“Chi inquina paga” e nesso di causalità: sufficiente il criterio del “più probabile che non”

01 Lug 2024 | giurisprudenza, amministrativo

T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. II – 12 febbraio 2024, n. 204

Il D. Lgs. n. 152 del 2006 riconosce alla P.A. il potere di ordinare al privato di eseguire la bonifica attraverso l’emanazione dell’ordinanza ex art. 244, comma 2, che, tuttavia, può essere emanata solo nei confronti del responsabile della contaminazione, per l’individuazione del quale deve escludersi l’applicabilità di una impostazione “penalistica” (incentrata sul “superamento del ragionevole dubbio”), trovando invece applicazione, ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra attività svolta sull’area ed inquinamento dell’area medesima, il canone civilistico del “più probabile che non”; pertanto, l’individuazione del responsabile può basarsi anche su elementi indiziari, giacché la prova può essere data anche in via indiretta o indiretta, potendo in tal caso l’amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.

La decisione in commento ribadisce un principio giurisprudenziale ormai consolidato nel contesto dei procedimenti di bonifica dei siti contaminati e delle attribuzioni delle relative responsabilità ambientali, che trova larga applicazione ove, come nel caso di specie, si debba valutare la legittimità di un ordine di bonifica emesso ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. 152/2006 nei confronti del soggetto ritenuto responsabile della contaminazione riscontrata a carico delle matrici ambientali.

Giova preliminarmente ricordare che, ai sensi del citato art. 244 (comma 1), “le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti” e che – prosegue il successivo comma 2 –  “la provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”.

Come noto, mentre la norma è chiara nello stabilire, in diretta applicazione del noto principio comunitario “chi inquina paga”, che l’ordine di bonifica possa essere legittimamente rivolto solo nei confronti del soggetto responsabile della contaminazione, richiamando l’autorità al dovere di compiere le opportune ricerche e indagini a tal fine, nulla specifica in merito alle modalità con le quali queste attività devono essere compiute e al grado di certezza che deve essere raggiunto per poter considerare correttamente adempiuto tale dovere.

La norma in commento è quindi stata oggetto di numerosi interventi da parte del giudice amministrativo volti a dirimere le controversie nascenti dalle contestazioni degli ordini di bonifica a vario titolo emessi nei confronti dei responsabili della contaminazione (o presunti tali) e al contempo precisare l’ambito di operatività della norma (sul quale, infra).  

La sentenza in commento ha accolto il ricorso promosso per la declatoria di nullità di un provvedimento con cui l’amministrazione provinciale, in applicazione dell’art. 244 del D.Lgs. 152/2006, ha ordinato a una serie di soggetti (tra cui la società ricorrente) l’esecuzione, all’interno di una discarica di rifiuti solidi urbani dismessa, ma in precedenza gestita da una società consortile di cui anche la ricorrente faceva parte, delle misure di prevenzione necessarie per contenere la diffusione nella falda di contaminanti a seguito del rilevamento da parte di ARPA del superamento del valore limite stabilito per la CSC del parametro ferro.

La vicenda in questione è in realtà abbastanza articolata, in quanto caratterizzata, sin dall’inizio della dismissione della discarica (anno 2011), dall’emissione di precedenti ordinanze di carattere ambientale nonché da procedimenti penali comportanti sequestri e confische, per una sintesi dei quali si rimanda tuttavia al testo della sentenza, in quanto non rilevanti ai fini che qui interessano.

Ciò che rileva in questa sede, infatti, è solo l’ultimo provvedimento assunto dall’amministrazione provinciale a inizio 2023, ossia il già menzionato ordine di MIPRE rivolto, tra gli altri, a una delle società già facenti parte del consorzio che aveva gestito la discarica e, proprio per tale motivo, individuata quale responsabile dello stato di inquinamento della discarica.

