La legittimità dei provvedimenti di cattura e abbattimento dei grandi carnivori secondo la giurisprudenza costituzionale e amministrativa
di Paola Brambilla
T.R.G.A. Trento – 31 luglio 2020, n. 26 – Pres. Rocco, Est. Tassinari – LAC, LAV, LNDC, LIPU, WWF e altri (avv. Linzola, avv. Stefutti), Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (avv. Stato), e altri c. Presidente Provincia Autonoma di Trento (Avv. Cattoni).
Secondo il TRGA trentino va sospesa per irragionevolezza, mancanza di proporzionalità e adeguatezza l’ordinanza che ordini l’abbattimento di un orso considerato pericoloso senza prendere in considerazione le altre misure previste per tali ipotesi della cattura a fini di radiomarcaggio o di captivazione permanente, specie in assenza di puntuale motivazione.
Quest’anno, oltre alla solita notizia feriale dell’avvistamento di una pantera nera nella bassa padana, i media hanno potuto incrementare le vendite con i titoli, a caratteri cubitali, dedicati agli orsi. Prima per l’aggressione di due cacciatori, a fine agosto, da parte di JJ4 (figlia di Jurka e Joze, capostipiti della reintroduzione nell’arco alpino della specie), poi per la rocambolesca fuga di M49 dalla sua prigione al Casteller e infine per l’attacco a un carabiniere da parte di M57 (questa è la nuova nomenclatura adottata dopo il 2009, dove M sta per maschio e il numero seriale è riferito alle cucciolate annotate).
Se i fatti sono stati letti, da una certa stampa e dalle autorità provinciali trentine come segnale di un eccessivo numero di orsi, e della loro problematicità e pericolosità, in gli esperti della materia vi hanno visto da un lato l’indiscusso successo riproduttivo raggiunto dalla specie, che testimonia l’efficacia del progetto di reintroduzione condotto a cavallo tra il 1999 e il 2002, dall’altro però la scarsa gestione delle attività previste per una corretta gestione del tema della convivenza tra grandi carnivori e attività umane, dall’altra.[i]
Ed è questo il tema che finalmente ha varcato i confini della letteratura specialistica e dei convegni per gli addetti ai lavori, per farsi spazio nelle aule giudiziarie.
In tutti questi casi, come nei tragici fatti del passato che hanno visto la morte di Daniza nelle operazioni di cattura, o l’uccisione di KJ2, o la ripetuta captivazione di M49, il Presidente della Provincia di Trento – l’areale in cui l’animale ha trovato il proprio habitat preferito – ha emanato ordinanze contingibili e urgenti di cattura, o di cattura e abbattimento, a cui si sono opposte per lo più le associazioni ambientaliste, e talvolta, specie in ultimo, anche il Ministro dell’Ambiente, con esiti processuali alterni.
Sebbene queste soluzioni ondivaghe possano sconcertare l’opinione pubblica, in realtà la lettura delle pronunce che si sono occupate delle varie fattispecie riesce a dare un’adeguata spiegazione dell’esito processuale.
Ma andiamo per ordine.
Il primo tema è quello della competenza all’adozione di misure che comportano misure derogatorie allo status di protezione assicurato all’orso dalla Convenzione di Berna, dalla direttiva 92/43 relativa alla conservazione della flora e della fauna selvatiche, dalla L. 157/1992 e dal d.P.R. 357/1997, Regolamento attuativo della direttiva Habitat.
Le Provincia di Trento, al riguardo, ha da sempre rivendicato un proprio potere di fare utilizzo dello strumento dell’ordinanza previsto dal proprio Statuto di cui al d.P.R. 670/1972, che contempla all’art. 52 comma 2, a favore del presidente della Provincia, per casi non limitati al territorio di un solo Comune, un potere di urgenza contingibile ed urgente.
