Disciplina applicabile per l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura: valori soglia e poteri delle regioni.

15 Nov 2019 | giurisprudenza, amministrativo, in evidenza 1

Di Luca Prati ed Elena Capone 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 agosto 2019, n. 5920- Pres. Maruotti; Est. Spagnoletti- Regione T. (Avv.ti Bora, Fidanzia e Gigliola) c. E.A. S.r.l. (Avv. Longo e Russo) ed altri.

Le disposizioni del d.lgs. n. 99/1992 non esauriscono la disciplina applicabile ai fanghi derivanti dagli impianti di depurazione, sia di reflui civili che di reflui agro-alimentari o addirittura industriali, non può pertanto essere sufficiente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’utilizzazione dei fanghi, la sola verifica dell’assenza, nel suolo destinato alle operazioni di spandimento o nei fanghi, delle sole sostanze e nei limiti di concentrazione indicati, rispettivamente, nelle tabelle IA e IB allegate al suddetto testo normativo. L’espressa classificazione dei fanghi come rifiuti implica anche la consentanea applicazione della disciplina propria dei rifiuti ed il riferimento ai valori soglia di concentrazione di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5, alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006.

Le Regioni non hanno alcun potere di riparametrare in aumento i valori soglia per le sostanze inquinanti previsti dal Dlgs 152/2006 ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione, l’art. 6 n. 2 del d.lgs. n. 99/1992, si riferisce a limiti “ulteriori” e quindi semmai più restrittivi, e non consente di derogare alla disciplina nazionale necessariamente uniforme in ambito riservato all’esclusiva competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ripercorre l’excursus normativo della disciplina dell’attività di utilizzazione dei fanghi da depurazione in agricoltura, contenuta nel D. Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99 e dei valori limite ad essa applicabili, cogliendo l’occasione per ribadire l’orientamento giurisprudenziale che ammette l’ulteriore applicabilità a tale attività del rispetto dei valori limite imposti dalla normativa sui rifiuti di cui al D.lgs. 152/2006.

Nell’articolata motivazione il Consiglio di Stato richiama dapprima le norme dettate dal citato D. Lgs. 99/1992 per confermare come queste disciplinino l’attività di utilizzazione dei fanghi in agricoltura, si sofferma poi sui requisiti di tale utilizzazione, ristretta ai soli fanghi trattati, i quali, ex art. 3, primo comma, lettera b), D. Lgs. 99/1992, non devono contenere “sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale” (art. 3, co.1, lettera c).

Il Consiglio di Stato rileva, inoltre, come il comma 2 dell’art. 3 cit. preveda altresì che il suolo destinatario dell’attività di spandimento debba rispettare la condizione per cui la “concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non superi i valori limite fissati nell’allegato I A”, e comunque che tali valori soglia non siano superati a causa dello spandimento stesso, circostanza che fonda l’esigenza dell’accertamento anche delle caratteristiche dei suoli cui sono destinati i fanghi da depurazione. Infine, rammenta che i fanghi trattati sono utilizzabili per lo spandimento solo laddove “non superino i valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti nell’allegato I B” come espressamente previsto dal comma terzo dell’art. 3 cit..

La disciplina appena richiamata, come illustra il Consiglio di Stato, deve essere necessariamente letta in combinato disposto con l’art. 4 dello stesso Decreto che vieta lo spandimento “dei fanghi tossici e nocivi in riferimento alle sostanze elencate nell’allegato al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915 con le concentrazioni limite stabilite nella delibera del 27 luglio 1984, anche se miscelati e diluiti con fanghi rientranti nelle presenti disposizioni”.

Il richiamo al DPR n. 915/1982 si giustifica con la definizione in esso contenuta all’art. 2, comma 4, n. 5 quali rifiuti speciali dei “residui dell’attività di trattamento dei rifiuti e quelli derivanti dalla depurazione degli effluenti” (tra cui rientrano i fanghi di cui all’art. 4, D. Lgs. n. 99/1992), dove la qualificazione quali rifiuti tossici e nocivi – si caratterizza in funzione della presenza di sostanze, elencate nell’allegato al D.P.R. “in quantità e/o in concentrazione tali da presentare un pericolo per la salute e l’ambiente” (art. 2, comma 5); tale elenco include 28 tipi di sostanze, costituendo quindi un indice ben più esaustivo del citato allegato IB che considera soltanto i limiti relativi a Cadmio, Mercurio, Nichel, Piombo, Rame e Zinco.

