Art. 318 septies t.u.a.: la corte costituzionale dichiara non fondata una questione di legittimità costituzionale relativa all’adempimento tardivo

04 Lug 2019 | giurisprudenza, corte costituzionale

di Ginevra Ripa

CORTE COSTITUZIONALE – 9 aprile 2019, n. 76 – Pres. Lattanzi – Rel. Amoroso

Non è manifestamente irragionevole la disparità di trattamento nel pagamento dell’oblazione tra adempimento tardivo della prescrizione in materia ambientale ai sensi dell’art. 318 septies, comma 3 D.Lgs. 152/2006 e in materia infortunistica ai sensi dell’art. 24, comma 3 D.Lgs. 758/1994, trattandosi di scelta discrezionale del Legislatore costituzionalmente legittima, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due disposizioni.

La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cuneo relativa all’art. 318 septies, comma 3 T.U.A., il quale prevede che “L’adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell’articolo 318-quater, comma 1, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza sono valutati ai fini dell’applicazione dell’articolo 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare è ridotta alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa”.

L’adempimento di cui al comma 3 del menzionato articolo riguarda, come noto, la prescrizione che l’organo di vigilanza – nelle funzioni di Polizia Giudiziaria – impartisce al soggetto che vìoli una delle contravvenzioni previste dal Testo Unico Ambientale “che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette” (secondo il disposto dell’art. 318 bis), al fine di eliminare la contravvenzione accertata, nell’ambito della procedura prevista dalla Parte Sesta bis del medesimo Testo Unico.

Per l’adempimento di tale prescrizione viene fissato un termine, in base al tempo valutato come tecnicamente necessario. Se il contravventore adempie entro tale termine, è ammesso a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Qualora l’adempimento avvenga in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell’articolo 318 quater, comma 1 (entro sessanta giorni dalla scadenza) si ricade nell’ipotesi prevista dall’art. 318 septies T.U.A. oggetto di valutazione della sentenza, ossia si applica l’articolo 162-bis c.p. e si versa una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Tale insieme di disposizioni è stato mutuato da quanto previsto dal D.Lgs. 758/1994 in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro; e proprio a partire dal raffronto tra le due discipline, in una vicenda relativa ad un’opposizione a decreto penale di condanna nella quale l’imputato aveva chiesto di essere ammesso a pagare una somma pari a un quarto e non alla metà del massimo dell’ammenda, il Giudice a quo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per presunta violazione dell’art. 3 Cost., “atteso che la sostanziale analogia tra la formulazione letterale delle norme che disciplinano le due fattispecie poste a confronto porta a escludere ogni plausibile giustificazione rispetto alla scelta di differenziare il trattamento in caso di oblazione”. In caso di adempimento tardivo ma congruo nell’ambito di contravvenzioni alle norme di prevenzione sugli infortuni sul lavoro, infatti, l’art. 24, comma 3 D.Lgs. 758/1994 prescrive il pagamento nella misura più “lieve” del quarto del massimo dell’ammenda.

La Corte – con motivazione per la verità alquanto scarna – ha dichiarato non fondata la censura, argomentando nel senso che il Legislatore, pur essendosi chiaramente ispirato alla disciplina della sicurezza sul lavoro nell’emanazione della Parte Sesta bis T.U.A., ben ha potuto prevedere una distinzione nell’entità della somma che il contravventore è ammesso a versare al fine di beneficiare dell’oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p. in caso di adempimento tardivo alle prescrizioni, attesa la diversità dei beni giuridici contemplati.

La violazione dell’art. 3 Cost. si sarebbe verificata, in altre parole, qualora l’incongruenza avesse riguardato il diverso trattamento del medesimo bene giuridico; tuttavia, trattandosi di tutela da un lato della sicurezza sul lavoro e dall’altro dell’ambiente, essa si sostanzia semplicemente nella scelta discrezionale – e costituzionalmente legittima – del Legislatore di approntare una più robusta difesa di quest’ultimo, attraverso il pagamento di una somma più elevata (peraltro comunque ridotta e alla quale consegue il beneficio premiale dell’estinzione del reato).

