scelta del criterio per l’accertamento della responsabilità ambientale in materia di bonifiche. Nel caso in esame, infatti, si era verificata una situazione in cui le relazioni tecniche prodotte in giudizio non erano unanimi nel ricondurre la responsabilità per la contaminazione in capo alla società ricorrente, per cui era stato posto il dubbio che, in assenza di prova “oltre ogni ragionevole dubbio”, non si potesse procedere ad alcuna ascrizione di responsabilità.

Il TAR rigetta questa interpretazione, ribadendo che “ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area e inquinamento della stessa, occorre utilizzare il canone civilistico del “più probabile che non”, con la conseguenza che l’individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.”. Presunzioni che, nel caso di specie, la Provincia legittimamente aveva dedotto non solo dalle relazioni tecniche di parte, bensì da un più ampio ventaglio di elementi prodotti nel corso del giudizio. Per cui nel caso in cui la società ricorrente avesse voluto contestare tale conclusione, avrebbe dovuto fornire la relativa prova liberatoria “per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un’incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell’inquinamento”.

  1. Conclusioni

Le vicende che hanno interessato il SIN di Mantova e quindi la sentenza in commento offrono tanti spunti di riflessione in merito al consolidamento, all’interno della giurisprudenza, di una serie di principi e interpretazioni mutuate anche dal diritto comunitario o dal diritto civile. Un minimo comune denominatore ai punti sopra esposti risiede nella volontà (condivisibile) di dare massima applicazione al principio “chi inquina paga”, al fine di ridurre i costi delle attività di bonifica addossati sulla collettività nel caso in cui non si individui un soggetto responsabile. Questa tendenza, per quanto positiva, porta però con sé un rischio, ossia che non vi sia alcuna possibilità di prova liberatoria per il soggetto individuato come responsabile, neppure in quei casi in cui ne ricorrerebbero i presupposti. L’auspicio è dunque che la giurisprudenza futura, prendendo spunto anche dalla articolata e ben espressa esegesi offerta dal TAR Brescia nella sentenza in commento, si muova sempre nella ricerca di un corretto bilanciamento, a tutela dell’ambiente, ma anche della legalità del procedimento, della legittimità dell’operato delle Amministrazioni e anche della stabilità e della certezza del diritto, dando maggiori certezze a chi decide di intervenire per lo sviluppo e la rigenerazione di aree su cui gravano importanti contaminazioni.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

TAR_BS_984_2022

NOTE:

[i] Si vedano sul punto le seguenti pronunce richiamate dal TAR Brescia: Consiglio di Stato n. 2301/2020 e T.A.R. Campania, Napoli, n. 3041/2019.

[ii] Consiglio di Stato n. 2195/2020.

[iii] Si veda anche: Consiglio di Stato, n. 1388/2022.

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