Inosservanza delle autorizzazioni ambientali: (ancora) sui profili di offensività nei reati di pericolo astratto

30 Set 2022 | giurisprudenza, penale

di Elisa Marini

CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 29 aprile 2022 (dep. 14 giugno 2022), n. 23091 – Pres. Andreazza, Est. Scarcella– ric. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti (in proc. a carico di G.G.)

In tema di violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata per la gestione di rifiuti, il giudizio sull’offensività “in concreto” può risolversi a favore dell’autore del fatto esclusivamente quando la condotta tenuta dall’agente non presenti, neppure in grado minimo, l’attitudine a mettere in pericolo l’interesse tutelato. A questo fine, la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto va retrocessa al momento della condotta secondo un giudizio prognostico ex ante, essendo irrilevante l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione.

  1. La vicenda in commento ed i motivi di ricorso

La vicenda alla base della sentenza in commento, nella sua semplicità e – se vogliamo – “banalità”, offre lo spunto per una delle riflessioni più interessanti, ed evidentemente mai sopite, che coinvolgono i fondamenti del diritto penale ambientale sotto il profilo sostanziale.

Dall’impugnazione, da parte della Procura della Repubblica di Asti, di una sentenza di assoluzione emessa sulla contravvenzione forse più largamente contestata nella prassi, ossia quella di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata per la gestione dei rifiuti, è discesa una pronuncia della Corte di Cassazione che, nell’accogliere le argomentazioni alla base del ricorso, è nuovamente tornata ad affrontare la questione relativa alla “perimetrazione” dell’offensività nei reati di pericolo astratto.

Attraverso la censura di una sentenza che aveva ritenuto priva di profili di offensività l’imputazione relativa al collocamento ed al mantenimento di rifiuti (si trattava, precisamente, di trattori agricoli) in aree non autorizzate di uno stabilimento (cioè diverse da quelle destinate allo stoccaggio di veicoli fuori uso) e per un periodo superiore a quello consentito dall’autorizzazione, il Procuratore della Repubblica di Asti denunciava il vizio di violazione di legge – e quello, correlato, di motivazione – in un unico ed articolato motivo, che atteneva all’(asseritamente) erroneo processo di accertamento dell’offensività della condotta ascritta all’imputato.

Ad essere posto alla base del ricorso è stato, infatti, il percorso argomentativo seguito dal Giudice di primo grado, che – secondo la prospettazione del ricorrente – dopo aver richiamato la consolidata giurisprudenza secondo la quale, in relazione ai reati di pericolo, la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto dovrebbe avvenire al momento della condotta “secondo un giudizio prognostico “ex ante”, dovendo essere probabile, secondo l’id quod plerumque accidit, che alla condotta consegua l’evento lesivo, essendo irrilevante l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione”, si sarebbe discostato da tali principi procedendo ad una “valutazione fondata sulla riscontrata assenza di lesione al bene protetto che ha tenuto conto della situazione così come evolutasi in epoca successiva all’accertamento del reato”.

Un “problema”, dunque, legato al merito delle argomentazioni addotte a sostegno della pronuncia di assoluzione, che avrebbero fatto leva su valutazioni effettuate ex post, anziché ex ante, rispetto ad un reato di pericolo astratto come quello in contestazione.

  1. Le conclusioni della Suprema Corte

La Suprema Corte, investita del ricorso, ha preso posizione sui rilievi sollevati dal Pubblico Ministero, condividendoli integralmente.

Difatti, è stato affermato che, per quanto sia corretto sostenere che al giudice di merito non sia precluso il compito di verificare, anche nei reati di pericolo astratto, la sussistenza di un seppur minimo profilo di offensività in concreto[i], il P.M. ricorrente avrebbe giustamente rilevato “che in nome del principio di offensività “in concreto”, non è consentito trasformare i reati di pericolo astratto (o presunto) in reati di pericolo concreto (e tantomeno di danno): pertanto, da un lato la verifica dell’offensività “in concreto” non può essere svolta tenendo conto della situazione che si palesa “dopo” la commissione del reato; dall’altro lato, non si può neppure indagare se la condotta (posta in essere in formale violazione di legge) fosse, in origine, tale da esporre a “concreto pericolo” il bene giuridico[ii].