La decisione si espone a qualche osservazione. Se è indubitabilmente vero, infatti, che le due normative – di cui quella ambientale chiaramente ispirata a quella infortunistica, che ha riprodotto in maniera pedissequa e letterale – sono poste a presidio di beni giuridici all’evidenza diversi, è altrettanto vero, come correttamente evidenziato dal Giudice a quo, che essi sono equiparabili in termini di rilevanza costituzionale.

Invero, se per quel che concerne la salute e la sicurezza dei lavoratori la Carta costituzionale offre, come noto, un riscontro diretto e tangibile di tale rilevanza – attraverso il combinato disposto degli articoli 32 e 41 – anche il bene ambiente è stato oggetto, negli anni, di crescente attenzione da parte della Corte, la quale con diverse pronunce ha inteso integrare quanto previsto dall’art. 9 in tema di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione. In specie, con le sentenze 210 e 641 del 1987 è stato definitivamente chiarito che “l’ambiente è un bene giuridico riconosciuto e tutelato da norme” e che “la sua protezione rappresenta “un diritto fondamentale della persona umana” oltre che “un valore costituzionale primario” assieme a quello della salute individuale e collettiva. Con la riforma del Titolo V, inoltre, i rinvii espliciti ad “ambiente” ed “ecosistema” introdotti all’art. 117, comma 2, hanno ulteriormente rafforzato i parametri costituzionali di riferimento per la salvaguardia ambientale.

Viene dunque forse spontaneo domandarsi se le “situazioni identiche” nell’ambito delle quali va operata la valutazione di un’eventuale disparità di trattamento ai sensi dell’art. 3 Cost. possano riguardare solo disposizioni a tutela del medesimo bene giuridico ovvero anche, come nel caso in esame, disposizioni a tutela di beni giuridici diversi ma aventi lo stesso – primario – rango costituzionale.

Anche in dottrina peraltro, al tempo della introduzione della Parte Sesta bis T.U.A., si è spesso parlato, con specifico riferimento all’art. 318 septies, di “svista” del Legislatore, ritenendone difficilmente giustificabile sotto il profilo sistematico la diversa previsione rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. 758/1994. Ciò proprio in ragione del fatto, lo si ripete, che la disciplina relativa all’estinzione delle contravvenzioni ambientali riproduce anche lessicalmente le disposizioni di cui agli articoli 20 e seguenti D.Lgs. 758/1994, e che la difformità tra il dettato dell’art. 318 septies, comma 3 T.U.A. e il corrispondente art. 24, comma 3 D.Lgs. 758/1994 rappresenta l’unica differenza tra le due normative. Né il Legislatore ha mai esplicitato la ratio sottesa a tale scelta (ad esempio in sede di lavori preparatori), inducendo i commentatori a ritenere che non di scelta si sia trattato, bensì di errore nella redazione del testo.

E persino l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, come opportunamente rilevato nell’ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale, nella Relazione III/4/2015 del 29 maggio 2015 aveva interpretato il disposto dell’art. 318 septies T.U.A. nel senso di derivarne la possibilità di applicare “un’oblazione ridotta rispetto alle previsioni di cui all’art. 162 bis del codice penale”.

Se di errore si è trattato, in ogni caso, esso non può però certo essere emendato dall’interprete; e questa è la ragione dell’intrinseco interesse della pronuncia in esame, costituendo un’opportunità di bilanciamento e di equilibrio tra due disposizioni identiche.

Venuta meno l’ipotesi di un allineamento tra le due disposizioni attraverso la via della censura ad opera della Corte Costituzionale, non resta che attendere un auspicabile – quanto, per la verità, improbabile – revirement da parte del Legislatore, che sarebbe oltremodo opportuno, considerato che l’intera Parte Sesta bis T.U.A. costituisce, complessivamente, un lodevole esempio di legislazione premiale tesa ad intervenire in maniera efficace e restitutiva rispetto alle contravvenzioni che non abbiano suscitato danno o pericolo di danno.

Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Corte Costituzionale) cliccare sul pdf allegato

Ripa_Corte Cost. 76-2019

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