Inquinamento ambientale: ancora in tema di “misurabilità” e “progressione” del danno

03 Gen 2023 | giurisprudenza, amministrativo

di Andrea Marcora

Corte di Cassazione, Sez. III, 1° giugno 2022 (dep. 20 ottobre 2022), n. 39759 – Pres. Ramacci, Est. Gentili – Ric. A.A. e altri

Con la espressione “misurabile” il legislatore ha inteso solamente indicare la astratta possibilità di rilevare in termini quantitativi l’esistenza di un fenomeno di compromissione o deterioramento ambientale (del quale, sia pure con formula verbale non particolarmente puntuale sotto il profilo strettamente lessicale, ha indicato, quanto alla evidenza qualitativa, la sua “significativa” incidenza), ma non ha indicato che lo stesso debba (o possa) essere soggetto necessariamente, per la sua rilevanza penale, ad una procedura di calcolo numerico degli effetti da esso prodotti sulla base di una scala graduata della quale, peraltro, non è data alcuna definizione. Quanto al secondo versante, secondo il quale non sarebbe possibile configurare il reato laddove il fondo interessato sia stato, in passato, già compromesso o deteriorato, ritiene questo Collegio che si tratti di rilievo del tutto ingiustificato, risultando di comune esperienza il fenomeno di possibile ulteriore aggravamento della già avvenuta compromissione di un sito naturale, laddove sullo stesso prosegua l’attività inquinante, sebbene la stessa già fosse stata praticata in precedenza; la naturale dinamica dei fenomeni derivanti dall’inquinamento ambientale comporta, invero, che l’eventuale prosecuzione della aggressione umana alla salubrità degli spazi determini una progressiva ed ulteriore compromissione ambientale, mano a mano che prosegue l’aggressione medesima, non potendosi, per converso, ritenere che, una volta determinatosi un danno all’ambiente questo, laddove ne siano reiterate le cause, non sia soggetto ad un ulteriore deterioramento.

  1. La vicenda in commento

La sentenza in commento perviene al rigetto dei ricorsi presentati dagli imputati in un iter giudiziario caratterizzato da conformità tra le decisioni dei gradi di merito: i ricorrenti erano stati riconosciuti responsabili del delitto di inquinamento ambientale in relazione ad una condotta di sversamento di carichi di rifiuti formalmente destinati ad essere trasferiti verso una discarica autorizzata ed invece abusivamente trasportati ed interrati su un fondo in parte già compromesso.

La sentenza sviluppa quindi, da tale prospettiva, un riepilogo delle posizioni giurisprudenziali in relazione a taluni presupposti ed elementi costitutivi del delitto di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p., che saranno più specificamente oggetto del presente commento, nonché anche della fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ex art. 452 quaterdecies c.p.

Gli spunti di maggiore interesse attengono alla valutazione espressa dalla Corte in ordine al requisito della “misurabilità” della compromissione o del deterioramento ambientale cui si riferisca la condotta di inquinamento ex art. 452 bis c.p., nonché alla configurabilità della fattispecie in esame anche in ipotesi in cui la matrice ambientale interessata dalla condotta illecita fosse in precedenza già stata interessata da fenomeni di compromissione o di deterioramento[1].

Il ricorrente lamentava il fatto che il giudice di primo grado non avesse tenuto conto della carenza, nel caso concreto, appunto di uno dei requisiti necessari del delitto di inquinamento ambientale, difettando il carattere della “misurabilità” della compromissione o del deterioramento del fondo interessato dall’inquinamento.

Più precisamente, il ricorrente riteneva che il concetto di misurabilità dovesse presupporre la possibilità di operare una quantificazione aritmetica dell’evento dannoso verificatosi a carico della porzione di spazio oggetto dell’inquinamento, in ogni caso possibile – sempre secondo il ricorrente – solamente in relazione a fondi non già in precedenza pregiudicati da condotte compromettenti o deterioranti.