Di tale potere aveva già fatto uso, nel 2011, appunto il Presidente della Provincia di Trento, per la cattura di DJ3, orsa confidente della Val d’Algone, nonostante il Ministero dell’Ambiente avesse rilasciato un’autorizzazione in deroga, secondo la procedura ordinaria prevista dall’art. 11, comma 2, del d.P.R. 357/97, condizionata all’immissione in natura di un altro esemplare di sesso femminile, come stabilito dal parere di ISPRA di cui per simili ipotesi è prevista l’acquisizione.
Ebbene, già in quella sede sia il TRGA Trento, con sentenza 70/2012, sia il Consiglio di Stato con sentenza 3007/2012, avevano ritenuto legittimo il provvedimento presidenziale, respingendo le censure ministeriali che avevano evidenziato come la Provincia non avesse agito in via ordinaria adempiendo all’autorizzazione, ma atteso colpevolmente la fine del letargo, per aggravare un’urgenza affrontata con poteri straordinari.[ii]
Della contraddittorietà della condotta si era peraltro reso conto il Consiglio di Stato, che vi ha dedicato qualche riga, per poi però ribadire che “nondimeno”, alla fine i presupposti per l’adozione dell’ordinanza emergenziale di rimozione sussistevano perché, anche se era trascorso diverso tempo dall’insorgenza del pericolo, lo stesso era comunque attuale, grave e imminente nel momento dell’adozione dell’atto impugnato, uscito per tale motivo dunque indenne dallo scrutinio di legittimità.[iii]
Già in questo contenzioso viene quindi apertamente convalidato il doppio binario tra autorizzazione statale prevista dalla disciplina attuativa delle direttive europee in materia di fauna selvatica da un lato, e il potere ordinatorio della Provincia autonoma contingibile e urgente in materia di sicurezza, dall’altro.
Con il passare degli anni la popolazione degli orsi conosce una certa crescita, specie nella provincia di Trento: del tutto o quasi disattese le previsioni dirette a incentivare la diffusione dell’orso su tutto l’areale dell’arco alpino nonostante l’altissima mobilità del plantigrado, vengono affinati gli strumenti di controllo della coesistenza tra orsi e popolazione umana, regolati dal PACOBACE, Piano di azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi centro orientali (cosiddetto PACOBACE), redatto tra il 2007 e il 2008 sulla base del quadro normativo nazionale e comunitario e formalmente recepito dalle amministrazioni territoriali delle Alpi centro orientali, dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Il piano, che rappresenta il documento di riferimento dello Stato, delle Regioni e della Province autonome in materia di gestione e conservazione dell’orso bruno, contiene indicazioni dettagliate circa le misure da adottare per prevenire e risarcire i danni causati dall’orso, le più opportune misure di intervento sugli esemplari problematici, le modalità delle campagne di informazione e comunicazione, la formazione del personale ed il monitoraggio della popolazione ursina. [iv]
Come accennato, nel 2014/2015 il capitolo 3 del PACOBACE, relativo ai criteri e alle procedure d’azione nei confronti degli orsi problematici e d’intervento in situazioni critiche, è stato modificato, in particolare nella parte relativa al grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e alle relative azioni (Tab 3.1.). Nei confronti degli orsi problematici e più pericolosi, i cui comportamenti non comportano solo danni materiali alle cose, il PACOBACE (lettere j) e k) punto 3.4.2. e Tab 3.1. del capitolo 3) consente azioni energiche, quali la captivazione permanente e l’abbattimento, in particolare in relazione ai seguenti tipi di comportamento: ripetuta segnalazione in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso, danni ripetuti a patrimoni per i quali l’attivazione di misure di prevenzione e/o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace, attacco con contatto fisico per difendere i propri piccoli, la propria preda o perché provocato in altro modo, seguito intenzionale di persone, tentativo di penetrazione in abitazioni, anche frequentate solo stagionalmente, attacco con contatto fisico senza provocazione (gradi di problematicità dal punto 13 al 18). Quanto alla pericolosità rileva particolarmente, secondo il vigente PACOBACE, il grado di confidenza dell’orso con l’uomo.