La prima ragione di doglianza, della quale si intende peraltro dare solo un breve riscontro, verte sul rilievo eccepito dalla ricorrente di essere uscita dalla società consortile prima della chiusura della discarica e di non aver pertanto concorso a causare l’inquinamento. In merito a tale argomentazione il T.A.R. Puglia si è limitato a ribadire quanto già statuito dagli stessi giudici amministrativi in due sentenze rese con riferimento a precedenti ordinanze emesse sullo stato di degrado della medesima discarica (cfr. le sentenze n. 1353/2015 e 1354/2015), laddove, nel  disattendere le tesi della ricorrente, aveva affermato che “se è pur vero che la società consortile subentra (…) nell’esecuzione totale o parziale del contratto, pur tuttavia rimangono ferme le  responsabilità solidali dei concorrenti riuniti o consorziati i quali rimangono indissolubili parti contrattuali e quindi responsabili dell’adempimento di tutte le obbligazioni previste al momento della presentazione dell’offerta e della stipula del contratto. Nella specie, pertanto, non può dubitarsi del necessario coinvolgimento delle imprese consorziate (…) in relazione alla gestione della discarica de qua e alle conseguenze dalla stessa derivanti pur in assenza di alcuna attività fino alla relativa messa in sicurezza. (…) Né può ritenersi che tale responsabilità sia venuta meno per effetto della cessione delle quote sociali ad altra impresa”.

La società ricorrente ha invece trovato soddisfazione nella seconda ragione di doglianza, per aver i giudici amministrativi accolto l’istanza di annullamento dell’ordinanza fondata sulla violazione del principio “chi inquina paga” in relazione a un lamentato difetto di istruttoria e di motivazione, non potendo l’amministrazione imputare l’inquinamento in questione basandosi solo sull’accertato superamento degli indici di contaminazione (nella specie, superamento della CSC per il parametro ferro) senza che sia stato adeguatamente indagato, e provato, il nesso di causalità esistente tra la condotta contestata e l’evento di inquinamento riscontrato dall’organo tecnico (ARPA).

Il T.A.R. ha innanzitutto richiamato il noto indirizzo giurisprudenziale secondo cui la responsabilità per i danni all’ambiente rientra nel paradigma della responsabilità extracontrattuale soggettiva ex art. 2043 c.c., con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva, non essendo configurabile ai sensi dell’art. 242 del D.Lgs. 152/2006 alcuna responsabilità in via automatica, sia essa per posizione o per fatto altrui, che possa determinare l’obbligo di bonificare per il solo fatto di rivestire una data posizione o qualità, senza cioè la dimostrazione dell’apporto causale colpevole del soggetto al danno ambientale riscontratoi. In particolare, ha precisato il T.A.R. Puglia, “in quanto la responsabilità in questione è pur sempre ascrivibile ai canoni classici (comuni alle tradizionali costituzioni degli Stati) della responsabilità per il fatto proprio personale colpevole; la responsabilità e la rimproverabilità dell’illecito risiedono nel comportamento del soggetto che volontariamente sceglie di sottrarsi o, il che è lo stesso, di non attivarsi anche per mera negligenza, per ripristinare l’ambiente”.

Da qui la necessità che, nel caso in cui la pubblica amministrazione decida di avvalersi del potere-dovere ex art. 244 di ordinare a un soggetto privato l’esecuzione delle attività di bonifica, tale ordine possa essere diretto esclusivamente nei confronti dell’effettivo responsabile della contaminazione, da individuare in applicazione del principio cardine in tema di responsabilità ambientale, ossia quello del “chi inquina paga” espressamente richiamato dall’art. 239. Come precisato in apertura di commento, tuttavia, lo stesso art. 244 nulla specifica in merito ai criteri cui si dovrebbe ispirare l’autorità nell’eseguire le ricerche e le indagini, nonché al grado di certezza che dovrebbe essere raggiunto per poter considerare correttamente adempiuto tale dovere.

A tale proposito, il T.A.R. Puglia ha ritenuto di aderire al consolidato indirizzo giurisprudenziale che, facendo leva sulle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia UEii, ha escluso l’applicabilità di un’impostazione penalistica incentrata sul superamento del “ragionevole dubbio”, ritenendo sufficiente, ai fini della sussistenza del nesso di causalità tra attività svolta sull’area e inquinamento dell’area stessa, l’applicazione del canone civilistico del “più probabile che non”iii. In altri termini, “non è quindi necessario che le autorità competenti raggiungano un livello di probabilità prossimo alla certezza, essendo invece sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della possibilità”iv, o meglio “che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione”v.

