I limiti allo scarico delle acque emunte e trattate nel corso delle operazioni di bonifica

28 Nov 2021 | giurisprudenza, amministrativo

di Federico Peres

Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 agosto 2021, n. 5868 – Pres. Giovagnoli, Est. Di Carlo – S.r.l. P.P.L. (avv.ti Francesco Cardarelli e Gianluca Gariboldi) c. Ministero dell’Ambiente (avv. Francesco Cardarelli)

Le acque emunte nel corso delle operazioni di bonifica e depurate nell’impianto di trattamento possono essere scaricate nel rispetto dei limiti previsti dalla tabella 3 allegata alla Parte III del d.lgs. n. 152/2006 solo se sono convogliate al corpo ricettore attraverso un sistema stabile di collegamento privo di interruzioni.

È onere del soggetto procedente presentare un progetto completo suscettibile di essere compiutamente esaminato dall’Autorità procedente, non potendo egli disinteressarsi degli aspetti operativi dello stabile collegamento e non potendo nemmeno affidare alla successiva fase di progettazione esecutiva la individuazione del sistema tecnico più idoneo e rispettoso della normativa di settore.

La vicenda e i due gradi di giudizio

Riscontrata la presenza nelle acque di falda di metalli in concentrazioni superiori a quelle previste dalla legge[i], la società interessata presentava un progetto di bonifica che prevedeva l’emungimento delle acque, il loro trattamento in impianto di depurazione e a valle l’immissione in mare nel rispetto dei limiti di legge per gli scarichi di acque reflue industriali[ii]. Nell’anno 2007 il progetto veniva approvato dalla Conferenza che imponeva però il rispetto dei limiti più restrittivi costituiti dalle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC, v. nota 1), con questa prescrizione: «per quanto riguarda l’impianto di depurazione dovranno essere specificati tutti i parametri di progetto delle singole apparecchiature nonché le efficienze di abbattimento attese per i singoli inquinanti anche in relazione ai limiti adottati per lo scarico delle acque trattate; a tale riguardo si osserva che nel progetto è fatto riferimento alla tabella 3.a dell’allegato V, del d.lgs. 152/06, che non risulta nel caso pertinente; le acque di falda devono infatti essere trattate ai limiti indicati nella tabella 2, all. 5, titolo V – parte quarta del d.lgs. 152/06».

Con ricorso al T.A.R. Campania, iscritto a ruolo nel 2008, la società contestava la prescrizione invocando l’applicazione dell’art. 243 del d.lgs. n. 152/2006 che, a determinate condizioni, assimila le acque emunte nel corso degli interventi di messa in sicurezza e bonifica alle acque reflue industriali e le assoggetta, pertanto, al regime previsto nella Parte III del richiamato decreto. Con sentenza n. 2715/2016 il T.A.R. respingeva il ricorso e pur prendendo atto di quanto previsto dall’art. 243, riteneva di dover qualificare le acque emunte come rifiuti in ragione del fatto che tali soluzioni acquose risultavano identificate, nell’allegato alla Parte IV sui rifiuti, da due codici CER (19.03.07 e 19.03.08). Il T.A.R. richiamava, inoltre, la giurisprudenza secondo la quale, in assenza di un collegamento diretto senza soluzione di continuità, tra la fonte di produzione e il corpo recettore l’art. 243 non era applicabile[iii] e così concludeva in motivazione: «se è vero che nel progetto di parte ricorrente se ne prevede, secondo quanto asserito, lo scarico in acque superficiali, ovvero a mare, tanto da richiamare i limiti meno restrittivi di cui alla tabella 3A in quanto ritenute assimilabili alle reflue industriali sulla base del disposto di cui all’art. 243, citato, ciononostante, questo Collegio (e, prima ancora, l’Amministrazione procedente) non può esimersi da una interpretazione sistematica della legislazione nazionale, pena la sua diretta disapplicazione, alla luce, in particolar modo, della normativa comunitaria, sopra richiamata, escludendo, quindi, l’invocata equiparazione di regime quanto ai limiti previsti per i fattori inquinanti, essendo tali reflui riconducibili nella categoria dei rifiuti liquidi (e non a quella, più favorevole, degli scarichi idrici). […] Con riferimento precipuo al giudizio di non pertinenza, lo stesso è palese ove si abbia riferimento alla collocazione normativa delle tabelle richiamate, quella ritenuta applicabile in sede di Conferenza di servizi è allocata nella parte IV del d.lgs. 152/2006, relativa specificamente alle “norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”, disciplinante, nello specifico la “Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti”, ai fini proprio della sanificazione, quella invocata da parte ricorrente, nella parte III, concerne, invece, genericamente, le “norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche”, avendo, poi, particolare riguardo ai “Limiti di emissione degli scarichi idrici”».