Secondo la Cassazione, il Tribunale, analizzando lo stato dei luoghi ove i mezzi vennero collocati ed il complessivo contesto della vicenda, avrebbe dimostrato di aver valutato i fatti da una prospettiva ex post, anziché ex ante, tenendo dunque conto – contrariamente a quanto avrebbe potuto e dovuto fare, rispetto al reato in oggetto – dell’effettivo evolversi della situazione, e cioè dall’assenza di qualsivoglia effettiva lesione al bene giuridico tutelato dalla norma in contestazione, che sarebbe però stata riscontrata solo in seconda battuta, anziché dal principio.

Rispetto alla violazione relativa alla collocazione dei trattori fuori uso in un’area diversa da quella indicata nell’autorizzazione, la sentenza ha stabilito che, essendo lo scopo della prescrizione violata quello di impedire la “confusione tra veicoli di tipologia e pericolosità diverse, sia per la migliore gestione dell’impresa sia per l’efficacia dei controlli amministrativi”, il Tribunale avrebbe dovuto stabilire se, nel momento in cui i mezzi in attesa di bonifica furono posizionati in un’area dello stabilimento diversa da quella prescritta, la situazione fosse tale da “attualizzare” il rischio per l’ambiente in funzione del quale la P.A. aveva imposto la prescrizione disattesa.

Rispetto, invece, alla contestazione riferita alla permanenza dei medesimi veicoli presso l’impianto per un periodo superiore a quello consentito, il Tribunale avrebbe errato, di fatto omettendo di motivare, nel momento in cui ha sostenuto che la collocazione dei mezzi, anche se non conforme alla disciplina autorizzatoria, “risultava comunque tale da escludere la sussistenza di un evidente pericolo di inquinamento dell’ambiente in caso di eventuali perdite di fluidi o altre sostanze”, in quanto, nella prospettiva ex ante, “occorreva prima di tutto indagare sulla reale funzione protettiva spettante alla prescrizione” (che non sarebbe stata quella di evitare l’inquinamento dell’ambiente in caso di eventuali perdite di fluidi o altre sostanze), e soltanto dopo, eventualmente, “stabilire se la condotta concretamente iniziata alla scadenza del termine legale fosse tale da attualizzare il rischio (presunto) per l’ambiente, per fronteggiare il quale era stata imposta la specifica prescrizione inadempiuta”.

In definitiva, ad avviso della Corte, “l’indagine deve essere condotta collocandosi ex ante e accertando la presenza di elementi concreti e non meramente ipotetici o congetturali che, secondo la migliore scienza ed esperienza facciano ritenere probabile che il comportamento specificamente realizzato esprima quella situazione pericolo per il bene giuridico corrispondente a quella assunta nella norma penale quale ratio dell’incriminazione”.

Concordando, sul punto, con il P.M. ricorrente, la pronuncia in commento ha concluso affermando che il giudizio sull’inoffensività in concreto può risolversi a favore dell’autore del fatto esclusivamente quando la condotta tenuta dallo stesso non presenti, neppure in grado minimo, l’attitudine a mettere in pericolo l’interesse tutelato dalla norma.

  1. Osservazioni sull’offensività in astratto e in concreto

La pronuncia in commento impone alcune riflessioni, se raffrontata con il contenuto delle sentenze emesse dalla Corte Costituzionale (e richiamate dalla Suprema Corte), nelle plurime occasioni in cui essa ha avuto modo di confrontarsi con le fattispecie di reato di pericolo astratto.

Proprio dalla disamina dei menzionati provvedimenti, non può non notarsi come l’interpretazione della Corte di Cassazione sulla “modalità di valutazione” della portata offensiva delle contravvenzioni “formali” sia quanto meno rigida, e non del tutto coerente con le linee-guida tracciate dalla Consulta.

Particolarmente significativo appare il dettato di uno degli arresti citati nella pronuncia in commento[iii], che ha chiarito in modo assolutamente puntuale i due differenti profili applicativi del principio di offensività, attraverso il diverso sindacato che compete, da un lato, al Giudice Costituzionale, e, dall’altro, al Giudice ordinario: in particolare, riprendendo testualmente le parole del Giudice delle Leggi, “Spetta alla Consulta – tramite lo strumento del sindacato di costituzionalità – procedere alla verifica dell’offensività “in astratto”, acclarando se la fattispecie delineata dal Legislatore esprima di per sé un reale contenuto offensivo (…). Ove tale condizione risulti soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa resta affidato al Giudice ordinario, nell’esercizio del proprio potere ermeneutico (offensività “in concreto”)”.