La disciplina di cui al D.P.R. citato è stata poi superata dall’adozione del successivo D. Lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997, il cui art. 7, comma 3, lett. g), ha confermato la classificazione quali rifiuti speciali dei “fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue”.

D’altra parte, anche il D. Lgs. 152/2006 ha confermato la qualificazione come rifiuti speciali dei “ fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue” (art. 184, comma 3, lettera g), a specificazione di quanto già stabilito dal precedente art. 127 comma 1, ai sensi del quale “Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.

Da ciò il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che non possa ritenersi sufficiente ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’utilizzo dei fanghi, limitare la verifica, nei suoli destinatari e nei fanghi da destinare, dell’assenza delle sole sostanze e nei relativi limiti per esse indicati nelle tabelle IA e IB del D. Lgs. 99/1992, poiché l’espressa qualificazione dei fanghi quali rifiuti implica l’applicabilità anche a questi della disciplina dei rifiuti contenuta nel Testo Unico Ambientale, con ciò confermando e avallando il ragionamento seguito dal TAR Toscana relativamente alla disciplina dei fanghi quali rifiuti.

La sentenza si pone quindi nel solco del tema dei requisiti che devono rispettare i fanghi da depurazione per il loro spandimento sui suoli agricoli, il cui dibattito era stato recentemente riacceso per effetto della conversione in legge del c.d. D.L. Genova[i] con cui il legislatore, tentando di rinnovare una disciplina ormai vetusta e non più aderente al quadro attuale, ha modificato e integrato i parametri ed i connessi valori limite da verificare ai sensi del D. Lgs. 99/1992, colmando il vuoto legislativo relativo al parametro idrocarburi e così indicando, seppur tacitamente, nella Tabella 1, dell’Allegato 5, al Titolo V, parte IV del Testo Unico Ambientale, la strada da seguire per individuare i limiti da applicare alle sostanze non normate dalle tabelle allegate al Dlgs 99/1992.

D’altra parte non può negarsi come il contrasto tra la disciplina del 1992 e quella dettata dal D. Lgs. 152/2006 appaia già nelle diverse definizioni previste in relazione al significato da attribuire al concetto “fanghi”.

Mentre infatti l’art. 2, comma 1, lett. a) del D. Lgs. 99/1992 definisce come fanghi destinati all’attività di spandimento “I residui processi derivanti dai processi di depurazione: – delle acque reflue derivanti da insediamenti civili; – delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi [Ndr. questi ultimi due purché assimilabili per qualità ai fanghi di cui al primo punto]; – delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, come definiti dalla L. 319/1976 e s.m.i.”, l’art. 74, comma 1, lett. bb), D. Lgs. 152/2006 definisce i fanghi come “i …residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane”[ii].

È indubitabile inoltre, come lo spandimento dei fanghi in agricoltura costituisca un’operazione di recupero e nello specifico dell’operazione R10 “Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia”, ai sensi dell’Allegato C alla Parte Quarta del T.U.A., intitolato “Operazioni di recupero”, per effetto del quale è innegabile il mantenimento dello status di rifiuti dei fanghi all’atto del loro spandimento sul suolo.

Diversamente però il legislatore potrebbe intervenire per aggiornare la normativa sui fanghi al fine di colmare l’evidente vuoto normativo, intervenendo a definire le caratteristiche di qualità che devono rispettare i fanghi in esito ai trattamenti previsti dalla vigente disciplina del D.Lgs. n. 99/1992, acclarato il loro espresso assoggettamento alla disciplina sui rifiuti.

