Il reato di impedimento del controllo tra clausola di chiusura ed esigenze di tassatività

01 Giu 2024 | giurisprudenza, penale

Cassazione Penale, Sez. III – 15 novembre 2023 (dep. 18 marzo 2024), n. 11166

Il reato di impedimento del controllo è norma a più fattispecie che, nel primo periodo punisce chiunque impedisca, intralci o eluda l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro realizzando le condotte vincolate di negazione dell’accesso, di ostacolo e di immutazione artificiosa dello stato dei luoghi; nel secondo, attraverso una clausola di chiusura, reprime qualsivoglia condotta dotata di efficacia causale rispetto alla compromissione degli esiti della medesima attività di vigilanza.

  1. Il caso.

Per una serie di ragioni, che emergono progressivamente dalla lettura della sentenza[i], il proprietario di un’azienda agricola impediva lo svolgimento dell’attività istituzionale di verifica di cui erano stati incaricati alcuni operanti, ai quali era negato l’accesso alla zona da sottoporre ai controlli.

Ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 452 septies c.p., l’imputato proponeva ricorso per cassazione articolando due motivi. Con il primo, sotto il cappello del vizio della motivazione, sosteneva che, in realtà, non vi era stata consapevolezza nell’impedire l’accesso ai luoghi da sottoporre all’attività di vigilanza. Attraverso a una diversa lettura delle risultanze istruttorie, infatti, si sarebbe potuto comprendere che il processo penale era scaturito a causa di una mera incomprensione con i soggetti incaricati di compiere le verifiche.

Con il secondo motivo, invece, deduceva la violazione di legge, con riferimento all’art. 131 bis c.p., sostenendo che la condotta illecita contestata non avrebbe causato alcun danno, in quanto i soggetti incaricati di compiere l’attività di vigilanza avrebbero comunque potuto accedere ai luoghi e, pare di comprendere, la mancanza di collaborazione da parte dell’imputato sarebbe stata, in qualche modo, giustificabile.

  • La decisione.

Nel sancire l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, in forza di un noto e consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione spiega che la motivazione posta a sostegno della condanna dell’imputato, da ritenere coerente e puntuale, si conforma al dettato normativo di cui all’art. 452 septies c.p. Tal norma, osserva il giudice di legittimità, delinea una fattispecie a forma vincolata, nel primo periodo, e a forma libera, nel secondo periodo, ove, attraverso una clausola di chiusura, viene repressa ogni condotta che abbia un’efficacia causale rispetto alla compromissione degli esiti delle attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro.

La fattispecie di cui al secondo periodo del citato art. 452 septies è tanto ampia, prosegue la Corte, da poter ricomprendere le forme più varie e anche quelle “tipiche” di intralcio o ostacolo all’espletamento di controlli ambientali, tra cui la creazione di cd. by pass per gli scarichi, l’occultamento o la dissimulazione di operazioni di diluizione di acque, rifiuti o reflui o, ancora, l’alterazione dello stato dei luoghi.

Si è dunque in presenza di un reato che crea un danno alle funzioni di controllo e di vigilanza, impedite e compromesse nei loro risultati finali, ma anche un pericolo indiretto per il bene finale ambiente, che risente dell’ostacolo frapposto all’efficace svolgimento delle funzioni amministrative strumentali alla sua difesa. Ed è proprio in ragione di tale strumentalità che le funzioni indicate dall’art. 452 septies c.p. devono ritenersi comprensive di ogni forma di vigilanza e controllo senza che rilevi se l’organo incaricato di svolgere le verifiche sia, o meno, specializzato nella tutela dell’ambiente.

Riguardo al secondo motivo, dichiarato parimenti inammissibile, la Corte di Cassazione, nei limiti di quanto è qui di interesse, ha osservato che non può essere riconosciuta la lieve entità del fatto in presenza di rifiuto che, rendendo impossibile il controllo nella data prescelta dagli operanti, ha consentito una successiva modifica dello stato dei luoghi.

  • Conclusioni.

Nel rispondere alle argomentazioni dedotte dal ricorrente la Corte, seppur in presenza di un’impugnazione inammissibile, ha compiuto, a quanto risulta per la prima volta, una ricognizione complessiva sui tratti essenziali del reato di cui all’art. 452 septies c.p. mettendone a fuoco, anzitutto, la natura di norma a più fattispecie[ii].