Primo importante corollario dell’applicazione di tale criterio è la possibilità per l’autorità procedente di basarsi “anche su elementi indiziari, giacché la prova può essere data anche in via indiretta, potendo in tal caso l’amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.”vi, con ciò venendo agevolato un compito istruttorio spesso non semplice che, diversamente, rischierebbe di paralizzare l’aziona amministrativa lasciando di fatto a carico della collettività situazioni di compromissione delle matrici ambientali e le conseguenti quanto necessarie azioni di risanamento. Peraltro, occorre precisare come l’utilizzo delle presunzioni semplici da parte della pubblica amministrazione incontri in ogni caso i limiti previsti dall’art. 2729 c.c., potendosi ritenere legittimo un accertamento fondato esclusivamente su presunzioni gravi, precise e concordantivii.

Per contro, vi è un secondo corollario all’applicazione del criterio civilistico di cui sopra, volto a mitigare l’agevolazione istruttoria riconosciuta all’autorità: infatti, come già statuito in giurisprudenzaviii, il soggetto individuato come responsabile in base alle risultanze istruttorie può sempre contrastare l’accertamento svolto mediate presunzioni semplici confutando gli elementi indiziari riscontrati a suo carico attraverso prove che conducano a individuare aliunde l’origine della contaminazione.

Nel fare ciò, tuttavia, “il soggetto individuato (…) come responsabile di una contaminazione ambientale deve fornire prove liberatorie specifiche e idonee a dimostrare a quale differente attività sia ascrivibile la contaminazione”ix, non essendo sufficiente affermare in modo generico la riconducibilità dell’inquinamento a non meglio precisate cause e fattori. Nel fare ciò è opportuno che il soggetto privato si avvalga anche di una perizia di parte, non potendo supplire a posteriori con la richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio, dal momento che, quest’ultima, ha l’unico fine di fornire al giudice l’ausilio necessario per apprezzare correttamente le prove dedotte dalle parti e non può essere disposta per sopperire a una carenza probatoria della parte oneratax. Peraltro, il compito per il privato è reso oltremodo gravoso anche considerando che, secondo consolidata giurisprudenza, nelle materie tecnico scientifiche “le pubbliche amministrazioni godono di ampia discrezionalità, dovendo affrontare questioni tecniche molto complesse; pertanto, il controllo giurisdizionale a riguardo è limitato ai risultati abnormi o, comunque, manifestamente illogici”xi, con il conseguente rischio di avere poco spazio per proporre eventuali contestazioni o ricostruzioni alternative delle cause della contaminazione in sede di giudizioxii.

Nel caso di specie, l’amministrazione si era limitata a rilevare il superamento del valore della CSC, dando per scontato che la responsabilità per tale accadimento fosse da individuare nelle società che avevano gestito a vario titolo l’area interessata dalla potenziale contaminazione. Ciò, tuttavia, ha reso il provvedimento illegittimo a giudizio del T.A.R. per contrasto con i su richiamati principi, giacché, pur potendo avvalersi anche solo di presunzioni semplici per la dimostrazione del nesso causale tra condotta ed evento in applicazione del criterio del “più probabile che non”, ciò nondimeno un’attività di indagine in tal senso doveva pur sempre essere condotta e documentata, non avendo al contrario l’autorità dimostrato di aver adeguatamente indagato le ragioni fondanti la declatoria di responsabilità dell’inquinamento del sito a carico delle società a ogni modo coinvolte nella gestione della discarica di rifiuti in questionexiii.

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Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato.

