Il Nimby (not in my backyard) è incostituzionale: la Corte censura le Regioni

03 Nov 2022 | giurisprudenza, corte costituzionale, in evidenza 4

di Luciano Butti

CORTE COSTIZIONALE – 25 luglio 2022, n. 191 – Pres. Amato, Rel. Modugno – Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv.tura Stato) c. Regione Abruzzo (avv. Stefania Valeri)

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2020, n. 45 (Norme a sostegno dell’economia circolare e di gestione sostenibile dei rifiuti), nella parte in cui afferma, con validità per tutto il territorio regionale, la volontà di “non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento per i rifiuti urbani”.

Ancora una volta la Corte costituzionale è costretta a intervenire contro quelle regioni che, violando la competenza statale per la tutela dell’ambiente (art. 117 Cost), cercano di proibire senz’altro per legge la realizzazione di nuovi impianti di termovalorizzazione dei rifiuti urbani, a prescindere da ogni valutazione territoriale o impiantistica specifica.

Si tratta in modo palese di una forma di NIMBY (Not in My Backyard), vale a dire del tentativo – operato in questo caso a livello legislativo regionale – di spostare senz’altro fuori dal proprio territorio impianti sgraditi. Che se ne facciano cura altri.

Si tratta, inoltre, di una palese violazione della gerarchia europea sui rifiuti, che, come forme di smaltimento della frazione residua, preferisce l’incenerimento alla discarica. E’ evidente infatti che, allo stato attuale della tecnologia, una frazione residua di rifiuto urbano è inevitabile. Pretendere quindi che, in tutto il territorio di una regione, non vi sia nemmeno un inceneritore, significa di rassegnarsi ad optare – magari senza dirlo apertamente – per le due sole alternative a questa scelta. La prima è quella di proseguire con un utilizzo massiccio della discarica, in violazione delle norme europee e di ogni principio di buona pratica nella gestione dei rifiuti. La seconda è quella di mandare i rifiuti ad incenerimento, ma in un’altra regione o addirittura all’estero, via mare o via gomma; questa seconda ipotesi è, con ogni evidenza, persino peggiore della prima, in quanto l’incenerimento è preceduto da operazioni di trasporto estremamente costose ed estremamente inquinanti.

Nel caso che ci occupa, la Regione Abruzzo aveva previsto, con legge regionale, di non realizzare alcun impianto di incenerimento.

La Corte costituzionale ha accolto il ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per una serie di ragioni esplicitate in modo puntuale nella motivazione.

In primo luogo, ricorda la Corte che, ai sensi dell’art. 195, comma 1, lettera f), cod. ambiente, spetta allo Stato “l’individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese”, e ciò attraverso un programma adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, tenuto anche conto delle esigenze di “riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale”.

Trattandosi, nella specie, della localizzazione di particolari strutture – gli inceneritori – viene, inoltre, in rilievo l’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, ai sensi del quale il Presidente del Consiglio “individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale”. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica. Questo insieme di disposizioni ha trovato attuazione nel d.P.C.m. 10 agosto 2016.

Con la legge parzialmente impugnata, la Regione Abruzzo, vietando senz’altro l’introduzione nel proprio territorio di inceneritori, ha quindi invaso le attribuzioni dello Stato.

Già in precedenza, del resto, la Corte aveva pronunciato simili pronunce, con riferimento, ad esempio, ad analoghe disposizioni della regione Basilicata (sentenza n. 154 del 2016) e alla regione Marche (sentenza n. 142 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 231 del 2019). Insomma, il legislatore regionale si è inserito in un ambito che non gli pertiene: la valutazione della necessità di collocare un impianto di incenerimento nel territorio abruzzese è infatti compito dello Stato (vizio di incompetenza).

Inoltre, nel merito, sottolinea la Corte, la decisione politica della Regione Abruzzo (evitare la realizzazione dell’inceneritore nel proprio territorio) si pone in contrasto con quanto previsto nel d.P.C.m. 10 agosto 2016. Nell’individuare infatti il fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento, il decreto anzidetto aveva verificato che in Abruzzo un impianto sarebbe stato necessario.

Nel settore dei rifiuti, ad avviso di chi scrive, la migliore tutela ambientale si realizza attraverso una pianificazione complessiva delle esigenze di recupero e smaltimento degli scarti di produzione e di consumo. Fughe in avanti a livello locale, tendenti soltanto a spostare il problema lontano da casa, non sono degne di un paese civile.

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RGA.online.NIMBY.Cortecost.191.2022 (1)

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