Entrambi tali assunti sono stati dichiarati infondati; la Corte ha infatti affermato che con la espressione “misurabile” il Legislatore avesse inteso solamente indicare una astratta possibilità di rilevare in termini quantitativi l’esistenza di un fenomeno di compromissione o deterioramento ambientale (del quale, sia pure con formula verbale valutata come “non particolarmente puntuale sotto il profilo strettamente lessicale”, ha indicato, quanto alla evidenza qualitativa, la sua “significativa” incidenza), ma non ha indicato che lo stesso debba (o possa) essere soggetto necessariamente, per la sua rilevanza penale, ad una procedura di calcolo numerico degli effetti da esso prodotti sulla base di una scala graduata della quale, peraltro, non è data alcuna definizione.

Parimenti, in tema di progressione dell’offesa ambientale, il Collegio ha rigettato la censura che voleva circoscrivere la configurabilità dell’inquinamento ambientale ai soli fondi non interessati in passato da precedenti compromissioni o deterioramenti: secondo la Corte risultano infatti di comune esperienza fenomeni di possibili ulteriori aggravamenti della già avvenuta compromissione di un sito naturale, laddove sullo stesso prosegua l’attività inquinante, sebbene la stessa già fosse stata praticata in precedenza.

In altri termini, la naturale dinamica dei fenomeni derivanti dall’inquinamento ambientale comporta che l’eventuale prosecuzione della aggressione umana alla salubrità degli spazi determini una progressiva ed ulteriore compromissione ambientale, mano a mano che prosegue l’aggressione medesima, non potendosi, per converso, ritenere che, una volta determinatosi un danno all’ambiente, questo, laddove ne siano reiterate le cause, non sia soggetto ad un ulteriore deterioramento.

  1. Osservazioni in ordine al criterio della misurabilità dell’offesa al bene tutelato

Come visto, la Corte ha ribadito che il fenomeno di compromissione o deterioramento ambientale non debba (o possa) essere soggetto necessariamente, per la sua rilevanza penale, ad una procedura di calcolo numerico degli effetti da esso prodotti sulla base di una scala graduata della quale, peraltro, non è data alcuna definizione.

Trattasi di tematica ampiamente sviluppata nell’ambito del dibattito giurisprudenziale e dottrinale conseguente all’entrata in vigore del delitto di inquinamento, che anche nella sentenza in commento viene proposta in termini conformi alle pronunce in precedenza rese dalla Suprema Corte.

L’interpretazione giurisprudenziale infatti aveva già affermato che per “compromissione ambientale misurabile” debba intendersi un fenomeno quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile, escludendosi tuttavia la sussistenza di vincoli a parametri imposti dalla disciplina di settore, i quali potranno al più rappresentare utili standard di riferimento, potendosi presentare casi in cui la situazione di compromissione ambientale sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile[2].

Il prescritto requisito di misurabilità dell’evento lesivo per l’ambiente pone in sostanza un vincolo di verificabilità dello stesso, da compiersi sulla base di dati oggettivi e quindi controllabili e confutabili; “misurabile può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile[3].

Logica conseguenza di tale affermazione dovrebbe quindi essere il riscontro in concreto della incidenza dell’evento lesivo sul bene aggredito, sebbene la giurisprudenza – con una certa ambiguità – abbia in altre pronunce inteso affermare che l’inquinamento ambientale “presuppone l’accertamento di un concreto pregiudizio da questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 e segg. d.lgs 3 aprile 2006, n. 152[4].

Ancor più chiaramente, la giurisprudenza di legittimità si è espressa affermando che “ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di ‘deterioramento’ o ‘compromissione’ del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici[5].

In dottrina[6] si è registrato invece un orientamento più aderente al contenuto semantico letterale dell’aggettivazione “misurabile”, seppure anche in tale sede si sia constatato come non rilevante la individuazione di indici numerici (in quanto l’eventuale superamento di valori soglia, seppure certamente misurabile, non comporterebbe di per sé e necessariamente una significatività per l’ambiente) a favore invece della individuazione di indici qualitativi (quali, ad esempio, frequenza ed ampiezza degli sforamenti dei valori soglia o gravità e persistenza nel tempo degli effetti)[7].