A ben vedere, dunque, il Tribunale non si interrogò sulle specifiche del progetto vagliato dalla Conferenza, ma ragionò in termini generali e astratti ancorando il ragionamento alla collocazione sistematica delle norme, senza peraltro considerare che una sostanza liquida può essere classificata come “acque reflue” o come “rifiuto” proprio in ragione dell’esistenza o meno di uno scarico[iv] e senza parimenti considerare che un rifiuto non è tale perchè possiede un codice CER, ma perchè, prima di tutto, soddisfa la nozione di legge che, come noto, ruota attorno al concetto di disfarsi.

Ebbene, in secondo grado il Consiglio di Stato ha affrontato il caso da una prospettiva parzialmente diversa, decidendo di verificare, innanzitutto, se l’impianto fosse dotato di un collettore o comunque di un sistema di canalizzazione e scarico che potesse dirsi senza soluzione di continuità. Il verificatore incaricato constatava che: a) la relazione del progetto di bonifica delle acque di falda si limitava a precisare che le acque di scarico dell’impianto di trattamento (Taf) saranno conferite a corpo idrico superficiale, demandando alla progettazione esecutiva la valutazione circa la possibilità del loro utilizzo nel ciclo produttivo dell’impianto; b) la descrizione progettuale era “piuttosto generica” in quanto non consentiva di definire il sistema tecnico di canalizzazione utilizzato (tubazione, canale etc.) né, tantomeno, la tipologia del manufatto di scarico delle suddette acque nel corpo idrico ricettore.

Stante questa verifica, il Consiglio di Stato confermava il legittimo esercizio, da parte della P.A., della discrezionalità tecnica che l’aveva condotta a prescrivere il rispetto dei limiti più rigorosi e ciò in quanto l’interessato non aveva fornito «elementi progettuali specifici, oggettivamente valutabili e apprezzabili, dai quali inferire l’esistenza di un sistema di canalizzazione continuo, diretto e ininterrotto». Aggiungeva la sentenza che la società avrebbe dovuto presentare «un progetto completo suscettibile di essere compiutamente esaminato dall’Autorità procedente, non potendo disinteressarsi – essa per prima, essendo suo precipuo interesse – degli aspetti operativi dello stabile collegamento, e del pari non potendo ‘scaricare’ sulla progettazione esecutiva la responsabilità dell’individuazione, a monte, del sistema tecnico più idoneo e rispettoso della normativa di settore. Diversamente opinando, si ammetterebbe la possibilità di vagliare positivamente progetti che poi, all’atto pratico della progettazione esecutiva, potrebbero presentare mancanze e deficienze di tale gravità da mettere a repentaglio il rispetto della rigorosa e dettagliata normativa di settore».