NOTE:

i Cfr., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630; Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089.

ii Cfr. Corte di Giustizia UE, Grande Sez., 9 marzo 2010, C-378/08, in RGA, 2010, p. 564, con nota di A. L. De Cesaris.

iii Cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 9 maggio 2019, n. 755, in RGA, 2019, con nota di R. Gubello; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202; T.A.R. Basilicata, Sez. I, 18 luglio 2022, n. 538, in questa Rivista, n. 37, Dicembre 2022, con nota di A. Gallarini; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 14 giugno 2023, n. 522, in questa Rivista, n. 45, Settembre 2023, con nota di R. Gubello.

iv Così, T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 27 dicembre 2022, n. 1025, in questa Rivista, n. 40, Marzo 2023, con nota di E.M. Volonté. Nello stesso senso, tra le altre, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 10 giugno 2022, n. 1352, in questa Rivista, n. 34, Agosto-Settembre 2022, con nota di E.M. Volonté.

v Così, Cons. Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2023, n. 1776, in questa Rivista, n. 43, Giugno 2023, con nota di P. Bertolini; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 16 settembre 2021 n. 1367, con nota di R. Gubello, in questa Rivista, n. 26, Novembre 2021.

vi Così, Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121; nello stesso senso, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668, in Amb. & Svil., 2018, p. 102; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 2 agosto 2022, n. 776; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 15 ottobre 2021, n. 2236, in questa Rivista, n. 27, Dicembre 2021, con nota di E. Gregori Ferri.

vii In questo senso si è già espresso P. Bertolini, cit. A tale proposito, sono ad esempio state ritenute tali la vicinanza dell’area su cui operava il responsabile dell’inquinamento con il collettore fognario in cui è stata rilevata la contaminazione, così come l’utilizzo delle sostanze rivenute a carico della falda o, ancora, lo svolgimento dell’attività in assenza delle procedure e delle autorizzazioni necessarie a evitare la dispersione di inquinanti (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 10 giugno 2022, n. 1352, cit.). Ciò, peraltro, sulla falsariga di quanto già affermato molto tempo addietro anche dalla Corte di Giustizia UE (cfr. Grande Sez., 9 marzo 2010, C-378/08, cit.), secondo cui sono indizi plausibili “la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato”.

viii Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121, cit.

ix Così sempre T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 27 dicembre 2022, n. 1025, cit.; nello stesso senso, già T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 2 dicembre 2019, n. 2562, in questa Rivista, n. 9, Febbraio 2020, con nota di P. Roncelli; Cons. Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121, secondo cui “il soggetto individuato come responsabile (…) deve provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento”.

x In questo senso, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 2 dicembre 2019, n. 2562, cit.; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 2 settembre 2019, n. 1940, secondo cui “né si può ritenere che all’inerzia del ricorrente nel dedurre elementi di prova possa sopperire il giudice con la consulenza tecnica d’ufficio (…)”.

xi T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 10 giugno 2022, n. 1352, cit.; nello stesso senso, cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 14 giugno 2023, n. 522, cit.; Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2022, n. 4587.

xii A tale riguardo, si condivide il pensiero di chi, alla luce del quadro come sopra delineato, ha affermato l’importanza di “valorizzare al massimo ogni momento partecipativo nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento dell’evento di contaminazione ambientale e di successiva individuazione del suo responsabile. Magari sottoponendo all’amministrazione ogni apporto (consulenze di parte, studi scientifici già esistenti, rilievi ed indagini commissionati ad hoc) che possa valere ad arricchire il quadro istruttorio entro cui verrà a formarsi il provvedimento finale e, poi, nella eventuale successiva fase contenziosa, a mettere in luce i profili di illogicità o contraddittorietà insiti nelle valutazioni poste a suo fondamento” (così R.Gubello, La prova liberatoria in tema di nesso di causalità per danno ambientale: un caso di probatio diabolica?, in questa Rivista, n. 45, Settembre 2023).

xiii In particolare, non è risultato agli atti alcun approfondimento circa la storicità della contaminazione e il rapporto eziologico esistente tra lo specifico evento di contaminazione e la condotta ascritta ai soggetti individuati quali responsabili, anche solo in termini di ruolo gestorio dagli stessi rivestito formalmente o in via di fatto e in rapporto all’epoca di insorgenza dell’inquinamento.

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