di Paola Brambilla
T.A.R. LAZIO, Sez. II bis, 27 marzo 2019, n. 5892 – Pres. Stanizzi, Est. Fratamico, LAV ONLUS (Avv. Squintu) c. MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI (Avvocatura dello Stato), ACQUARIO DI GENOVA, COSTA EDUTAINMENT S.P.A. (n.c.) e ZOOMARINE ITALIA S.P.A. (Avv. Mazzantini).
Il decreto ministeriale 20.12.2017 che consente iniziative al pubblico di nuotare nei parchi acquatici con i delfini è illegittimo in quanto non tutela il benessere animale, né si cura della sicurezza e della salute pubblica, in violazione del principio generale di precauzione in materia ambientale e dei principi della direttiva 1999/22/CE sulla custodia degli animali zoologici. Oltre a non tenere in alcun conto infatti, né controdedurre, i pareri negativi resi dai Centri di Referenza nazionale per il benessere animale e per gli interventi assistiti con animali, così da non escludere con sufficiente certezza detti gravi rischi per animali e umani, il decreto prevede un inaccettabile meccanismo di silenzio assenso previsto, che di fatto – lungi dal dar vita a iniziative formative sulla biodiversità – consente a chiunque acquisti un biglietto di entrare in vasca con i tursiopi, ciò che ne impone l’annullamento. Senza contare, comunque, che i delfini non sono animali domestici di affezione suscettibili di impiego nella c.d. pet therapy.
La storia ha fatto in pochi giorni il giro del globo, specie sui siti specializzati in difesa dei mammiferi marini, ma i suoi risvolti giuridici sono meno noti.
Il quadro di riferimento è quella della direttiva europea in materia di giardini zoologici, 1999/22/CE nata per disciplinare nello specifico l’esposizione di animali selvatici a fini didattici o ricreativi, che costituisce una espressa deroga ai divieti generali di cattura e detenzione di fauna selvatica posti, ad origine, dal Regolamento 1997/338/CE relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio, e quindi dalle più note direttive Uccelli 2009/147/CE ed Habitat 92/43/CEE. Queste vietano la cattura, il possesso e il commercio di un gran numero di specie, ma ammettono deroghe a detti divieti per motivi specifici, ad esempio per fini didattici e di ricerca, di ripopolamento, di reintroduzione e di allevamento[i] a cui possono ricondursi le finalità dei moderni giardini zoologici.
La normativa comunitaria in materia è in ogni caso particolarmente sintetica, in quanto si limita a prevedere norme comuni a presidio dell’esigenza che i giardini zoologici svolgano adeguatamente questo ruolo nell’ambito della conservazione delle specie, dell’istruzione pubblica e/o della ricerca scientifica, attraverso un sistema di licenze e di controlli quanto alle modalità di custodia degli animali in queste strutture, alla formazione del personale e all’istruzione dei visitatori.
Il cuore della normativa è racchiuso, sotto l’aspetto contenutistico, all’art. 3, che detta i requisiti applicabili ai giardini zoologici, distinti in: a) obblighi di partecipazione a ricerche per la conservazione delle specie l’allevamento in cattività, il ripopolamento o la reintroduzione di specie nella vita selvatica; b) obblighi di promozione dell’istruzione e della sensibilità del pubblico quanto alla conservazione della biodiversità, attraverso la divulgazione di informazioni sulle specie esposte e sui loro habitat naturali; c) obblighi di tutela quanto alla sistemazione degli animali in condizioni volte a soddisfare le esigenze biologiche e di conservazione delle singole specie, in particolare attraverso l’arricchimento specifico delle zone recintate e il mantenimento di un elevato livello qualitativo nella custodia degli animali con trattamenti veterinari preventivi e curativi e di alimentazione; d) prevenzione della fuga degli animali, per evitare eventuali minacce ecologiche per le specie indigene ed impedire il diffondersi di parassiti.