Nella prima sono previsti gli eventi di impedimento, di intralcio e di elusione, da tenere distinti rispetto alla negazione dell’accesso, alla predisposizione di ostacoli e al mutamento artificioso dei luoghi, che rappresentano le condotte vincolate attraverso cui tali eventi possono essere integrati[iii].

Come osservato in dottrina[iv], tale distinzione non riveste una valenza esclusivamente formale e sistematica, ma assolve a una funzione di garanzia nella misura in cui impone un doppio controllo, prima, sull’esistenza oggettiva delle condotte di negazione dell’accesso, di ostacolo e di immutazione, poi, sull’idoneità offensiva delle stesse. Breve: appurato che la condotta dell’agente costituisce effettivamente un ostacolo, si dovrà poi verificare se detto ostacolo abbia inciso sull’attività di vigilanza impedendola o intralciandola. A riguardo, si è osservato che gli eventi di impedimento, intralcio ed elusione contestualizzano la condotta rispetto all’attività di vigilanza, che deve, pertanto, risultare pregiudicata per effetto dell’azione del soggetto agente[v].

Se per la definizione di impedimento e di intralcio non sono emerse particolari questioni esegetiche, consistendo il primo in un’impossibilità vera e propria di compiere l’attività di vigilanza e il secondo in un evento di minore intensità che si frappone al compiuto svolgimento dei controlli, l’elusione, invece, ha generato maggiori dubbi interpretativi. In dottrina, infatti, vi è chi ha ricondotto il concetto in esame a una categoria residuale e tendenzialmente omnicomprensiva di ogni condotta che ostacoli tempi e modi di efficiente accesso ed ispezione dei luoghi[vi]. Altri, invece, hanno sostenuto che l’elusione miri a evitare l’emersione dei presupposti che determinano l’attivazione dei controlli, di conseguenza l’evento non si verificherebbe quando la vigilanza è già in essere – come nel caso dell’impedimento e dell’intralcio –, ma in una fase anticipata, quando ancora il soggetto agente non è stato neppure sottoposto a controllo[vii].

Su tali aspetti, oggetto di dibattito dottrinale, la sentenza in commento non offre spunti di sorta. La Corte, infatti, si è soffermata in modo particolare sulla fattispecie di cui al secondo periodo osservando, anzitutto, che la stessa contiene “una sorta di clausola di chiusura”, volta a rendere perseguibili penalmente tutte le condotte causalmente idonee a determinare l’evento della compromissione degli esiti dell’attività di controllo[viii].

Se questo primo rilievo appare del tutto coerente con il dato normativo, a destare qualche dubbio è, invece, il passaggio successivo, in cui il Giudice di legittimità riconduce alla fattispecie in esame le più variegate forme “di intralcio o di ostacolo all’espletamento di controlli ambientali”, tra cui, fra i diversi esempi, l’alterazione dello stato dei luoghi.

Dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che la preoccupazione della Corte di Cassazione è quella di rendere punibili forme di impedimento definite “tipiche”, non in senso di tipizzate, ma di conosciute e particolarmente diffuse, quali sono quelle indicate specificamente nella pronuncia. Tuttavia, nel tentativo di tracciare nella misura più ampia possibile i confini della clausola di chiusura di cui all’art. 452 septies secondo periodo c.p., il Giudice di legittimità fa riferimento a condotte ed eventi (l’intralcio) previsti dalla fattispecie del primo periodo e, soprattutto, orientati allo svolgimento dell’attività di vigilanza in sé e non ai risultati che ne sono conseguiti.

In altri termini, ciò di cui la Corte non sembra aver tenuto conto è che, per quanto si tratti di un reato a forma libera e vi sia un’ampia clausola di chiusura, nella fattispecie di cui al secondo periodo la condotta deve pur sempre incidere sugli esiti dell’attività di vigilanza e non sull’attività stessa. Nella fattispecie in esame, del resto, a rendere tipica la condotta è proprio l’idoneità causale rispetto alla compromissione dei risultati di un’indagine che l’Autorità ha svolto senza interferenze di sorta.