Secondo alcuni commenti, proprio sulla base di tali statuizioni della Consulta, “l’offensività in concreto deve essere sempre oggetto dell’imprescindibile valutazione del Giudice ordinario, che non può limitarsi ad una mera valutazione di compatibilità astratta tra la fattispecie concreta e quella normativa, ma deve tendere all’apprezzamento della concreta potenzialità lesiva di quanto oggetto della contestazione[iv].

Ebbene, a fronte di siffatte premesse, le considerazioni della sentenza in oggetto, così ancorate alla ribadita necessità di una valutazione ex ante, non paiono esenti dal rischio di attagliarsi ad una valutazione di carattere (per l’appunto) astratto: proprio in base alle citate linee-guida della Corte Costituzionale (che ribadiscono precedenti ed analoghe statuizioni[v]), la decisione in commento è pervenuta a censurare una sentenza di merito che invece, da quanto è dato evincere dalle critiche che le sono state mosse, parrebbe aver fatto buon governo dei principi espressi e ribaditi dalla giurisprudenza costituzionale, argomentando i motivi della propria decisione sull’esistenza (negata) dell’offensività nel caso concreto.

Si pone, inoltre, un altro tema: se, con riferimento ai reati di pericolo astratto, dovesse effettivamente considerarsi preclusa, al Giudice di merito, qualsiasi valutazione effettuata ex post, sulla base delle circostanze emerse dopo l’accertamento della violazione, gli resterebbero, sostanzialmente, due possibilità: da un lato, prescindere completamente dal canone dell’offensività in concreto, limitandosi – di fatto – a constatare la sussistenza della violazione di carattere formale; dall’altro, sollevare questioni di legittimità costituzionale in ordine alle fattispecie ambientali di pericolo astratto/presunto[vi], o comunque – come nel caso specie – “indagare sulla reale funzione protettiva spettante alla prescrizione”.

La sentenza in commento, di fatto, concretizza – ed in qualche modo legittima – il rischio di addebiti automatici, svincolati dal rispetto dei canoni di offensività e proporzionalità che devono necessariamente caratterizzare l’attribuzione della penale responsabilità al soggetto al quale si ascrive la violazione della prescrizione.

Non a caso, la richiamata dottrina ha evidenziato come alcune pronunce – in particolare in materia di avvelenamento di acque o sostanze alimentari di cui all’art. 439 c.p. – abbiano (correttamente) valorizzato il principio di offensività in concreto anche con riferimento ai reati che, per formulazione, ricadrebbero nelle ipotesi di reato di pericolo presunto o astratto, in ossequio al sopra richiamato ed assolutamente consolidato insegnamento della Consulta[vii].

Eppure, nonostante l’espressa menzione dei suddetti dettami, nel caso che ci occupa la Corte di Cassazione – a parte qualche “dichiarazione d’intenti” – parrebbe essersi posta nella direzione opposta da quella delineata in ambito costituzionale, e ancora improntata ad un sostanziale formalismo.

Pur affermando, in termini generali, la necessità di valutare la portata offensiva della contestazione legata al mancato rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione ambientale, sono state espresse considerazioni che difficilmente possono escludere l’equiparazione tout court tra accertamento della violazione e attribuzione della penale responsabilità: ad esempio, nel momento in cui si è sottolineato (richiamando un precedente citato nella sentenza impugnata[viii]) che il destinatario della prescrizione è comunque responsabile anche se adotta misure diverse, ma di efficacia equivalente, a quelle imposte dalla P.A. (ribadendo, in tal modo, che il giudizio sull’offensività della condotta non dipende da ciò che in concreto sia stato realizzato e dalla potenziale lesione del bene giuridico tutelato).

È pur vero che – in particolare rispetto alla violazione relativa alla collocazione dei veicoli non conforme alla disciplina autorizzatoria – la sentenza ha tentato di esemplificare quella che avrebbe potuto essere una corretta valutazione operata ex ante, ma tale operazione si è, di fatto, risolta in una valutazione di merito sulla prescrizione alla base dell’imputazione[ix].

