Inosservanza delle prescrizioni dell’a.i.a. e rilevanza penale della gestione dei rifiuti

15 Nov 2019 | giurisprudenza, penale

di Elisa Marini

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. VII – 19 giugno 2019, n. 27171 (ordinanza) – Pres. Di Nicola, Est. Gai – ric. T.L.

Le modifiche apportate dal D.Lgs n. 46/2014 al Testo Unico Ambientale hanno parzialmente depenalizzato il reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) di cui all’art. 29 quaterdecies D.Lgs. n. 152/2006.

Tra le violazioni che sono rimaste penalmente rilevanti si annovera quella relativa alla gestione dei rifiuti prevista dal comma 3, lettera b).

L’ordinanza in commento – per quanto di specifico interesse sotto il profilo ambientale – ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale era stato dedotto, nell’interesse dell’imputato, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 29 quaterdecies, comma 3, lett. b) D.Lgs. n. 152 del 2006, in ragione della sostenuta depenalizzazione della fattispecie di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (di seguito anche solo A.I.A.), a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/2014 (recante l’attuazione della Direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali)[i].

Segnatamente, l’inosservanza in contestazione si riferiva allo stoccaggio di oli esausti, per i quali era prevista un’apposita area perimetrata con superficie impermeabile e vasca di raccolta e separazione, le cui acque avrebbero dovuto essere smaltite come rifiuti, ma di cui, nei gradi di merito, era stata accertata l’illecita gestione.

La Corte di Cassazione ha respinto le doglianze della difesa sulla base del tenore testuale dell’art. 29 quaterdecies T.U.A.: se è vero, da un lato, che il D.Lgs. n. 46/2014 è intervenuto sul regime sanzionatorio, depenalizzando parzialmente la condotta di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale, dall’altro, tuttavia, non ha eliminato tutte le ipotesi contravvenzionali di rilevanza penale relative all’A.I.A., ad oggi previste dal terzo e dal quarto comma della disposizione in esame.

La sentenza in commento ha difatti ricordato – richiamandolo testualmente – che il terzo comma dell’art. 29 quaterdecies D.Lgs. n. 152/2006 sanziona ancora penalmente, ammesso che il fatto non costituisca più grave reato, la condotta di chi, pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale, non ne osserva le prescrizioni o non osserva quelle imposte dall’autorità competente, nel caso in cui l’inosservanza riguardi: la violazione dei valori limite di emissione (a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa), gli scarichi recapitanti in aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano o in corpi idrici posti in aree protette, e – per l’appunto – la gestione dei rifiuti[ii].

L’intervento legislativo del 2014 ha difatti graduato le sanzioni per la mancata osservanza delle prescrizioni dell’A.I.A. rispetto al testo previgente, depenalizzando e diminuendo negli importi la sanzione “generica” prevista dal secondo comma[iii], ed aumentando quella penale nei casi di maggior pericolo per l’ambiente previsti dal quarto comma (che stabilisce la sanzione massima per una serie di violazioni tra le quali ricadono quelle relative alla gestione di rifiuti pericolosi o agli scarichi di sostanze pericolose)[iv].

In estrema sintesi, l’attuale assetto normativo prevede alcune fattispecie di reato base (al comma 3) e le relative aggravanti (di cui al comma 4), ed una norma di chiusura (quella del comma 2) applicabile a tutte le inosservanze delle prescrizioni dell’A.I.A. non incluse nei suddetti commi 3 e 4, alle quali il Legislatore ha attribuito esclusivo rilievo amministrativo.

Nel caso oggetto del vaglio della Corte di Cassazione, trattandosi – come si è detto – di una prescrizione dell’autorizzazione ambientale che imponeva all’impresa di smaltire dei reflui derivanti dall’attività secondo la disciplina dei rifiuti, l’inosservanza ha determinato la responsabilità penale e non amministrativa in capo al titolare, come era peraltro già successo – tra i più recenti precedenti della Suprema Corte – nel caso di gestione di rifiuti in quantità eccedente rispetto a quella per la quale l’impianto era autorizzato[v], o di attività di raccolta, trasporto e messa in riserva di rifiuti speciali non pericolosi posta in essere senza aver rispettato le prescrizioni e le condizioni richieste per le iscrizioni e le comunicazioni[vi].

