Corte di Cassazione, III civile – 24 aprile 2024, Ordinanza n. 11063
Corte di Cassazione, III civile, 24 maggio 2024, Ordinanza n. 14555
Il soggetto danneggiato da fauna selvatica può agire per il risarcimento del danno sia ricorrendo al criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c. (dimostrando che il danno è stato causato dall’animale selvatico oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto di tutela ex lege e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato), sia all’art. 2043 c.c. (facendosi carico di provare non solo il danno ma anche il concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente tenuto al controllo della fauna). In tale ultimo caso l’onere probatorio è raggiunto con la dimostrazione della mancata adozione di adeguate e sufficienti misure atte ad evitare che la fauna selvatica non provocasse danni alle persone e cose tra cui l’attuazione diligente di programmi di eradicazione dei cinghiali.
1. Anche se i danni da fauna selvatica s’inquadrano nell’art. 2052 c.c. è sempre possibile azionare l’art. 2043 c.c.
L’attenzione sempre maggiore riservata alla fauna selvatica dai media, anche solo di sapore sensazionalistico e allarmistico, ha reso nota la tematica dei danni derivanti dalla cattiva gestione del patrimonio faunistico nazionale, che ha ripercussioni non solo sullo stato di conservazione delle specie, tra cui quelle particolarmente tutelate,[i] ma anche sulla proliferazione di specie che, in assenza di un sufficiente numero di predatori naturali e a causa di politiche venatorie miopi, sono divenuti causa di molteplici danni: all’agricoltura, danni da collisione sulle strade, danni anche agli ecosistemi protetti.[ii]
La giurisprudenza civile si è spesso occupata di questi contenziosi risarcitori, inquadrando la fattispecie, in passato, per lo più nell’ambito di applicazione dell’art. 2043 c.c., sulla scorta di una reiterata affermazione dell’applicabilità dell’art. 2052 c.c. ai soli animali domestici, salvo poi mutare radicalmente e motivatamente orientamento con la pronuncia della Cass. Civ., sez. III, n. 7969 del 2020[iii]. A questa sentenza si deve invero l’affermazione della necessità di assicurare maggior tutela e certezza ai danneggiati, secondo indirizzi uniformi a livello nazionale, e il superamento, sulla scorta dell’argomento letterale e di un’interpretazione evolutiva legittimata a costruire il “diritto vivente”, della tradizionale limitazione della causalità oggettiva predicata dall’art. 2052 c.c. agli animali domestici, estesa finalmente anche alla fauna selvatica. A tale approdo la pronuncia è intervenuta argomentando anche sull’effettiva appartenenza del patrimonio faunistico, quale bene indisponibile, allo Stato, e sull’attribuzione alle Regioni dei compiti di gestione e custodia in senso lato della stessa, insuscettibili di essere azzerati anche in caso di delega alla Province.
Il diverso paradigma normativo invocato dal danneggiato a sostegno della propria pretesa risarcitoria comporta importantissime differenze sul piano dell’onere della prova: l’art. 2043 c.c. impone la prova del nesso di causalità, del danno e dell’elemento soggettivo del dolo o quanto meno della colpa, particolarmente difficile in ipotesi di causalità omissiva, mentre l’art. 2052 c.c. richiede semplicemente l’allegazione e dimostrazione del nesso causale e del danno causato dalla fauna selvatica soggetta al potere dovere di controllo pubblicistico, talché spetta alla P.A. provare che invece vi sia una colpa esclusiva del danneggiato o la presenza del caso fortuito che solo pare poter avere efficacia liberatoria rispetto a una forma di responsabilizzazione pressoché oggettiva.
La particolarità delle pronunce in commento risiede nel fatto che nei due casi i danneggiati avevano agito, sin dalle prime battute processuali avanti al Giudice di Pace, ancorando l’istanza risarcitoria alla responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c.; ciò che in un caso ha portato la Regione a contestare la legittimità di tale inquadramento alla luce del mutato orientamento della Cassazione, nell’altro invece lo stesso danneggiato soccombente in primo grado a sostenere la possibile riqualificazione normativa del fatto all’interno dell’art. 2052 c.c. da parte del giudice, d’ufficio.
Entrambe le istanze sono state respinte perché il giudice di legittimità ha chiarito come sia possibile e lecito azionare il paradigma generale dell’azione risarcitoria di cui all’art. 2043 c.c., senza che per ciò la domanda sia inammissibile, con l’unica conseguenza di un regime probatorio più oneroso; d’altro canto ha pure chiarito come sulla qualificazione giuridica si formi un giudicato ogniqualvolta nella fase processuale precedente la domanda – e la decisione – siano stata condizionata da una specifica impostazione e definizione dell’indagine di merito, in uno alla concreta estrinsecazione degli oneri e dei poteri di allegazione e prova delle parti contrapposte.
2. L’inefficacia dei piani di gestione della fauna selvatica come prova dell’omissione colpevole.
Altro elemento di interesse in queste pronunce è il favor verso il danneggiato, che emerge dall’affermazione che, ove Regione e Provincia abbiano adottato piani, programmi e regolamenti per la gestione numerica della fauna selvatica responsabile di danni – nella consapevolezza della gravità del problema e nella dichiarata finalità di ridurre tendenzialmente a zero la presenza in alcune zone, secondo un obiettivo dichiarato di eradicazione – la mancata attuazione di detti provvedimenti e la loro inefficacia provano la colpevole omissione della P.A. L’allegazione e dimostrazione di questa inerzia o inefficienza concretano quindi piena prova anche dell’elemento soggettivo che ai sensi dell’art. 2043 c.c. continua a gravare sul danneggiato che vi abbia fatto ricorso, omettendo il richiamo alla più agevole disposizione dell’art. 2052 c.c.