La direttiva è stata attuata con il D. Lgs. 73/2005, che si compone di pochi articoli e di una serie di allegati in cui sono prescritte in dettaglio le misure di gestione per cura degli animali, benessere, salute e igiene (Allegato 1), gli aspetti veterinari (Allegato 2) e di protezione e sicurezza (Allegato 3), tutti rilevanti ai nostri fini in quanto insistono sulla necessità di proteggere gli animali, per il loro benessere etologico, dal contatto troppo ravvicinato con i visitatori, da rumori ed interazioni fonte di stress e danni agli animali, e sull’importanza anche del confinamento in spazi riservati per evitare rischi di diffusione di patologie o di incidenti indesiderati.
I tursiopi si vedono poi dedicare, all’interno dell’Allegato 1, una specifica sezione H, in cui le cautele di cui abbiamo detto vengono ulteriormente declinate per una maggior protezione della specie, con la previsione ai punti 37, 38 e 39 del divieto di ingresso in vasca di soggetti diversi dagli addestratori e di personale tecnico monitorato, e del divieto di alimentazione dal pubblico o di contatto fisico con il pubblico.
Questo rigore però con il Decreto Ministeriale 20 dicembre 2017, frutto di evidenti pressioni, viene all’improvviso meno, in quanto l’allegato viene modificato con la previsione della possibilità, per le strutture, di consentire l’accesso del pubblico alle vasche per lo svolgimento di non meglio precisati programmi di educazione e sensibilizzazione, e ciò previa semplice comunicazione al Ministero e formazione di silenzio assenso nei successivi 30 giorni.
La nuova disciplina viene impugnata dalla LAV, lega per l’abolizione della vivisezione, individuata dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dalla L. 349/86 quale associazione riconosciuta di tutela ambientale, che ne censura due aspetti fondamentali: la mancata considerazione del benessere animale in primo luogo, ma al contempo la sconsiderata difettosa attenzione posta anche ai rischi per la salute pubblica. Ecco allora che si spiega perchè la prima questione affrontata dai giudici al riguardo sia proprio l’eccezione, sollevata dall’interveniente, della carenza di legittimazione del sodalizio alla protezione della salute umana.
La censura viene però respinta sulla scorta del rilievo delle finalità statutarie dell’associazione, dichiaratamente tese non solo alla tutela degli animali, ma anche alla “salvaguardia della salute umana”, di cui l’ente si propone il perseguimento attraverso la diffusione della cultura scientifica per il raggiungimento di una convivenza basata non su modelli antropocentrici ma biocentrici.
A ben vedere, però, a parte lo Statuto, oggi le evidenze generali cui è approdata la comunità scientifica in questo terzo millennio (meno le istituzioni), dimostrano l’esistenza di una strettissima connessione tra la protezione del benessere animale e la salute umana,[ii] per cui il primo assicura la prevenzione della diffusione di zoonosi, malattie che dagli animali si trasmettono all’uomo, con effetti spesso pandemici: prima causa tra tutte l’antropizzazione delle terre emerse, che ha raggiunto la soglia del 75% a livello globale, con il conseguente incremento delle possibilità di contatto tra la fauna selvatica a cui viene sottratto habitat, e le comunità umane in continua espansione; ancora, altra causa ben nota è l’allevamento di massa di animali da reddito, vera e propria fucina virale in continua mutazione genetica. Sono proprio queste acquisizioni scientifiche ad avere portato alla promulgazione di specifiche normative europee e nazionali, e all’istituzione di specifici sistemi di sorveglianza internazionali e comunitari.[iii]
Sul piano contenutistico, i temi dibattuti nel contenzioso sono relativi per lo più alla compatibilità della misura (il nuoto in vasca con il pubblico) con il dato normativo unionale dell’art. 13 del TFUE, più generale, relativo alla protezione del benessere animale, e con la specifica normativa comunitaria sui giardini zoologici. [iv]
Quanto al primo, la norma viene solo sfiorata nella pronuncia, rimane sullo sfondo: forse per la consapevolezza, da parte dei giudizi, che la finalità di assicurazione del benessere animale contenuta nel Trattato è stata ben presto ricondotta da dottrina e giurisprudenza alla categoria delle finalità di interesse generale, di rango assolutamente non paragonabile ai principi generali del diritto dell’Unione.[v]
Aggiungiamo noi che, inoltre, è la stessa norma del TFUE a rivelarsi residuale, posto che essa assicura la considerazione del benessere animale solo a livello incidentale, ovvero nell’ambito di altre politiche sorrette da altri scopi e finalità, prescrivendo che tengano in conto però anche di questa esigenza;[vi] e che è ancora la stessa disposizione ad esplicitare che questa preoccupazione generale possa essere recessiva o quanto meno soggetta a bilanciamento con altri interessi che le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri possono prevedere per i più svariati motivi: religiosi, culturali, locali e dunque anche meramente ricreativi.