Ed infatti la fattispecie in esame configura un reato di danno (e non già di pericolo) integrato da un evento di danneggiamento, essendo punito il cagionare abusivamente una “compromissione” o un “deterioramento” che siano “significativi” e “misurabili”, di uno dei profili in cui si declina il bene “ambiente”.

In questa direzione, sono stati quindi giustamente prospettati timori per una applicazione pratica della norma che “in assenza di vincoli interpretativi per il giudice a fronte di una terminologia assolutamente equivoca, potrà facilmente condurre a parametrare tali connotati tipici del danno, sulla scorta di una considerazione complessiva degli indici, alla prevedibilità anche solo ipotetica di conseguenze lesive – appunto misurabili e apprezzabili ex ante come potenzialmente significative – secondo la logica del pericolo astratto”, con conseguenze anche in tema di accertamento del dolo richiesto dalla norma[8].

  1. Osservazioni in ordine alla ammissibilità e punibilità di progressive condotte autonome di inquinamento

In merito al secondo tema affrontato dalla sentenza in esame – la configurabilità di una autonoma rilevanza penale delle condotte progressive di inquinamento – la giurisprudenza prende la mosse dalla constatazione che il reato di cui trattasi ben possa concretizzarsi in una serie di più condotte materiali, integranti “singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all’art. 452-quater cod. pen.[9].

In quanto “sommatoria di una pluralità di condotte”, l’evento che ne deriva è unico ed è da riferirsi al deterioramento od alla compromissione di un medesimo contesto ambientale che abbia raggiunto il grado di compromissione richiesto per l’integrazione del fatto-reato.

In definitiva, dunque, la consumazione del delitto di inquinamento ambientale si correla al raggiungimento, da parte dell’offesa al bene tutelato, di uno specifico “livello di significatività”[10].

Ancor più chiaramente, si è affermato che “è dunque possibile deteriorare e compromettere quel che lo è già, fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo art. 452-quater cod. pen.; non esistono zone franche intermedie tra i due reati[11].

In tale prospettiva, coerentemente, la giurisprudenza riconosce pertanto che l’eventuale condotta che si concretizzi su un “ambiente” già compromesso o deteriorato, ove conduca ad una modifica peggiorativa della qualità dello stesso tale da potersi definire significativa nei termini anzidetti, legittima la autonoma contestazione del delitto di inquinamento ambientale inteso come peggioramento significativo delle condizioni (pur già compromesse o deteriorate) della matrice ambientale[12].

[1] Si riporta di seguito, in estrema sintesi, menzione degli ulteriori motivi di ricorso su cui la sentenza in commento ha preso posizione. Il primo atteneva alla valutazione del requisito della “continuità organizzata” quale criterio distintivo tra la figura di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. e quella di cui all’art. 256 D.Lgs 152/2006; la Corte ha affermato che la violazione della prima delle disposizioni indicate presuppone sia la esistenza di una attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, ancorché tale organizzazione abbia ad oggetto anche una sola delle fasi relative al complesso illecito ciclo di gestione dei rifiuti, sia la sistematica ripetitività delle condotte illecite, trattandosi di un reato abituale proprio. Ulteriore doglianza atteneva la ritenuta abitualità della condotta ascritta al relativo ricorrente, sulla quale la Corte richiamava espressamente come per la configurazione materiale del reato, in ipotesi di concorso, sia sufficiente che i caratteri tipici della fattispecie siano riscontrabili nell’operato anche di uno solo dei concorrenti, purché in quello degli altri sia, a sua volta, riscontrabile l’esistenza del dolo di concorso nel reato abituale. Con un diverso motivo di ricorso si censurava il riconoscimento di responsabilità in concorso con riguardo al delitto di inquinamento ambientale; proprio in quanto gli imputati erano risultati diretto compartecipi di tutte le condotte poste in essere (e quindi anche del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), la Corte fa discendere la legittimità della contestazione concorsuale anche della responsabilità per l’inquinamento ambientale, proprio in quanto cagionato dalla prima condotta. Prendendo posizione su un ulteriore motivo di ricorso, la Corte ha inteso valorizzare l’aspetto sostanziale della materiale disponibilità, da parte dell’imputato, del fondo in questione, al di là del fenomeno di segregazione giuridica che era stato invece rappresentato dall’imputato, correlato al fatto che il fondo in questione fosse stato conferito all’interno di un trust. Diversa censura veniva quindi sviluppata in ordine alla motivazione con cui la Corte territoriale aveva inteso subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena, che nel caso in oggetto veniva correlata alla concreta messa in opera di azioni positive che evidenziassero la adeguata presa di coscienza della gravità delle condotte poste in essere nel passato, presa di coscienza che, prevedeva la Corte territoriale con motivazione valutata priva di vizi, avrebbe operato quale forma di congrua autolimitazione per l’imputato riguardo alle condotte future.