L’art. 243: dal primo testo del 2006 alle recentissime modifiche del 2021

Il tema della qualificazione delle acque emunte nel corso di operazioni di bonifica era stato a lungo dibattuto nel vigore del d.m. n. 471/1999 e ciò anche in ragione del fatto che quel regolamento non conteneva una disposizione specifica sul punto. Si erano così formati due orientamenti; per il primo le acque di falda emunte nell’ambito degli interventi di bonifica erano classificabili come acque reflue industriali[v], per il secondo si trattava invece di rifiuti liquidi[vi]. Opportunamente pertanto, il d.lgs. n. 152/2006 introdusse, con l’art. 243, una disciplina ad hoc che consentiva di scaricare le acque emunte nel rispetto dei limiti per le acque reflue industriali oppure, ferme condizioni più stringenti, di reimmetterle nella falda di provenienza[vii]. Sette anni dopo, con il decreto legge n. 68/2013 (convertito con la legge n. 98/2013), l’art. 243 veniva riscritto interamente, con più dettaglio e maggiore chiarezza, soprattutto nella parte in cui espressamente andò ad assimilare le acque emunte alle reflue industriali a patto che esistesse, innanzitutto, un sistema stabile di collettamento[viii]. Infine, il comma 6 è stato di recente modificato con il decreto legge n. 77/2021 (convertito con la legge n. 108/221)[ix] rendendo obbligatorio il trattamento anche in caso di riutilizzo delle acque e inoltre, per accelerare le procedure e garantire la tempestività degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e di prevenzione, dimezzando i termini per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico[x]. Ricostruita l’evoluzione normativa e ricordato che nemmeno dopo le modifiche intervenute nel 2013 la giurisprudenza ha fornito una unanime lettura del testo[xi], possiamo tornare al caso in esame.

Assimilazione o limiti? qual è il tema

Senza entrare nella congruità della valutazione compiuta dal verificatore, la sentenza del Consiglio di Stato è senz’altro condivisibile quando, richiamando il dato letterale dell’art. 243, ricorda che l’assimilazione delle acque emunte alle industriali può avvenire, innanzitutto, a patto che lo scarico possa dirsi tale, vi sia cioè un sistema stabile di collettamento senza soluzione di continuità. Pertanto, se difetta questa condizione, non è consentito procedere con l’assimilazione e non sono, di conseguenza, applicabili le disposizioni e i limiti previsti per lo scarico delle acque reflue industriali. Tuttavia, va osservato che, proprio alla luce del dibattito in giurisprudenza di cui si è dato conto, l’assenza di uno scarico giuridicamente definito come tale, non dovrebbe incidere sui limiti da applicare, ma sulla qualifica della sostanza acquosa, qualunque essa sia e da qualunque processo (industriale, di bonifica o altro) sia stata generata. La nozione di scarico è, infatti, dirimente per distinguere se una sostanza rilasciata, allo stato liquido, nell’ambiente (suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee) o in un impianto di trattamento o in rete fognaria, sia da classificare come scarico o come rifiuto liquido e ciò al fine di individuare la disciplina alla quale assoggettarne la gestione (d.lgs. n. 152/2006 Parte III se si tratta di acque o Parte IV se si tratta invece di rifiuti). I rapporti tra questi due ambiti sono stati più volte indagati dalla giurisprudenza che ha sempre rimarcato la necessità di un sistema stabile di collettamento inteso come “nesso funzionale e diretto”[xii]. Pertanto, quando manca questo nesso, il tema non dovrebbe essere quali limiti applicare allo scarico, per il semplice fatto che non esiste, giuridicamente, uno scarico. Le acque emunte non collegate stabilmente, a valle del trattamento, con il corpo ricettore verranno qualificate come rifiuti liquidi e conferite a un impianto di depurazione (autorizzato al trattamento di rifiuti liquidi) nel rispetto delle condizioni di conferimento previste nell’autorizzazione di quell’impianto che poi, a sua volta, le andrà scaricare in corpo idrico superficiale, sempre nel rispetto delle condizioni e dei limiti fissati nel titolo abilitativo di cui l’impianto è dotato. In ultima analisi, certamente la norma è stata interpretata in modo corretto ed è sicuramente opportuno, soprattutto nei risvolti pratici e operativi, il richiamo del Consiglio di Stato a presentare progetti che contengano tutti gli elementi per compiutamente valutarlo anche rispetto alle condizioni che pone l’art. 243. Resta tuttavia singolare la prescrizione inziale impartita dalla Conferenza nel 2007, poichè – come detto – se non c’è uno stabile collettamento non c’è nemmeno uno scarico e pertanto il tema dei limiti, per uno scarico giuridicamente inesistente, non dovrebbe nemmeno porsi.