Il rapporto tra queste esigenze ed interessi confliggenti nella maggior parte dei casi emerge, all’interno della dialettica giurisprudenziale, attraverso l’uso maieutico operato dai giudici del principio di proporzionalità, che pone a confronto specialmente l’inutilità della sofferenza e i benefici attesi dalla pratica in contestazione. [vii]
Ciò chiarito, maggiore attenzione viene invece prestata nella pronuncia al grande canone della precauzione, questo sì un principio generale del diritto europeo, assunto quale faro guida nella politica ambientale grazie al puntuale richiamo dell’art. 191 TFUE, e dunque cruciale anche in tema di tutela animale, dove soccorrono anche specifiche normative, anche di rango internazionale, fonti di specifici obblighi e divieti di protezione più circostanziati del generico fine di protezione del benessere animale di cui si è detto.[viii]
Il principio di precauzione impone, nel dubbio circa l’assenza di conseguenze negative per l’ecosistema – o, nel nostro caso l’animale – di non dar corso all’intervento prospettato, così da tracciare un criterio di condotta molto simile all’epochè stoica, o sospensione del giudizio, di natura filosofica – la contaminazione multidisciplinare è propria del diritto dell’ambiente – che sopperisce alla mancanza di adeguate conoscenza scientifiche sugli effetti di determinati comportamenti, dando vita ad una sorta di moratoria con funzioni di salvaguardia di beni preziosi, comuni o dello Stato come nel caso della fauna selvatica, non agevolmente riproducibili.
Nel caso che ci occupa la violazione del principio di precauzione viene anche legata al difetto di istruttoria del provvedimento, assolutamente impermeabile alle valutazioni scientifiche rese in senso negativo da due organismi nazionali di rilievo, il Centro di referenza nazionale per il benessere animale e il Centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti con animali, i c.d. IAA noti anche come pet therapy.
Ebbene, in fase di parere specialmente il primo organismo, quello correttamente coinvolto per competenze, ha giustamente evidenziato i profili di rischio per il benessere dell’animale correlati allo stress del contatto con il pubblico e al rischio di trasmissione di malattie dall’uomo al delfino,[ix] e quanto ai pregiudizi per la salute umana ha posto in luce i pericoli di veicolazione inversa di patologie dai delfini all’uomo, come pure la probabilità di verificazione di comportamenti aggressivi o incontrollabili dei delfini, frequenti in un contesto caratterizzato dalla sofferenza della cattività e dal contatto forzato con l’uomo.
Ciò nonostante il D.M. impugnato non ha assolto ai doveri istruttori propri di un provvedimento amministrativo, sia pure di carattere generale, accertando come avrebbe dovuto l’esistenza dei presupposti per poter escludere la messa a repentaglio sia del benessere animale che della salute umana, cosi omettendo per di più – riflesso necessario – ogni adeguata motivazione sul punto.
Ora, la pronuncia non si sofferma su questo aspetto del difetto di motivazione, perché non sollevato né dall’associazione ricorrente, né eccepito da amministrazioni e controinteressato, che pure avrebbero potuto contestare l’esistenza di un obbligo motivazionale per un atto, modificativo dell’Allegato 1 del d. lgs. 73/2005, sicuramente annoverabile tra i provvedimenti generali e astratti, per cui l’art. 3 della L. 241/90 esclude tale onere.