3. La rivalsa ed il regresso richiedono il coinvolgimento in giudizio di chi la P.A. ritenga obbligato.
Infine, la sentenza chiarisce anche come, da un lato, la concorrente responsabilità degli enti delegati dalla Regione al contenimento del cinghiale, tra cui la Provincia, non esima la Regione dalla sua naturale legittimazione passiva; dall’altro come la Regione, se intende appunto rivalersi, anche in via di regresso o a titolo di concorso, contro altri soggetti, debba ritualmente evocarli in giudizio. Ciò vale non solo per la Provincia, ma anche per chi secondo la Regione doveva provvedere alla recinzione del fondo coltivato danneggiato dai cinghiali. Nel caso di specie l’attrice era solo conduttrice e non proprietaria del fondo, sicchè non si poteva addossarle detto onere, né tenerne conto nell’ambito del giudizio.
4. La prevenzione, questa sconosciuta.
Un’ultima osservazione, imposta dal rischio che possa allignare anche nei lettori l’equazione tra fauna selvatica e danni, ed essere abbracciata quale unica soluzione la misura dell’eradicazione, propria di una visione semplicistica, refrattaria alla considerazione della complessità e incline a far propri i sintagmi della “cancel culture” o dell’espulsione di sasseniana memoria[iv].
A parte le esigenze di ripristinare a fini in sensi stretto ecologici riequilibri faunistici compromessi dall’intervento antropico, negli altri casi se la fauna selvatica implicata in collisioni stradali è particolarmente protetta, vulnerabile o a rischio di estinzione, possono e devono essere messe in campo misure preventive di protezione della sede stradale da attraversamenti, oltre alle consuete segnalazioni: ed oggi la tecnologia ha sviluppato strumenti utilissimi, dissuasori luminosi, acustici, sottopassi e sovrappassi faunistici per ogni tipo di phyla. Sono misure mitigative che, in ottica di prevenzione devono accompagnare la progettazione delle infrastrutture di trasporto, ed anche i mezzi di trasporto: i convogli ferroviari possono essere dotati di allarmi acustici e altri dispositivi per allontanare la fauna dai binari[v]. Tra l’altro sono anche criteri che possono rispondere alle esigenze della tassonomia ambientale e del principio DNSH, in cui la biodiversità ha un ruolo centrale.
Inoltre, la prevenzione viene prima dell’investimento, in relazione al quale si ricorda che vige l’obbligo di fermata e di soccorso di cui all’art. 189 del Codice della Strada, riferito agli animali d’affezione, da reddito o protetti.
Infine, i giudici, anche in questo frangente, ribadiscono che in ogni caso il conducente è a sua volta tenuto a provare che la collisione non sia stata frutto della sua imprudenza, secondo il disposto dell’art. 2054 c.c., da prendere in esame in ordine logico antecedente alla tematica risarcitoria.
E qui viene in rilievo anche la prossima riforma del Codice della Strada, che però – in chiave solo punitiva – inasprisce il trattamento sanzionatorio dell’art. 727 c.p. in tema di abbandono di animali, prevedendo al verificarsi di determinate circostanze (abbandono su strada o pertinenze) un inasprimento sanzionatorio. In secondo luogo, la riforma modifica pure gli artt. 589-bis e 590-bis c.p., per i casi in cui i fatti ivi previsti – omicidio stradale e lesioni personali stradali – siano ricollegati a un incidente stradale, che abbia cagionato la morte o lesioni personali, provocato da animali domestici abbandonati su strada o nelle relative pertinenze.[vi]
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NOTE:
[i] Interessante in proposito la sentenza del TAR Brescia 83/2024, resa nell’ambito di un giudizio promosso da cacciatori impegnati nel prelievo del cinghiale contro un ambito di caccia che aveva emanato un regolamento restrittivo, con effetti di diminuzione dei capi eliminati, minando anche il contenimento dei danni prodotti dai cinghiali a un’area protetta, Oasi WW e sito Rete Natura 2000, il cui gestore è pure intervenuto nel giudizio.
[ii] Per le dimensioni del problema e una trattazione sintetica, cfr. dell’A., Il cinghiale di campagna e il cinghiale di città. prelievi e controlli per l’equilibrio dei diversi ecosistemi, in questa Rivista 2/2019.
[iii] La sentenza è pubblicata sul sito della Cassazione, 07969/2020 (giustizia.it). Per l’orientamento pregresso, si rimanda a Elena Felici e Luca Montolivo, La responsabilità della pubblica amministrazione per danno cagionato da fauna selvatica: natura della responsabilità e doveri della P.A., in questa Rivista n. 12/2020 e Responsabilità della pubblica amministrazione per il risarcimento del danno causato dalla fauna selvatica alle attività agricole. i diversi profili della tutela risarcitoria e della tutela indennitaria, in questa Rivista 7/2019.
[iv] Saska Sassen, Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, Il Mulino 2018.
[v] In questi giorni il gruppo FSha firmato un Protocollo d’intesa con LAV, Legambiente e ENPA proprio per la prevenzione degli investimenti su strade e binari, tanto per fare un esempio, ma sempre più spesso i provvedimenti di compatibilità ambientale resi su infrastrutture lineari che attraversano aree ricche di fauna prescrivono apposite condizioni ambientali preventive e mitigative, di costruzione e di esercizio.
[vi] A.S. n. 1086, Interventi in materia di sicurezza stradale e delega al Governo per la revisione del codice della strada, art. 2, in Legislatura 19ª – Dossier n. 172 2 (senato.it).