Il Piano, beninteso, contiene altresì misure dirette anche a favorire la coesistenza tra grandi carnivori e uomo, che passa anche attraverso l’accettazione sociale; quest’ultima richiede di poter constatare dell’efficacia dell’azione amministrativa nei casi di rischi per la sicurezza delle comunità, per cui in casi di esemplari problematici il sacrificio dell’esemplare contribuisce alla salvaguardia della specie.
Certo, il PACOBACE prevede non solo misure di intervento a danno dell’animale, quindi quando si fa la conta dei danni, ma anche importanti misure gestionali che annoverano la formazione e l’informazione di cittadini, turisti, operatori forestali e cacciatori, con guide e segnalazione dei luoghi frequentati da orsi e orse con cuccioli; misure preventive anti predazione di arnie e bestiame, finanziate dai fondi europei, statali e regionali o provinciali, quali la custodia delle greggi con cani specializzati, e l’uso di recinzioni elettrificate; come pure interventi diretti a prevenire un’eccessiva vicinanza degli animali alle comunità umane: cassonetti della spazzatura antieffrazione, divieti di lasciare residui organici, carcasse o materiale putrescibile all’aperto.
Ad ogni modo queste ultime si sono via via rarefatte, mentre l’azione repressiva verso gli animali confidenti, spesso provocati da condotte imprudenti (uomini con cani, reazioni scomposte alla vista dell’animale, escursionisti fuori dai sentieri in luoghi frequentati da orse con cuccioli, comunità poco attente alla gestione della raccolta dei rifiuti) è giocoforza aumentata, alimentando paure ataviche, titoli sensazionali, e strumentalizzazioni politiche di sapore più o meno autonomistico.
Il problema è che l’emergenza, anche se è frutto della mancata o insufficiente prevenzione, è comunque sempre urgenza, rischio, pericolo di esposizione dei beni primari di valore costituzionale della vita e della salute umana che prevale sulla tutela di un singolo esemplare di fauna selvatica, di cui dunque può essere disposta la captivazione o l’uccisione, sempre che non sia pregiudicata la conservazione della specie.[v]
Ciò ha quindi comprensibilmente portato i giudici amministrativi a formulare, quasi sempre, un giudizio di legittimità sulle misure extra ordinem disposte dal Presidente della provincia trentina.
Così infatti si è concluso anche il contenzioso promosso da una serie di associazioni ambientaliste contro l’ordinanza di cattura ed eventuale abbattimento di KJ2, un’orsa particolarmente prolifica e dunque importante per il successo riproduttivo della specie, accusata di aver ferito un uomo senza motivo, poi rivelatosi appunto essere uscito con un cane non legato, e di aver fatto uso di un bastone.
La sentenza del TRGA Trento 13 marzo 2018 n. 63, che ha deciso il caso, affronta le diverse obiezioni mosse all’ordinanza, tutte respinte.[vi]
Il Collegio esclude infatti, in prima battuta, che vi fosse competenza del Comune dove si sarebbe verificata l’aggressione, in ragione della mobilità eccezionale sul territorio di cui sono capaci gli orsi, capaci di percorrere in poco tempo centinaia di chilometri, per sconfinare nelle valli camune, sulle Orobie e rientrare in qualche caso in Slovenia.
In secondo luogo il TRGA riscontra nei contenuti dell’ordinanza una perfetta aderenza alle misure del PACOBACE, evidenziando come nel piano non si riscontri alcuna preferenza valoriale tra la cattura e l’abbattimento, ma la relativa decisione sia rimessa alla valutazione esclusiva della autorità individuate competenti.