Al di là della ufficiale apertura ad una soluzione che, attraverso l’eliminazione di qualsivoglia apporto motivazionale derivante da una valutazione ex post, possa evitare indebiti automatismi nell’attribuzione della penale responsabilità, la sentenza non pare aver offerto una soluzione convincente nel superare le criticità tipiche dei reati di pericolo astratto, in cui il pericolo costituisce la ratio delle fattispecie incriminatrici, in quanto insito nelle condotte dalle stesse descritte.

In conclusione, si potrebbe affermare che ad un pericolo astratto che caratterizza i reati ambientali consistenti nel mancato rispetto delle prescrizioni, ne corrisponda uno, assolutamente concreto, di rendere superflua qualsivoglia indagine di merito (o di ammettere indagini di merito meramente “apparenti”), ritenendo sostanzialmente sufficiente la conformità tra fatto concreto e fattispecie astratta.

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RGA Online – Marini – contributo ottobre 2022 (def.)

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato.

Cass. III, 23091_2022 (Marini)

NOTE

[i] Sul punto, la sentenza ricorda come la Corte Costituzionale abbia più volte affrontato il problema del rispetto del principio di offensività nei reati a tutela anticipata, affermando “la legittimità delle fattispecie di pericolo astratto purché la valutazione legislativa della pericolosità di una classe di comportamenti non sia arbitraria e irrazionale (c.d. offensività in astratto) ed il giudice eviti di applicare la norma penale a fatti del tutto privi di potenzialità lesiva (c.d. offensività in concreto)”.

Sulle considerazioni della Consulta si dirà più compiutamente nel paragrafo conclusivo.

[ii] Nello stesso senso si sono espresse una serie di pronunce, richiamate da quella in commento, che hanno sostenuto come la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto vada retrocessa al momento della condotta, secondo un giudizio prognostico “ex ante”, essendo irrilevante l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione. Si vedano, in proposito, Corte Cass. pen., Sez. III, 23 maggio 2012, n. 19439 e Corte Cass. pen., Sez. III, 1° febbraio 2019, n. 4973.

[iii] Si tratta della sentenza n. 225 emessa l’11 giugno 2008.

[iv] Si rimanda, in proposito a G. Lageard – D. De Lorenzo, “Il principio di offensività nei reati di pericolo contro l’incolumità pubblica: finalmente una inedita conferma anche con riguardo al reato di somministrazione di farmaci imperfetti”, in Giurisprudenza Penale, 2019, 11, p. 3.

Per ulteriori approfondimenti in dottrina, R. Garofoli, Manuale di diritto penale parte generale, p. 609 ss.

[v] Ex multis si richiamano le sentenze n. 265 del 25 giugno 2005, n. 263 del 6 luglio 2000, n. 519 dell’11 novembre 2000, n. 360 del 13 luglio 1995.

[vi] La questione di legittimità costituzionale potrebbe essere sollevata in relazione dell’art. 25, secondo comma della Costituzione, al quale viene collegata – come rilevato dalla Consulta nella menzionata pronuncia n. 225/2008 – “l’esigenza di rispetto del principio di necessaria offensività del reato, (…) in una lettura cui fa da sfondo “l’insieme dei valori connessi alla dignità umana” (sentenza n. 263 del 2000)”.

[vii] G. Lageard – D. De Lorenzo, op. e loc. cit., hanno fatto riferimento alle statuizioni della giurisprudenza di merito e di legittimità nelle note vicende giudiziarie dei siti di Bussi sul Tirino e Spinetta Marengo.

[viii] Si tratta di Corte Cass. pen., Sez. III, 21 maggio 2008, n. 20277, che aveva affermato come un reato di pericolo “si verifica con la semplice inosservanza di una prescrizione prevista nell’autorizzazione, sia che la prescrizione discenda da previsioni legislative recepite nell’autorizzazione, che da prescrizioni integrative inserite dall’autorità amministrativa indipendentemente da una previsione di legge”, dichiarando dunque del tutto legittima l’impugnata pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto configurabile il reato per la semplice inosservanza della prescrizione.

[ix] Tale considerazione si desume dalla parte della motivazione, che per agio si riporta, in cui la Suprema Corte analizza la ratio della prescrizione: “Infatti, nella prospettiva ex ante occorreva prima di tutto indagare sulla reale funzione protettiva spettante alla prescrizione (…) che, come correttamente sottolinea il PM nel ricorso (…) poteva essere quella di impedire il sovraccarico ambientale dovuto allo stazionamento di veicoli pericolosi…”. 

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