di Ginevra Ripa
CASSAZIONE PENALE, Sez. III – 5 aprile 2022 (dep. 21 giugno 2022), n. 23845 – Pres. Liberati, Est. Corbo – ric. M.L.
La Corte di Cassazione ribadisce la natura pericolosa dei rifiuti costituiti da oli esausti e liquidi di batterie in relazione ai presidi di sicurezza da predisporre in caso di deposito temporaneo.
- La vicenda oggetto del procedimento e i motivi di ricorso
La sentenza in commento, emessa nell’ambito di un procedimento di riesame originato da un sequestro probatorio, si è espressa in modo molto netto sulle doglianze del ricorrente in merito all’ipotesi di reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata.
La vicenda processuale, non particolarmente complessa, riguarda un decreto di sequestro probatorio di «un locale in cui erano depositati rifiuti nonché il materiale presente» emesso nei confronti del ricorrente e confermato dal Tribunale di Crotone in sede di riesame.
Nel secondo motivo di impugnazione avanti la Corte di Cassazione ci si doleva, per quanto qui di interesse, della violazione di legge con riferimento agli artt. 324 e 125 c.p.p. e 256, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 152/2006, nonché del vizio di motivazione con riferimento all’art. 606, comma 1 lett. c) c.p.p., in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti.
Il presupposto di tale motivo di ricorso muoveva dalla non corretta individuazione, da parte del Tribunale del riesame, del tipo di materiale rinvenuto nel locale sottoposto al provvedimento, costituito da un mero deposito temporaneo di scarti provenienti dall’attività lavorativa in attesa di essere smaltiti. Questi, poi, non avevano determinato un impatto ambientale poiché si trovavano all’interno dei locali aziendali.
Infine, il ricorrente evidenziava la mancanza di una organizzazione dell’attività di deposito dei rifiuti oltreché di riferimenti quantitativi in ordine a questi ultimi, con la conseguenza di una condotta penalmente irrilevante in quanto occasionale.
- La decisione e le argomentazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile e giudicando entrambi i motivi di gravame infondati.
Il primo motivo riguarda una questione esclusivamente processuale, relativa alla perentorietà del termine di uno o cinque giorni per la trasmissione degli atti dall’Autorità procedente al Tribunale del riesame nel caso di provvedimenti di sequestro.
Con riguardo al secondo motivo, la Corte ha innanzitutto richiamato il principio «assolutamente consolidato» secondo il quale il ricorso per Cassazione di ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge e dunque non permette una disamina di merito sulla sussistenza del fumus commissi delicti. In ogni caso, i Giudici di legittimità hanno concentrato le proprie argomentazioni sulla nozione di deposito temporaneo e poi sulla natura dei materiali rinvenuti.
In particolare la Corte, con molteplici richiami a precedenti giurisprudenziali uniformi, ha condiviso, con riguardo al deposito temporaneo, la definizione di «raggruppamento di rifiuti e del loro deposito preliminare alla raccolta ai fini dello smaltimento, per un periodo non superiore all’anno o al trimestre (ove superino il volume di 30 metri cubi), nel luogo in cui gli stessi sono materialmente prodotti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore e dotato dei necessari presidi di sicurezza». Nel caso di specie, stando agli atti, l’indagato titolare dell’impresa (una officina meccanica) era risultato privo del registro rifiuti debitamente compilato e vidimato.
È stata inoltre ritenuta valida l’argomentazione del Tribunale territoriale a quo secondo la quale la disposizione dei materiali portava a ritenere sussistente il fumus del reato contestato all’indagato; essi, infatti, si trovavano in parte all’interno di una fossa di ispezione per veicoli coperta da assi di legno e in parte in un locale attiguo all’officina, parzialmente per terra e parzialmente in un bidone metallico, non adeguatamente presidiati né raggruppati in modo omogeneo.
La pronuncia in commento si è poi soffermata sul tipo di materiale rinvenuto e sequestrato, facendone un elenco corredato dai relativi codici CER: i filtri di olio riconducibili al codice CER 160107 ed i filtri esausti di olio per veicoli riconducibili al codice CER 1302 e seguenti sono emersi tra gli altri quali rifiuti pericolosi.