A voler trarre qualche spunto anche da un passaggio non così nitido della sentenza, si potrebbe ipotizzare che la Corte di Cassazione, sia pur implicitamente, abbia ammesso la sostanziale assonanza tra le condotte vincolate del primo periodo e quelle riconducibili alla fattispecie del secondo.

Resta il fatto che in presenza di una fattispecie connotata da una tipizzazione tanto debole[ix], qual è quella da ultimo citata, sarebbe stata auspicabile una maggiore precisione da parte della Corte di Cassazione e ciò al fine di garantire un bilanciamento più ponderato tra una comprensibile istanza di tutela e il pur sempre necessario rispetto del principio di tassatività.

Del resto, come già prospettato dalla dottrina[x], esiste il rischio che, attraverso un’interpretazione eccessivamente estensiva del termine “esito”, siano ricondotti alla fattispecie a forma libera anche comportamenti incidenti, non sui risultati, ma proprio sullo svolgimento dell’attività di vigilanza. A parere di chi scrive le modalità con cui è stato espresso il principio di diritto nella sentenza in commento non sono del tutto idonee a contenere tale rischio.

I successivi passaggi della pronuncia, invece, non offrono ulteriori spunti critici. Con riferimento alla configurazione della fattispecie come reato di danno, riconosciuta espressamente dalla Corte di Cassazione, si potrebbe solo aggiungere che, in concreto, il giudice sarà chiamato a valutare se sussista un pregiudizio manifestatosi, alternativamente, nelle forme dell’impedimento, dell’intralcio, dell’elusione e della compromissione dei risultati dell’attività di vigilanza. Questo genere di accertamento implica, ulteriormente, l’individuazione di uno specifico atto di verifica il cui compimento sia stato impedito e, a seconda dei casi, anche della relativa fonte normativa[xi].

Infine, la tesi secondo cui la norma incriminatrice in esame mira a tutelare la funzione amministrativa di vigilanza, quale bene giuridico autonomo e distinto rispetto a quelli ulteriori alla cui tutela essa stessa è preposta, trova conferma anche nella dottrina maggioritaria[xii]. La sentenza in commento sembra aggiungere che la norma, oltre al danno alle funzioni di vigilanza, sanziona, contestualmente, anche il pericolo indiretto causato al bene finale ambiente evidenziando il nesso strumentalità tra le prime e il secondo. E proprio in forza di tale strumentalità la Corte conclude affermando come le funzioni di vigilanza debbano essere intese nella forma più ampia e omnicomprensiva, interpretazione che pare coerente, tra l’altro, con le previsioni di cui agli artt. 318 ter e ss. D.Lgs. n. 152/2006, che accomunano organi di vigilanza, organi accertatori e polizia giudiziaria[xiii].

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NOTE:

[i] Il diniego all’accesso è motivato dal fatto che gli operanti si erano presentati all’ingresso della sua abitazione, in luogo di quello dell’azienda agricola, senza chiarire le ragioni per cui volevano accedere.

[ii] Si vedano C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla l. 22 maggio 2015 n. 68, Giappichelli, Torino, 2015, p. 42. P. Di Fresco, in A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte generale e speciale. Riforme 2008 – 2015, San Mauro, 2015, p. 1055. F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, Bologna, 2018, p. 226. Sembra invece propendere per una ricostruzione unitaria della fattispecie, a forma vincolata, la Relazione dell’Ufficio del Massimario n. IIII/04/2015, in www.cortedicassazioene.it.

[iii] Si veda F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 226.

[iv] Si veda F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 228.

[v] Si veda F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 227.

[vi] C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, cit., p. 43.

[vii] F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 230.

[viii] In dottrina si vedano C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, cit. p. 43. F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 226.

[ix] Si veda F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 229.

[x] Si veda F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 229.

[xi] Si veda F. Donelli, in L. Cornacchia, N. Pisani (diretto da) Il nuovo diritto penale dell’ambiente, cit. p. 228.

[xii] Si veda, in generale, sulla possibilità che sia tutelata la funzione di vigilanza come bene giuridico autonomo, G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale, I, Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Milano 2001, p. 551 e ss. Con riferimento al reato di cui all’art. 452 septies c.p., C. Ruga Riva, I nuovi ecoreati, cit., p. 44.

[xiii] Si veda sul punto G. Amendola, Ecoreati: il nuovo delitto di impedimento del controllo. Primi appunti, in lexambiente.it.

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