La riflessione che però si impone è che in ogni caso il difetto di istruttoria comunque sussiste, e che in materia ambientale, ove si verte in ipotesi di deroghe rispetto a precetti generali di tutela di specie o ecosistemi, la giurisprudenza ha sinora ritenuto nella maggior parte dei casi che una motivazione sia sempre necessaria, persino nelle ipotesi di leggi-provvedimento.[x]
Qui si pone in luce come questa difettosa istruttoria viene smascherata sia nella sua componente negativa – di mancato approfondimento delle conseguenze sul benessere animale e umano dell’accesso in vasca del pubblico – sia, soprattutto, nella sua componente positiva ed artefatta – del camuffamento di questa mera prassi commerciale sotto le spoglie di non meglio precisati programmi di educazione alla biodiversità e di conservazione – ciò che la sentenza coglie immediatamente, al di là del velo del greenwashing, rilevando che ciò che conta per l’iniziativa è il solo previo pagamento di un biglietto, e non già la partecipazione ad attività di formazione o sensibilizzazione.
Il richiamo invece al parere reso dall’altro Centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti da animali inquieta, non tanto per l’esito sfavorevole alla pratica, piuttosto per il fatto che il centro sia stato interpellato.
Mentre infatti il Centro nazionale di referenza per il benessere animale risponde alle verifiche previste dal D. Lgs. 26/2914, di attuazione della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, che estende a tutti gli utilizzi di animali, non solo per la c.d. vecchia nozione di “sperimentazione” l’accertamento del rispetto del benessere animale ad opera di appositi organismi, questo secondo invece deve occuparsi solo della più circoscritta attività di c.d. pet therapy, oggetto di un Accordo tra Stato-Regioni del 25 marzo 2015 a valle del quale sono state emanate Linee guida nazionali, le quali prevedono espressamente, al punto 8), che gli animali impiegati negli interventi assistiti appartengono esclusivamente a specie domestiche in grado di instaurare relazioni sociali con l’uomo, quali cani, cavalli, asini, gatti e conigli.[xi] Giustamente, dunque, il Collegio non si diffonde su quest’ultimo parere, perché i delfini non sono affatto specie domestiche.
L’ultimo rilievo viene riservato al meccanismo deleterio di silenzio assenso previsto per questi programmi, suscettibili di poter essere avviati solo previa comunicazione al Ministero, non seguita da diniego entro i trenta giorni, che il TAR Lazio esclude possa regolare la fattispecie, ai sensi del disposto dell’art. 20, comma 4, della L. 241/90, per cui “le disposizioni in tema di silenzio assenso non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti”.
Ora, tutto il sistema della CITES, anche relativo ai giardini zoologici, è informato al principio della licenza, dell’autorizzazione, della stretta osservanza e controllo delle specie detenute e dei trattamenti ed attività previsti per gli scopi scientifici ed educativi propri del settore, ai fini del rispetto del benessere animale e della salvaguardia della biodiversità, tale sia quando riguarda la fauna libera che la fauna in cattività, per le ragioni evidenziate più sopra: ebbene, se una delle residue ragioni giustificatrici dell’esistenza di zoo e parchi faunistici aquatici risiede nella salvaguardia della biodiversità più a rischio, per cui queste strutture opererebbero come una sorta di “banca, o serbatoio, o riserva” di varietà genetica, è allora fuor di dubbio che gli esemplari detenuti i cattività debbano essere destinatari di un regime di protezione particolarmente rigoroso da parte dei relativi custodi, e in ultima analisi da parte dello Stato, che assume una vera e propria posizione di garanzia.
Da ultimo, la sentenza non tocca il tema del maltrattamento, perché si occupa del quadro autorizzatorio di una serie di programmi che soli come fattispecie concrete, possono dar vita a fattispecie di reato.