Di conseguenza, la sentenza ha insistito sulla correttezza della ordinanza impugnata, anche con riguardo alla sussistenza del fumus commissi delicti contestata dal ricorrente.
- Brevi considerazioni
La sentenza in commento si pone, senza particolari novità, nel solco di un orientamento ormai consolidato – e alquanto scrupoloso – nella individuazione dei parametri di legittimità del deposito temporaneo, che nel caso di specie ha coinvolto materiali classificati come rifiuti pericolosi. Tale precisione nella delimitazione del perimetro del deposito temporaneo si pone quale contrappeso rispetto alla circostanza per cui il Legislatore non ha previsto la necessità di una autorizzazione preventiva per effettuarlo.
Come noto, il deposito temporaneo in attesa di smaltimento è disciplinato dall’art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006. Esso deve innanzitutto avvenire nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti; i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al Regolamento (CE) 850/2004 devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno e deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti, nonché, nel caso di rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose contenute e delle norme che regolano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose.
Nel caso in esame la Corte, con argomentazioni strettamente aderenti alla normativa di cui all’art. 185 bis D.Lgs. n. 152/2006, ha evidenziato la carenza di molti dei requisiti poc’anzi elencati. In particolare, con riguardo alla tipologia di materiale rinvenuto nel locale sequestrato – si rammenta, una officina meccanica – i Giudici di legittimità hanno evidenziato categorie di rifiuti senz’altro pericolosi, costituiti da oli esausti e liquidi di batterie, di cui sono stati indicati anche i relativi codici CER, presenti nell’elenco di cui all’allegato D della Parte Quarta del D.Lgs. n. 152/2006 e contrassegnati da asterisco.
L’implicito riferimento è, ancora una volta, rigorosamente normativo e specificamente all’art. 184 D.Lgs. n. 152/2006, il quale al comma 5 stabilisce che «L’elenco dei rifiuti di cui all’allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi». Laddove i materiali rinvenuti rispettino la definizione di cui all’art. 184 T.U.A. e debbano considerarsi rifiuti, sono dunque rifiuti pericolosi.
È stata censurata la mancanza di adeguati presidi di sicurezza; chi intenda porre in essere un deposito temporaneo, invero, deve necessariamente prevedere l’imballaggio, l’etichettatura e la separazione dei rifiuti pericolosi dagli altri materiali. In particolare, secondo quanto previsto dalla Deliberazione del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984, i recipienti fissi e mobili contenenti rifiuti pericolosi in stoccaggio provvisorio devono essere contrassegnati con etichette o targhe che rendano note la natura e la pericolosità dei materiali. Inoltre, se il deposito avviene all’esterno, essi devono essere adeguatamente protetti dagli agenti atmosferici mediante la predisposizione di opportuni presidi (quali ad esempio tettoie o reti metalliche).
Stando alla documentazione fotografica agli atti – ed alla ricostruzione offerta nella sentenza, al contrario, i filtri di olio erano riposti unitamente a rottami di veicoli, coperti solo parzialmente da assi di legno.
Occorre rilevare, poi, che quand’anche l’Autorità procedente fosse incorsa in errore nella classificazione dei rifiuti oggetto di sequestro probatorio, il ricorrente non avrebbe in ogni caso rispettato i parametri di legittimità del rifiuto temporaneo per la violazione dell’art. 208, comma 17 D.Lgs.n. 152/2006, che stabilisce l’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico, non presente agli atti del procedimento.
E l’inadempimento anche solo di una delle riferite condizioni di legittimità del deposito temporaneo determina l’applicabilità delle sanzioni previste per l’abbandono dei rifiuti e per la gestione non autorizzata di cui all’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006.
In ogni caso, trattandosi di una impugnazione di un provvedimento di sequestro probatorio, l’oggetto della disamina della Corte territoriale e poi di Cassazione ha riguardato la sussistenza del fumus commissi delicti e, dunque, dell’astratta sussumibilità del fatto contestato negli illeciti ipotizzati dal Pubblico Ministero; fisiologicamente, un accertamento meno ampio e rigoroso di quello che verrà svolto all’esito di due gradi di giudizio.
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RGA Online – Ripa – contributo ottobre 2022 (rev.)
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