Non è dato evincere, dal testo dell’ordinanza in commento, se vi fossero delle ragioni specifiche poste, dalla difesa, a sostegno della affermata irrilevanza penale della condotta (relative, ad esempio, ad una diversa qualificazione giuridica della condotta in contestazione), o se la violazione di legge sia stata denunciata solo attraverso il generico richiamo alla parziale depenalizzazione dell’art. 29 quaterdecies D.Lgs. n. 152/2006.

Stando a ciò che emerge dalla ricostruzione dei profili di merito, l’interpretazione della Suprema Corte appare lineare e priva delle potenziali criticità interpretative che alcuni commenti avevano evidenziato, dopo l’intervento legislativo del 2014, in merito alle violazioni delle prescrizioni in materia di rifiuti.

In particolare, autorevole dottrina si era interrogata, propendendo per una soluzione affermativa, in ordine all’inclusione, nell’ipotesi di cui al comma 3, lettera b), della gestione di rifiuti diversi da quelli previsti nell’A.I.A.[vii]: problema che non si è posto, nel caso di specie, trattandosi di oli esausti espressamente contemplati nell’autorizzazione; o ancora, ci si era chiesti – dando atto della risposta affermativa della giurisprudenza[viii] – se fosse corretto attribuire la responsabilità del reato al titolare dell’A.I.A. che non avesse la materiale disponibilità dell’installazione, e dunque non fosse nelle condizioni di rispettare le prescrizioni gestionali contenute nell’autorizzazione[ix]: anche su questo profilo nulla quaestio, non essendo emersa una differenza soggettiva tra titolare dell’autorizzazione e gestore dell’impianto.

La linearità della vicenda ha dunque condotto la Suprema Corte a dichiarare l’inammissibilità del ricorso già in fase di disamina preliminare da parte della Sezione Settima, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, in aggiunta alle spese processuali.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte di Cassazione) cliccare sul pdf allegato

Marini_cass. pen. 27171-2019

SCARICA L’ARTICOLO IN VERSIONE PDF

Marini 27171-2019

[i] Analogo vizio era stato denunciato con il secondo e ultimo motivo di ricorso, relativo alla concessione d’ufficio della sospensione condizionale della pena, parimenti dichiarato inammissibile.

[ii] Si riporta di seguito, per completezza, il testo vigente del terzo comma:

3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da € 5.000 a € 26.000 nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente nel caso in cui l’inosservanza:

  1. a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’articolo 29 decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa;
  2. b) sia relativa alla gestione di rifiuti;
  3. c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa”.

[iii] In particolare, alla pena dell’ammenda da € 5.000 a € 26.000 è subentrata la sanzione amministrativa pecuniaria da € 1.500 ad € 15.000.

[iv] Si riporta di seguito, per agio di lettura, anche il testo vigente del quarto comma:

4. Nei casi previsti al comma 3 e salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la pena dell’ammenda da € 5.000 a € 26.000 e la pena dell’arresto fino a due anni qualora l’inosservanza sia relativa:

  1. a) alla gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati;
  2. b) allo scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla Parte Terza;
  3. c) a casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa;
  4. d) all’utilizzo di combustibili non autorizzati”.

[v] Corte Cass. pen., Sez. III, 9 gennaio 2018, n. 221.

[vi] Corte Cass. pen., Sez. III, 16 aprile 2018, n. 16673.

[vii] A. Macrillò (a cura di), I nuovi reati ambientali – Le risposte giurisprudenziali alla L. 22 maggio 2015, n, 68, Roma, 2017, p. 121.

[viii] Corte Cass. pen., Sez. III, 27 febbraio 2014, n. 9614.

[ix] C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2016, p. 230.

Scritto da