Al riguardo forse istintivamente si sarebbe propensi a dire che tale scelta ancipite va assunta tenendo conto della circostanze del caso concreto ed in particolare dal grado di esposizione al pericolo dell’incolumità della popolazione e dei forestali chiamati a compiere tali operazioni, specie al momento della cattura (questo profilo di rischio, menzionato dalle ordinanze quale elemento per il possibile abbattimento nel corso delle operazioni di cattura, è in effetti uno degli argomenti spesi dal Collegio).
In realtà l’alternativa, sotto un profilo strettamente etologico ovvero legato al rispetto del benessere animale, dovrebbe anche considerare il grado di forte stress e deprivazione che un’animale selvatico – che necessita di solitudine e grandi spazi – incontra nel venir confinato in poche centinaia di metri quadri, senza stimoli sensoriali, orbato della possibilità di vivere una vita connotata da quella dignità animale che coincide spesso con la disponibilità di un habitat idoneo.
Non è certo la dimensione di protezione e benessere animale a cui è stato condannato M49, di cui si è letto che è stato castrato, spesso sedato e fatto oggetto di somministrazioni di tranquillanti nel corso della prigionia al Casteller da cui è fuggito per ben due volte, nella straziante ricerca della sua libertà di selvatico.
In “Orsi che ridono”, un bellissimo libro scritto da Else Poulsen[vii], l’autrice, che per pagarsi gli studi naturalistici lavorò come custode in uno zoo occupandosi proprio di plantigradi di ogni genere, racconta dell’intelligenza di questi animali, della loro curiosità, della loro necessità di stimoli e di soluzioni attente alla loro etologia, e anche del male di vivere di molti di questi esemplari in cattività, aspetti che dovrebbero essere presi in considerazione anche al fine delle scelte da assumere in caso di cattura: non c’è solo la captivazione permanente, come scelta, ma anche la ridistribuzione in territori meno antropizzati, ad esempio, senza voler arrivare a soluzioni drastiche.
Tornando alla sentenza del 2018, che dunque di fronte all’oggettività dell’attacco, provocato o meno, vi attribuisce rilevanza sufficiente a dimostrare la confidenza eccessiva e il rischio per la sicurezza umana, i suoi esiti negativi per le ricorrenti però si spiegano col fatto che i giudici postulano l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso, e ciò in quanto – nelle more della sentenza – la misura aveva avuto esecuzione con l’uccisione dell’animale.
Di fronte alle rimostranze delle ricorrenti, che sostenevano l’utilità di una pronuncia sulla legittimità o meno del provvedimento anche ai fini di una futura conformazione dell’azione amministrativa, il Collegio si ritrae e si trincera dietro lo scudo della propria giurisdizione di mera legittimità e di annullamento, affermando che altrimenti il sindacato sarebbe sconfinato in un inammissibile accertamento, per di più rivolto a un’ipotetica e solo eventuale attività futura, in violazione dell’art. 34 c.p.a.
Questo arroccamento peraltro, nell’ordinanza di sospensione giunta invece nell’estate 2020, è stato superato con un importante sforzo argomentativo che verrà esaminato più avanti.
Nel caso del 2018 ritorna anche il leitmotiv della pretesa competenza esclusiva statale, che viene liquidato dalla sentenza con la mera constatazione che il Piano stesso prevede simili misure, contingibili e urgenti quale quello provinciale, dunque legittimo.
Al riguardo un nuovo affondo processuale proprio alla pretesa statale di competenza esclusiva viene infine inferto dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 215/2019 affronta la questione di legittimità delle leggi della Provincia autonoma di Trento n. 9/2018 e della Provincia autonoma di Bolzano n. 11/2018, che autorizzano il rispettivi Presidenti ad adottare provvedimenti riguardanti il prelievo, la cattura e l’eventuale uccisione degli orsi e dei lupi, quando ricorrano le condizioni previste dalla normativa di derivazione europea in materia di conservazione degli habitat naturali. [viii]
La normativa provinciale introduce la possibilità di esercizio di questo potere per prevenire danni gravi alle colture, all’allevamento e a garantire la sicurezza pubblica, quando non esista altra soluzione valida, previa l’acquisizione del parere preventivo dell’ISPRA.