Sul tema la giurisprudenza è stata interpellata più volte, ma è stata sostanzialmente conforme nell’affermare che per l’utilizzo in agricoltura, i fanghi di depurazione dovrebbero presentare un carico inquinante conforme ai valori limite fissati dalla Colonna A della Tabella 1 di cui all’Allegato 5, Titolo V, Parte Quarta, D.Lgs. n. 152/2006. Tale filone giurisdizionale, tra cui emerge la sentenza della Corte di Cassazione del 6 giugno 2017, n. 27658[iii], si fonda sull’assunto secondo il quale, come osservato da altri[iv], il superamento dei valori soglia di colonna A – Tabella 1 equivalga ad accertamento della pericolosità del rifiuto, – e non invece, quale “indice” dell’attitudine di un determinato inquinante a trasferirsi dall’agente potenzialmente contaminante al suolo o sottosuolo venuti a contatto con l’agente in questione, – affermando quindi che “L’uso agronomico presuppone infatti che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato… salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi, siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (Decreto 99/1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati”.

Ha destato molto clamore in punto, la Sentenza della Corte di Cassazione n. 27958/2017, che, sulla base del principio di precauzione, ha considerato applicabili ai fanghi destinati all’uso agricolo i medesimi limiti previsti per la disciplina sulle bonifiche con riferimento ai contaminanti non compresi fra quelli disciplinati dalla norma nazionale e/o regionale. Sulla scorta di quanto affermato dalla Suprema Corte, in molte regioni le autorità competenti hanno ritenuto che il rinnovo delle autorizzazioni allo spandimento fosse subordinato alla dimostrazione che i fanghi fossero conformi ai limiti delle CSC di colonna A, Tab. 1, allegato 5 alla parte IV del D. Lgs. 152/06.

Tale situazione di grande incertezza normativa ha progressivamente limitato l’utilizzo dei fanghi la cui gestione è stata affrontata attraverso lo stoccaggio prolungato e gli affidamenti diretti per lo smaltimento, creando situazioni di disagio che a volte hanno raggiunto l’emergenza a livello territoriale.

La Regione Lombardia, una delle principali regioni in Italia dove si fa uso dei fanghi in agricoltura, probabilmente per ovviare alla lacuna statale, ha aggiornato la propria normativa regionale sui fanghi mediante la DGR n. X/7076 dell’11.09.2017 “Disposizioni integrative in materia di parametri e valori limite da considerare per i fanghi idonei all’utilizzo dei fanghi in agricoltura” introducendo nuovi limiti su microinquinanti organici, fra cui quello sugli idrocarburi C10-C40 di 10.000 mg/kg s.s.

Contro tale disciplina, oltre 60 comuni hanno proposto ricorso al TAR Milano, che con Sentenza n. 1782/2018[v] ha accolto il ricorso annullando la DGR impugnata nella parte in cui aveva introdotto limiti più permissivi di quelli di Tab. 1, Allegato 5 alla parte IV (siti ad uso residenziale) con riferimento ai parametri idrocarburi C10-C40, richiamando a sostegno delle proprie conclusioni la citata sentenza della Corte di Cassazione in conformità della quale “L’uso agronomico presuppone quindi che il fango sia ricondotto “…al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo 5^, parte 4^, d.lgs. n. 152 del 2006)”, oltre a rilevare “il provvedimento regionale è intervenuto nella materia “tutela dell’ambiente”, riservata alla competenza esclusiva statale; ne consegue che le regioni non possono dettare una disciplina contrastante con quella prevista dalle fonti primarie statali abbassando i limiti di tutela previsti da queste ultime. Si rimanda in proposito alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato, giurisprudenza che ha chiarito come – in applicazione dei principi ricavabili dall’art. 117 Cost. e dalle disposizioni contenute nell’art. 6, comma 1, punto 2, del d.lgs. n. 99 del 1992[vi].

Il Consiglio di Stato, in conclusione, citando il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato il quale, ai sensi dell’art. 117 Cost., secondo comma, lettera s), riserva alla competenza esclusiva statale la legislazione in materia di “tutela dell’ambiente dell’ecosistema e dei beni culturali”, attribuendo allo Stato il compito di individuare “una disciplina unitaria ed omogenea che superi gli interessi locali e regionali, stabilendo “standard minimi di tutela” volti ad assicurare una tutela “adeguata e non riducibile dell’ambiente”, “non derogabile dalle Regioni” neppure se a Statuto speciale, o dalle Provincie autonome[vii], accoglie l’appello proposto dalla Regione Toscana riformando la sentenza del TAR Toscana, Sezione Seconda, n. 1078, del 25 luglio 2018, che invece aveva individuato in capo alla Regione un potere di “adattamento” dei valori soglia con la possibilità che essi fossero “…riparametrati in aumento, sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti”.