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Commento a Cass. 39759-22 (Marcora)

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Cass. III, 39759_2022

NOTE:

[2] Cfr. Corte Cass. pen., Sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, ripresa e commentata in termini critici da L. Cornacchia, Il nuovo diritto penale dell’ambiente (a cura di L. Cornacchia e N. Pisani), pagg. 105 e ss., nonché da R. Losengo, C. Melzi d’Eril, Inquinamento ambientale: la Corte di Cassazione costretta a fare il legislatore, in questa Rivista, 2016, 472.

[3] Corte Cass. pen., Sez. III, 30 gennaio 2020, n. 9736, Rv. 278405 – 01

[4] Corte Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2018, n. 50018, Rv. 274864 – 01

[5] Corte Cass. pen., Sez. III, 17 aprile 2018, n. 28732, Rv. 273566 – 01

[6] P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente, Milano, 2015, p. 80, C. Ruga Riva, Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione, in Dir. pen. cont., 22 novembre 2016, p. 7; M. Riccardi, l’inquinamento ambientale: quando il deficit di precisione “compromette” il fatto tipico, in Dir. pen. cont., 8 marzo 2017, p. 24; A. Trucano, Prima pronuncia della Cassazione in materia di inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p., in Dir. pen. proc., 2017, p. 932; R. Losengo, C. Melzi d’Eril, Reato di inquinamento ambientale: i criteri di concretezza e misurabilità dell’offesa al bene tutelato, in questa Rivista, 18 febbraio 2021.

[7] Effetti che non devono tuttavia manifestarsi come irreversibili, in quanto “per la sussistenza del reato non è richiesta anche l’irreversibilità del danno” (Corte Cass. pen., Sez. III, 30 gennaio 2020, n. 9736, Rv. 278405 – 01), ed anzi tale situazione andrebbe a configurare il diverso delitto di disastro ambientale ex art. 452 quater c.p. (C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2016, 247).

[8] L. Cornacchia, Il nuovo diritto penale dell’ambiente (a cura di L. Cornacchia e N. Pisani), pag. 106.

[9] Corte Cass. pen., Sez. III, 31 gennaio 2017, n. 15865, Rv. 269490.

[10] Mentre, le condotte successive dello stesso agente, attinenti il medesimo ecosistema potranno invece venire in rilievo vuoi ai fini della valutazione della gravità della condotta e della determinazione dell’entità della pena da irrogare, vuoi ai fini della individuazione del momento cronologico di cessazione della consumazione, cui correlare la decorrenza dei termini di prescrizione.

[11] Corte Cass. pen., Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 10515, Rv. 269274 – 01.

[12] Coerentemente con la posizione espressa, in un diverso caso la Corte affermava che “indipendentemente dal fatto che l’inquinamento del sito sia dipeso anche da comportamenti precedenti all’introduzione nell’ordinamento della fattispecie di reato, la prosecuzione della
condotta illecita con aggravamento del danno da parte del ricorrente nel periodo
successivo
[alla entrata in vigore dell’art. 452 bis c.p.] rileva ai fini della sussistenza del reato ipotizzato” (Corte Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2018, n. 50018, Rv. 274864 – 01).