La tesi governativa dell’invasione da parte delle autonomie provinciali della sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema», nell’esercizio della quale il legislatore nazionale ha attribuito l’adozione di misure di prevenzione e di intervento concernenti i grandi carnivori in attuazione dell’articolo 16 della direttiva 92/43/CEE, viene respinta seccamente.
Dal punto di vista contenutistico la Corte verifica che le norme impugnate prevedono sì la competenza del Presidente della Provincia ad autorizzare il prelievo, la cattura e l’uccisione dell’orso e del lupo, ma rispettano le previsioni della normativa comunitaria in materia di conservazione degli habitat naturali e seminaturali, in quanto mantengono la finalità di proteggere la fauna e la flora selvatiche caratteristiche dell’alpicoltura, di conservare i relativi habitat naturali, di prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico, alle acque ed alla proprietà, nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, o tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente; inoltre prevedono l’acquisizione del previo parere dell’ISPRA, oltre alla verifica preliminare che non sussistano altre soluzioni valide e non venga messa a rischio la conservazione della specie.
Quanto poi al tema specifico della competenza, la Corte conclude che queste misure, attuative dell’art. 16 della direttiva Habitat, attengono alle materie di competenza provinciale primaria di cui all’art. 8, numero 16) e numero 21), dello statuto speciale: «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna», «agricoltura, foreste e Corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico », per cui non è necessaria l’interposizione di norme attuative dello Statuto, trattandosi di attuazione diretta della normativa europea nelle materie di competenza provinciale (sentenze n. 104 del 2008 e n. 425 del1999); ipotesi rispetto alla quale la normativa nazionale, qualora già esistente, è cedevole.
Di M49 si occupa ancora il TRGA il 12 maggio 2020, nella sentenza n. 62.[ix]
Un’associazione impugna le ordinanze di cattura o abbattimento dell’orso, in caso di pericolo per gli operatori nel corso delle attività di rimozione dell’animale dal territorio.
La causa giunge a sentenza quando l’orso è già stato portato nuovamente al Casteller, dopo la prima fuga, ciò che consente al Collegio di statuire nuovamente l’improcedibilità del ricorso. La pronuncia però si colorisce di alcune sfumature interessanti, che preludono alla recentissima sospensione dell’ultima ordinanza di cattura di JJ4, qui in commento.
In primo luogo i giudici tengono a sottolineare come l’avvenuta captivazione abbia escluso il rischio dell’abbattimento dell’animale, pure previsto dall’ordinanza come alternativamente possibile; si tratta di una considerazione che in un certo senso mitiga, entrando nel merito della questione, l’affermazione comunque perentoria dell’assenza di un interesse attuale dei sodalizi all’annullamento dell’atto.
E ancora: i giudici escludono di dover valutare l’illegittimità dell’atto oramai eseguito per imprimere un qualche indirizzo conformativo alla futura attività dell’amministrazione, affermando che si tratterebbe di accertamento indebito, privo di concretezza e attualità stante la mera ipoteticità di una ripetizione dell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione nei medesimi termini e in relazione ai medesimi presupposti di fatto alla base dell’ordinanza impugnata.
L’estensore ricorda però al contempo che ogni caso deve essere valutato singolarmente per decidere le misure eleggibili, quasi per aprire uno spiraglio a esiti processuali futuri di segno diverso; scendendo ad analizzare poi, pur non essendovi tenuto, la fattispecie concreta e le ragioni alla base del provvedimento emergenziale, giunge all’affermazione dell’infondatezza del ricorso – e dunque della legittimità del provvedimento – sulla scorta della considerazione dell’avvenuta messa in atto da parte della Provincia di misure (recinzioni, cani, proiettili di gomma) rivelatesi insufficienti, con conseguente messa in pericolo dunque non solo di beni materiali, ma dell’incolumità delle persone da parte del plantigrado eccessivamente confidente.