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2021.11.16 RGA Online_Ott.2021_Cons. St._5868_2021 (1) (002) letto rt

Per il testo della sentenza (estratto dal sito di Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

CdS n. 5868 del 2021

[i] Tabella 2, allegato 5, titolo V – Parte quarta del D.lgs. n. 152/2006.

[ii] Tabella 3.a, allegato V – Parte terza del D.lgs. n. 152/2006.

[iii] Il T.A.R. Campania richiama a sostegno la sentenza del T.A.R. Veneto n. 255/2014 e la n. 5857/2013 del Consiglio di Stato che già aveva sostenuto l’inapplicabilità dell’art. 243 quado vi è uno iato temporale e materiale tra la fase di emungimento e quella di trattamento, consistente nello stoccaggio delle acque in attesa della destinazione finale, laddove lo scarico implica la continuità tra la generazione del refluo e l’immissione nel corpo recettore. La sentenza richiama infine anche la n. 2117/2012 del T.A.R. Catania contraria a un’equiparazione tout court delle acque di falda emunte alle industriali.

[iv] Art. 74, comma 1 lett. ff) scarico: «qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114». Vedi anche giurisprudenza in nota 12.

[v] Ex multis T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 90/2008; T.A.R. Calabria n. 1068/2008.

[vi] Cfr. giurisprudenza in nota 3.

[vii] Art. 243, testo originario del 2006: «1. Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto. 2.  In  deroga  a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 104, ai soli  fini della bonifica dell’acquifero, è ammessa la reimmissione, previo  trattamento,  delle  acque  sotterranee  nella  stessa unità geologica  da  cui  le  stesse  sono  state  estratte,  indicando  la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della  porzione  di  acquifero  interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell’acquifero e non devono contener altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate».

[viii] Art. 243, testo dopo le modifiche del 2013: «1. Al fine di impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell’inquinamento delle acque, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento, devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall’articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette; in caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza. 2. Il ricorso al barrieramento fisico è consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi di cui al comma 1 secondo le modalità dallo stesso previste. 3. Ove non si proceda ai sensi dei commi 1 e 2, l’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei. 4. Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla parte terza. 5. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 104, ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. A tal fine il progetto di cui all’articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono es-sere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate, con particolare riferimento alle quantità utilizzabili e alle modalità d’impiego. 6. Il trattamento delle acque emunte deve garantire un’effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali».

[ix] Art. 243 comma 6 dopo modifiche del 2021: «6. Il trattamento delle acque emunte, da effettuarsi anche in caso di utilizzazione nei cicli produttivi in esercizio nel sito, deve garantire un’effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali. Al fine di garantire la tempestività degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e di prevenzione, i termini per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico sono dimezzati».

[x] Quanto al trattamento si può ritenere, nel silenzio della norma, che esso possa avvenire tanto prima quanto dopo il riutilizzo (poichè in entrambi i casi si evita il “mero” trasferimento della contaminazione dalle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali). Quanto alla riduzione dei tempi essa è utile per gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, ma appare incongrua rispetto alle misure di prevenzione che, come noto, vanno attuate entro ventiquattro ore dall’evento o dalla scoperta.

[xi] T.A.R. Marche n. 83/2017 e T.A.R. Umbria n. 556/2018.

[xii] In questi termini Cass. pen. n. 32245/2021: «la disciplina sugli scarichi trova applicazione soltanto se il collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato mediante un sistema stabile di collettamento, costituito da un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore» (cfr. anche, ex multis, Cass. Pen. n. 16450/2020, n. 38448/2017, n. 16623/2015).

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