Ebbene, in tema di delfinari non dobbiamo andare molto lontano. In altre sedi, infatti più di una denuncia circostanziata delle associazioni animaliste ed indagini serrate da parte della magistratura hanno permesso di accertare, all’interno di alcuni tra i più noti delfinari italiani, ultimo quello di Rimini, gravi e sistematiche condotte di maltrattamento, finalizzate proprio allo sfruttamento a fini di lucro degli animali, sottoposti a trattamenti farmacologici abusivi, financo a sedazioni per agevolare il contatto con il pubblico, detenuti in condizioni di detenzioni incompatibili con il benessere animale e in oggettivo discostamento dai requisiti imposti in dettaglio per i tursiopi in cattività dagli allegati, specie il n. 3), del d. lgs. 75/2003.[xii]
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato
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[i] Sembra assurdo, ma in parte questa finalità scientifica può davvero rivelarsi importante: basti pensare che in Ruanda, nel Parco di Akagera, grazie a un progetto dell’EAZA, European Association of Zoos and Aquaria, sono stati di recente – il 20 giugno 2019 – reintrodotti in natura 5 rinoceronti neri, frutto di attenti incroci genetici tra gli esemplari presenti nei giardini zoologici di diversi paesi europei, per ripopolare un territorio dove il bracconaggio aveva azzerato la popolazione nativa. In Europa oggi è presente il 10 % della popolazione mondiale di rinoceronte nero, 94 esemplari sui 1000 circa rimasti nel continente Africano. Il progetto fa parte di un più ampio Programma per la conservazione ex situ delle Specie Minacciate, il cui acronimo è “EEP” (EAZA Ex-situ Program). Per un approfondimento https://www.eaza.net/latest-news/
[ii] Per una recente analisi del diritto all’ambiente salubre, A. Gratani, Diritto “Fondamentale” dell’uomo alla salubrità ambientale. Un panorama critico e aggiornato tra Diritto Cedu, Europeo e Comparato, Collana di Studi Diritto e Ambiente, Università di Pavia, Roma 2018. Sono le stesse problematiche di cui si è occupata, nell’intreccio tra la tutela della salute preminente nell’ottica Cedu e la tutela ambientale, anche P. Brambilla, in La CEDU e l’emergenza rifiuti: la condanna del diritto interno in tema di danno ambientale, in questa Rivista, 2012, p. 408.
[iii] A livello nazionale il D.M. 15 dicembre 1990 si occupa di sanità pubblica e relativo alla notifica delle malattie infettive e diffusive, mentre il D. Lgs. 4 aprile 2006 n. 191, in materia di sicurezza degli alimenti e sanità pubblica veterinaria, disciplina la sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici e l’indagine epidemiologica dei focolai di tossinfezione alimentare. A livello europeo il quadro dell’andamento delle zoonosi sotto stretto controllo da parte dell’Unione, viene fatto oggetto di Relazioni annuali periodiche, di cui l’ultima è “The European Union summary report on trends and sources of zoonoses, zoonotic agents and food-borne outbreaks in 2017” edito dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) sulla base dei dati raccolti dai 28 Paesi Ue, cfr. EFSA Journal, 2018 n. 16, disponibile anche su www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/5500.
[iv] L’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea dispone che “nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale”. Per un commento, F. Barzanti, La tutela del benessere degli animali nel Trattato di Lisbona in Dir. Un. Europea, 2013, pp. 49 e ss., nonché E. Sirsi, Il benessere degli animali nel trattato di Lisbona, Riv. Dir. Agr., 2011, 220 ss.
[v] Questa differenza viene ben posta in luce da M. Lottini, La tutela degli animali d’affezione tra diritto italiano ed europeo, Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, Quarterly Journal of Environmental Law, n. 1, 2017, p. 110. L’A. riporta alcuni casi emblematici sentenze: Corte giust., Terza Sez., 17 gennaio 2008, Viamex Agrar Handel e ZVK c. Hauptzollamt Hamburg-Jonas, cause riunite C-37/06 e 58/06, in Raccolta, 2008, pp. I-69 ss., par. 22; nonché, Corte giust., Terza Sez., 19 giugno 2008, Nationale Raad van Dierenkwekers en Liefhebbers VZW e Andibel VZW c. Belgio, C-219/07, in Raccolta, 2008, pp. I-4475 ss., par. 27.