Ed è proprio la dimostrazione del climax di misure adottate, la presa d’atto di un parere favorevole di ISPRA alla cattura disatteso dal Ministro (che aveva negato l’autorizzazione statale prevista in via ordinaria) oltre che l’articolata motivazione dell’ordinanza, a portare il TRGA a escludere uno sviamento di potere provinciale: la ricorrente leggeva infatti, nel provvedimento, la volontà della Provincia autonoma di perseguire in realtà una politica di rimozione della specie ursina dai territori antropizzati.
Ed ecco che da ultimo, con JJ4, il sound processuale muta improvvisamente: la Provincia emette la solita ordinanza di monitoraggio, identificazione e rimozione dell’orso, forte anche delle pronunce susseguitesi sempre in senso a sé favorevole.
Le maggiori associazioni ambientaliste chiedono, questa volta, un decreto cautelare volto a impedire l’abbattimento dell’animale, reo di un unico episodio, dai contorni incerti: un attacco serale, vicino – pare – a cassonetti della spazzatura non a prova di effrazione, posizionati al limitare del paese in prossimità alle estreme propaggini del bosco.
Memori della improcedibilità a cui il ricorso sarebbe destinato una volta catturato o ucciso l’animale, le ricorrenti puntano quindi tutte le loro speranze sulla richiesta della misura monocratica, che viene finalmente concessa e seguita da un’ordinanza collegiale di sospensione della misura di rimozione di analogo tenore.
Consapevolmente discostandosi dai precedenti sino ad ora resi, il Collegio conferma nuovamente il potere legittimo di provvedere d’urgenza dell’autonomia provinciale, ma ne censura la mancata valutazione delle altre misure energiche disponibili, dalla cattura con rilascio previo radiocollaraggio, alla cattura per captivazione permanente, come pure critica apertamente la mancata motivazione delle ragioni della incondizionata scelta della misura dell’abbattimento.
Il provvedimento provinciale viene dunque ritenuto in contrasto con i canoni di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza, ma non solo; l’ordinanza collegiale viene corroborata anche – finalmente – da un’indicazione conformativa: i giudici ribadiscono sì il potere dell’amministrazione di procedere alla riedizione dell’atto, ma ne dettano i confini e le modalità.
La pronuncia esprime infatti l’auspicio che gli ulteriori provvedimenti tengano conto delle risultanze di un confronto tra la stessa amministrazione provinciale e le competenti amministrazioni statali, non limitato alla fattispecie in esame ma esteso alle possibili soluzioni del problema d’ordine generale evidenziato dagli accadimenti oggetto di causa, nello spirito dello stesso principio costituzionale di leale collaborazione tra lo Stato e la Provincia autonoma di Trento, da adibirsi anche nella gestione della fauna selvatica – patrimonio indisponibile dello Stato (cfr. art. 1 della l. 11 febbraio 1992, n. 157) – che sottende l’esigenza di una sua equilibrata distribuzione sull’intero territorio nazionale.
Sono dunque posti sullo stesso piano, quanto meno al fine di un’accorta valutazione dei contrapposti interessi e dunque del loro bilanciamento, gli scopi e i valori della disciplina settoriale della protezione della fauna selvatica che in precedenza erano stati aprioristicamente subordinati all’esigenza di protezione dell’incolumità pubblica, sul presupposto che non potesse farsi ricorso, in questi casi, a un giudizio probabilistico, ma solo all’ipostatizzazione del criterio di prevenzione e precauzione.
Il TRGA ha colto invece, in quest’ultima fattispecie, l’esigenza di affermare che la gestione faunistica deve essere attiva prima che difensiva, per cui solo la leale collaborazione, la messa in atto di misure – previste dai piani – volte a favorire la convivenza tra plantigradi e comunità umane, e a prevenire la confidenza degli orsi, può impedire l’acuirsi, spesso cavalcato strumentalmente, di situazione di conflitto.