Con la sentenza appellata, la Seconda Sez. del TAR Toscana, aveva infatti ritenuto che, sebbene fossero applicabili i limiti di contaminazione dettati per i suoli cui i fanghi erano destinati, l’applicazione diretta anche ai fanghi delle CSC stabilite per il suolo costituisse una “misura sproporzionata rispetto al fine da conseguire, ed irrazionale in quanto i fanghi, presentando normalmente concentrazioni medie di sostanze superiori rispetto al suolo, se valutati sulla base dei parametri previsti quest’ultimo non sarebbero mai utilizzabili in agricoltura.”.

Pertanto la Regione avrebbe potuto esercitare a titolo precauzionale il potere di cui all’art. 6 D. Lgs. 99/1992 in relazione a quelle sostanze potenzialmente inquinanti non espressamente disciplinate dal citato D. Lgs. applicando i valori indicati dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV TUA “che dovranno però essere riparametrati in aumento, sulla base delle competenze tecnico-discrezionali dell’Amministrazione e tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti. Entro questi limiti il ricorso deve essere accolto, con annullamento dei provvedimenti di diniego impugnati, al fine del riesercizio dell’attività amministrativa secondo le coordinate appena tracciate.”.

Il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello principale presentato dalla Regione Toscana, ha tuttavia riformato la sentenza impugnata affermando che il potere della Regione disciplinato dall’art. 6 n. 2 del d.lgs. n. 99/1992, richiamato a sostegno dalla difesa dell’appellata, consenta di stabilire “[…]ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento”, consente all’Ente di stabilire limiti eventualmente più stringenti “[…] e non consente di derogare alla disciplina nazionale necessariamente uniforme in ambito riservato all’esclusiva competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost.” seguendo l’orientamento consolidato della giurisprudenza sul punto.

Il quadro sopra delineato rende evidente come non sia più procrastinabile un intervento statale nella materia che riordini in modo organico la disciplina, superando le incertezze generatesi negli ultimi anni.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul PDF in allegato.

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Prati-Capone 5920_2019

[i] D.L. 28 settembre 2018, n. 109, rubricato “Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze”, convertito, con modifiche, nella Legge 16 novembre 2018, n. 130.

[ii]  La lettera bb) dell’art. 74 deve essere letta in combinato disposto con le definizioni di cui alle lett. i), n), e ii) art. cit., in virtù delle quali sono acque reflue urbane: “i) acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato; n) agglomerato: l’area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale;  ii) trattamento appropriato: il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che, dopo lo scarico, garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni della parte terza del presente decreto”.

[iii] Cassazione Penale, Sez. 3, sentenza n. 27958, udienza del 31.01.2017, Pres. Savani, Rel. Di Nicola.

[iv] A. MURATORI, Il Consiglio di Stato insiste sul preteso rispetto delle CSC per i fanghi utilizzati in agricoltura, in Ambiente & Sviluppo, 2019, 10, pp. 704 ss..

[v] TAR Lombardia, Sede di Milano, Sezione III, sentenza n. 1782, del 20.07.2018, Pres. Di Benedetto, Est. Cozzi

[vi] La motivazione della sentenza del TAR Milano prosegue nel senso per cui “le regioni possano sì intervenire sulla disciplina dei valori delle sostanze inquinanti contenute nei rifiuti (e nei fanghi da depurazione in particolare), ma ciò al solo fine di dettare norme più stringenti volte ad assicurare livelli di tutela più elevati rispetto a quelli standard – applicabili all’intero territorio nazionale – individuati dalla normativa statale (cfr. Corte Costituzionale sent. 5 marzo 2009, n. 61; Consiglio di Stato, sez. IV, 27 giugno 2017, n. 3146; id., 10 luglio 2017, n. 3365)”.

[vii] Conformi Cons. Stato, sezione IV, 16 dicembre 2016, n. 5340; Corte Cost., 10 aprile 2015, n. 58.

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