13 Secondo l’Avvocato Generale M. Bobek, «nel diritto dell’Unione, sia a livello di diritto primario che di diritto derivato, è presente una manifesta dichiarazione di valore da parte dell’Unione, che può essere intesa nel senso che fornisce un orientamento interpretativo. Tuttavia, come avviene per altri valori, il benessere degli animali non è assoluto [….], ma deve essere ponderato con altri obiettivi, in particolare la tutela della salute umana». Conclusioni dell’Avvocato generale M. Bobek, 17 marzo 2016, European Federation for Cosmetic Ingredients c. Secretary of State for Business, Innovation and Skills, C-592/14, par. 21.
[vi] La natura assolutamente condizionale della previsione è emersa con chiarezza nelle due recenti pronunce della Corte di Giustizia relative alla macellazione rituale, in cui l’esigenza di garantire il benessere animale è stata affermata ma solo come pratica dello stordimento preventivo funzionale, nel primo caso, a rassicurare i consumatori dei prodotti etichettati come biologici, nel secondo per escludere che i costi economici per garantire questo adempimento nel periodo della festa del sacrificio potessero determinarne la disapplicazione. Nella prima pronuncia, in dettaglio, Grande Sezione, 26 febbraio 2019 C-497/17, la Corte di Giustizia afferma che il regolamento n. 834/2007, segnatamente il suo articolo 3 e il suo articolo 14, paragrafo 1, lettera b), viii), letto alla luce dell’articolo 13 TFUE, va interpretato nel senso che non autorizza l’apposizione del logo biologico dell’Unione europea su prodotti provenienti da animali che sono stati oggetto di macellazione rituale senza stordimento previo, svolta secondo i requisiti fissati dal regolamento n. 1099/2009.
La seconda sentenza, sempre a sezioni unite, 29 maggio 2018 C-426/16, esclude invece che la questione pregiudiziale sollevata dal giudice a quo (si trattava dei Paesi Bassi) possa racchiudere alcun elemento atto a inficiare la validità dell’articolo 4, paragrafo 4, del regolamento n. 1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera k), dello stesso regolamento, alla luce dell’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’articolo 13. In www.curia.europa.eu.
[vii] Per la trattazione del principio si rimanda a G. Scaccia, Il principio di proporzionalità, in L’ordinamento europeo – L’esercizio delle competenze, a cura di S. Mangiameli, Milano, 2006, p. 122 e ss. e G. Manfredi, Note sull’attuazione del principio di precauzione nel diritto pubblico, in Diritto pubblico, 2004, pp. 1075 e ss. Per un approfondimento degli orientamenti maturati a livello giurisprudenziale costituzionale e nelle corti amministrative, M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola. Roma, 2013 p. 24-26 nonché V. Parisio, Principio di proporzionalità e giudice amministrativo italiano, Nuove aut, 2006.
Quanto all’utilizzo specifico del principio di proporzionalità nelle vertenze attinenti all’utilizzo degli animali e al benessere animale, M.C. Maffei, Fois gras: una crudeltà culturale, in questa Rivista, 2017, p. 537 e ss. e in particolare 564-565, come pure sempre per il tema dei legami tra tutela del benessere degli animali d’allevamento e alimentazione umana, cfr. I. Trapè, Alimentazione animale e tutela del consumatore nella disciplina comunitaria, Agricoltura Istituzioni Mercati, 2005. Per gli altri aspetti, si rimanda a F. Rescigno, Il divieto degli animal testing cosmetici: un passo avanti verso la soggettività animale? Cosmetici. Diritto, regolazione, bio-etica, 2016, nonché L. Canavacci, La tutela degli animali non umani e la sperimentazione: brevi riflessioni su alcune strategie etiche, Rapporti Istisan, 2001, p. 23.