In questa logica ritroviamo i canoni tradizionali tesi a limitare il ricorso ai provvedimenti emergenziali, extra ordinem, che dottrina e giurisprudenza unanimi sostengono debbano essere sorretti dall’assenza di strumenti ordinari atti a fronteggiare eventi imprevedibili e di solito non volontariamente causati, analogamente a quanto accade per le reazioni alla base dello stato di necessità, che come è noto causa un danno ma ne esime da responsabilità l’autore quando il pericolo correlato di difesa di sé o altri da un pericolo grave, non sia volontariamente causato.
Ecco, si potrebbe dire che il vulnus inferto o di possibile verificazione all’incolumità umana potrebbe legittimare una diminuzione di tutela dell’esemplare protetto, ma solo quando siffatta situazione non sia frutto non già dell’imprudenza del singolo umano, ma dell’amministrazione inerte nell’attuazione degli strumenti gestionali del PACOBACE.[x]
L’assaggio processuale – perché il merito è ancora da venire – ha comunque un aspetto conformativo che impinge nell’accertamento: nel caso in cui l’emergenza sia il frutto della mancata attivazione, consapevole e pervicace, degli strumenti atti a prevenire l’insorgere dell’emergenza, allora il suo dispiegamento massimo si rivela immotivato e viziato.[xi]
Senza giungere ad affermare l’illegittimità dell’ordinanza provinciale in quanto tale, se ne afferma però l’erronea graduazione, così stimolando la riattivazione di provvedimenti ordinari a protezione della specie selvatica e della sua reintroduzione cauta ed attenta agli interessi in gioco.
Non sono più gli orsi ad essere problematici, ma lo diviene l’ordinanza.
Per il testo della sentenza cliccare sul pdf allegato (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa).
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Note:
[i] Per una trattazione esaustiva dei casi trattati dalla Consulta, M.C. Maffei, Orsi e lupi in due sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in questa Rivista, 2020, pp. 91-120.
[ii] Le pronunce sono reperibili in www.giustizia-amministrativa.it
[iii] Sul tema in generale, si veda D.E. Tosi, Emergenza e tutela ambientale nel sistema delle fonti tra problemi definitori e rapporto tra ordinamenti, in AmbienteDiritto, 4, 2019, pp. 1-29.
[iv] Il testo è pubblicato in https://www.minambiente.it/pagina/piano-dazione-interregionale-la-conservazione-dellorso-bruno-sulle-alpi-centro-orientali
[v] Ancora sulla protezione insufficiente della specie, M.C. Maffei, Ursus arctos: una specie protetta… ma non troppo, in questa Rivista, 2019 pp.3-52.
[vi] In www.giustizia-amministrativa.it
[vii] E. Poulsen, Orsi che ridono, Orme Editore 2012.
[viii] In www.cortecostituzionale.it
[ix] In www.giustizia-amministrativa.it
[x] L’assimilazione del concetto di inevitabilità e dei presupposti del potere di ordinanza sono stati colti e approfonditi da R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità. Le ordinanze amministrative di necessità e urgenza Milano, 1990, p. 316 e ss. l’A. rileva che l’inevitabilità, in quanto necessità, “nel diritto civile e penale varranno a segnalare quello che solo in parte può dirsi eguale, analogo, o consimile, alla necessità del potere di ordinanza”.
[xi] M.S. Bonomi, La motivazione dell’atto amministrativo: dalla disciplina generale alle regole speciali, Vol. 26. Roma TrE-Press, 2020. In particolare al capitolo 5, il paragrafo 3 è dedicato alla centralità della motivazione negli atti atipici nel contenuto e negli effetti, segnatamente quanto alle ordinanze contingibili e urgenti, pp. 242 e ss.