Il carattere assoluto del vincolo di inedificabilità per le fasce di rispetto dei corsi d’acqua

21 Set 2020 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 3

di Federico Vanetti e Andrea Oggioni

Consiglio di Stato, Sez. II – 24 giugno 2020, n. 4052

Il vincolo di inedificabilità stabilito dall’art. 96, comma 1, lett. f), del R.D. 25 luglio 1904, n. 523 ha carattere assoluto ed inderogabile in quanto posto a tutela di interessi di rango pubblico primario quali la tutela delle acque e la sicurezza dei luoghi e non tollera affidamento dei privati alla sanatoria di opere edilizie eseguite in condizioni di fatto identiche ad interventi eseguiti nel passato. Se le normative locali di dettaglio ammettono interventi di conservazione – ed in alcuni casi anche ristrutturazione – del patrimonio esistente legittimamente assentito, la norma nazionale, applicabile in via residuale in assenza di norme speciali, non specifica se via siano attività permesso o se, di contro, qualsiasi attività edilizia sia incompatibile con il vincolo.

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha ribadito il carattere inderogabile e assoluto del vincolo di inedificabilità all’interno delle fasce di rispetto dei corsi d’acqua previsto dall’art. 96, lett. f), R.D. 25 luglio 1904, n. 523.

La norma di polizia idraulica menzionata, infatti, elenca le tipologie di lavori ed atti che sono vietati in modo assoluto su acque pubbliche, alvei, sponde e difese, tra cui sono menzionate “fabbriche e scavi” ad una distanza inferiore da quella stabilita dalle norme locali di dettaglio o dieci metri in loro assenza, vincolo che attiene alla tutela delle risorse idriche e alla sicurezza dei luoghi, anche in riferimento ai livelli di rischio idrogeologico che caratterizzano il territorio ed – in via preventiva – con riferimento ai rischi derivanti per la popolazione in presenza di fenomeni di esondazioni rilevanti[i].

Giova, infatti, ricordare, che la normativa nazionale qui esaminata rappresenta un vincolo di natura sussidiaria destinato ad essere applicabile solo in assenza di una normativa locale speciale in materia di polizia idraulica[ii].

Nel caso esaminato, il Consiglio di Stato ha confermato il diniego espresso dall’amministrazione competente circa domande di concessione in sanatoria aventi ad oggetto un ampliamento te ad ampliare un manufatto ricadente all’interna della fascia di tutela idrica.

La presa di posizione del giudice amministrativo, sotto un primo profilo, confermava i livelli di tutela inderogabili assicurati dalla norma di legge, non ritenendo configurato alcun profilo di legittimo affidamento circa l’esistenza di titoli edilizi rilasciati in passato per l’edificazione e la manutenzione del medesimo immobile, invero meritevoli di approfondimento ai fini dell’esercizio del potere di autotutela amministrativa.

Si noti, inoltre, che la normativa in questione è stata oggetto di ampia ed estesa interpretazione da parte del giudice amministrativo che ha inteso ricomprendere nell’ambito della locuzione “fabbriche e scavi” qualsiasi attività di trasformazione edilizia[iii].

Tale orientamento offre, infatti, lo spunto per domandarsi se e quali interventi siano consentiti su immobili legittimamente edificati e ricadenti – per circostanza sopravvenute di fatto o di legge – all’interno della fascia di rispetto idraulica di riferimento.

Sovente sono proprio le normative locali di dettaglio che prevedono la possibilità di intervenire sul patrimonio esistente ricadente all’interno della fascia di rispetto, ammettendo anche interventi sino alla ristrutturazione edilizia.

Sul punto, si noti che le modifiche normative intervenute nell’ultimo decennio hanno ampliato significativamente i caratteri tipologici degli interventi di ristrutturazione sino a ricomprendere la demolizione e ricostruzione di edifici con diversa sagome, sedime e prospetti[iv].

Comunque, in assenza di norme locali di dettaglio, occorre comprendere quali siano gli interventi edilizi legittimamente eseguibili sul patrimonio edilizio ammessi dalla norma nazionale.

Sicuramente, come avvenuto nel caso in commento, in presenza di richieste di sanatoria di opere abusive o di contestazione di provvedimenti di demolizione inerenti nuove realizzazioni o ampliamenti, prevale l’inderogabilità della disposizione di legge.

Di contro, interventi minori di manutenzione o restauro e risanamento conservativo (art. 3, comma 1, lett. a, b, c), DPR n. 380/2001), dovrebbero essere ritenuti ammissibili, atteso che prevale il carattere conservativo della struttura esistente, anche in un’ottica di decoro e sicurezza della stessa.

Maggiori criticità si riscontrano invece con riferimento alla ristrutturazione edilizia, che oggi ammette interventi di demo-ricostruzione e ampliamento ai fini di recupero e rigenerazione del tessuto urbano esistente.

Volendo applicare la normativa secondo criteri di logicità e ragionevolezza, si potrebbe sostenere che interventi di ristrutturazione eseguiti nel rispetto della struttura esistente (se pienamente legittima) siano ritenuti consentiti. Di contro, interventi di ristrutturazione maggiormente invasivi comportanti, oltre la demolizione, la modifica di determinate caratteristiche del fabbricato atte a far prevalere il carattere trasformativo e sostitutivo dell’intervento, si dovrebbero ritenere non eseguibili.

Si noti, però, che l’evoluzione della normativa alla luce degli interventi di semplificazione normativa adottati di recente, ammette la demolizione e ricostruzione di edifici nei limiti delle distanze preesistenti “qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini” (art. 2-bis, comma1-ter, DPR 380/2001)[v]. Sicché – mediante un’interpretazione estensiva della portata delle nuove disposizioni – si potrebbe anche giustificare un intervento di demo-ricostruzione di un edificio pianamente legittimo se eseguito nel rispetto della distanza dal corso d’acqua di riferimento.

Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).

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Note:

[i] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 29 novembre 2018, n.1141.

[ii] Cassazione civile, Sez. Un., 27 novembre 2019, n. 31022. Tale sentenza approfondisce ulteriormente il punto precisando che la norma locale, anche contenuta nello strumento urbanistico, debba essere espressamente destinata alla regolamentazione delle distanze dai corsi d’acqua mediante un approfondimento della situazione del reticolo idrico locale che giustifichi scelte differenti dal limite di 10 metri imposto dalla disciplina nazionale

[iii] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29 novembre 2019, n.8184 e TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 21 luglio 2016, n.241.

[iv] Si veda da ultimo le modifiche apportate dall’art. 10, comma 1, lett. b, n.2, Decreto Legge m. 76/2020, convertito in legge con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, all’art. 3, comma 1, lett. d), DPR n. 380/2001.

[v] Comma aggiunto dall’art. 5, comma 1, legge n. 55 del 2019 e sostituito dall’art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 120 del 2020 di conversione del decreto legge n. 76/2020.

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