[viii] Una pietra miliare sul tema è lo scritto di T. Scovazzi, 1992, Sul principio precauzionale nel diritto internazionale dell’ambiente, 1992, p. 699. Precauzione e proporzionalità sono peraltro legati nell’analisi che ne opera S. Pugliese, Il rischio nel diritto dell’Unione Europea. Tra principi di precauzione, proporzionalità e standardizzazione, Cacucci, Studi sull’integrazione europea, 2017. Lo stretto legame tra precauzione e scientificità del metodo viene infine toccata da F. Battaglia, A. Rosati, I costi della non scienza. Il principio di precauzione, 21/mo Secolo, 2004. Si ricorda che la necessità di dare una codificazione all’articolato corpus di pronunce in materia, che hanno contribuito a vestire il principio sotto il profilo del metodo e del merito, ha portato la Commissione a pubblicare una Comunicazione sul principio di precazione Com(2001)final il 2 febbraio 2000, nel vigore dell’art. 174 TCE, poi divenuto l’art. 191 TFUE.
[ix] L’ultimo rapporto del Centro di referenza nazionale sui mammiferi spiaggiati segnala nel 2017 un aumento del numero dei cetacei arrivati sugli arenili senza vita, pari a 212 accertati, evidenziando l’aumento delle morti per morbillo e la presenza di Herpesvirus, correlati a un abbassamento delle difese immunitarie dovuto all’inquinamento del mare, specie da Pcb e plastiche, con ciò testimoniando le perniciosità del contatto tra uomo e animale anche nelle specie in libertà.
[x] Così M. Picchi, Un altro caso di motivazione obbligatoria della legge (nell’attesa del riconoscimento del principio gene-rale), Giur. cost. 2010, p. 4006. Sempre sull’argomento, dell’A., Caccia in deroga allo storno e ‘deregulation’ regionale: dalle leggi-provvedimento alle leggi ‘con’ provvedimento (tutte illegittime), in questa Rivista, 2018, p. 103.
[xi] Le linee guida, con ampio corredo bibliografico, sono pubblicate sul sito del Ministero della Salute, www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_276_allegato.pdf
[xii] Prima la Cassazione penale sez. IV, 10/05/2017, dep. 19/05/2017, con sentenza n. 25035 ha confermato il sequestro dei delfini, poi il Tribunale di Rimini pochi mesi dopo ha condannato l’ex Direttore e la Veterinaria della struttura rispettivamente a 6 mesi e a 4 mesi di reclusione ex art. 544 ter c.p. per maltrattamento di animali. La Procura di Rimini e la LAV hanno chiesto e ottenuto la confisca dei quattro delfini sequestrati nel 2013 dal delfinario della città, ottenendone l’affidamento ai Ministeri competenti – Ambiente, Salute e Politiche Agricole – con espressa esclusione della possibilità di loro messa in vendita (anche perchè nel frattempo i delfini, ospitati dall’acquario di Genova, si sono ristabiliti e hanno partorito numerosi cuccioli).
Nella specie, i giudici hanno seguito l’orientamento oramai consolidato per cui quando le condizioni dell’ambiente in cui è tenuto un animale sono idonee a causare gravi sofferenze se incompatibili con la sua natura, viene integrato il reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall’art. 727, comma secondo, cod. pen., dove la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo della fattispecie, viene essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere. Così, inter alia, Cassazione penale sez. III, 04/10/2016, n. 52031. Nello specifico caso dei delfini, è stato deciso che costituisce reato di maltrattamento di animali il mantenimento in cattività degli stessi in vasche con dimensioni e caratteristiche tecniche non conformi alle prescrizioni del D.M. 6 dicembre 2001 n. 469 (integrativo degli allegati più volte citati del D. Lgs. 73/2005) integrando tale condotta un comportamento incompatibile con il benessere dell’animale e con le sue caratteristiche etologiche. Per le pronunce, CED Cassazione penale.