Virus e cambiamento climatico: una relazione pericolosa

04 Apr 2020 | articoli, contributi, in evidenza 3

di Eva Maschietto

Molti sono gli articoli pubblicati sul web in questi giorni in merito al rapporto tra il diffondersi del virus Covid-19 (scientificamente identificato come SARS-CoV-2 e noto anche come coronavirus) e gli effetti del cambiamento climatico indotto dal comportamento umano sull’ambiente.

Scienziati e opinionisti di discipline anche molto differenti tra loro hanno trattato la questione sotto diversi profili a partire dall’osservazione epidemiologica ed eziologica del fenomeno, arrivando a ipotizzare effetti sociologici analoghi tra le conseguenze delle misure contenitive contro il diffondersi del virus e i cambiamenti sociali e comportamentali sulla vita dell’umanità determinati dal cambiamento climatico.

In un suo recente editoriale il Prof. Dietelmo Pievani, illustre evoluzionista titolare della prima cattedra italiana di Filosofia delle scienze biologiche, spiega con grande chiarezza il comportamento del Covid-19 e il suo legame con l’ambiente e i cambiamenti generati per opera dell’uomo.

Il Covid-19 si comporta esattamente come tutti i suoi simili (rabbia, influenza aviaria e suina, ebola etc.): i virus; biopolimeri formati da una molecola molto instabile e quindi soggetta a mutazioni l’RNA, vecchi di 3 miliardi di anni e capaci di infettare gli esseri viventi inizialmente monocellulari, come i batteri, e poi pluricellulari, vegetali e animali, per replicarsi infine – dopo lo spill-over, il salto di specie – nel corpo degli uomini.

Uomini che costituiscono l’ospite perfetto per consentire al virus di replicarsi (il solo imperativo darwiniano che ne governa l’azione); numerosi nell’ordine di sette miliardi e mezzo di individui, aggregati sul territorio di tutta la terra, alle latitudini con il clima più temperato ed adatto alla vita, in gigantesche concentrazioni metropolitane che facilitano il contatto, estremamente mobili e quindi ideali per consentire una diffusione capillare e penetrante.

Oltre ad essere ospiti perfetti – aggiunge il professor Pievani – noi uomini abbiamo fatto qualcosa di più per favorire il salto di specie, tramite i nostri sciagurati comportamenti.

Abbiamo, infatti, perturbato direttamente o indirettamente ecosistemi importantissimi come le foreste primarie, favorendo i contatti tra i c.d. “ospiti serbatoio” e cioè quei mammiferi che hanno imparato a convivere con il virus, e l’uomo.

Sul punto, Paola Brambilla, nell’articolo “Il diritto dell’ambiente e il coronavirus” in questo numero speciale della RGAOnline, approfondisce e documenta le due principali cause dello spill-over determinato da comportamenti diretti dell’uomo: la prima delle quali è la deforestazione per opera dell’introduzione di vaste coltivazioni[i], che ha causato l’avvicinamento delle specie serbatoio, e quindi del virus, all’uomo. Tali specie, poi, sempre per uno scopo volontario – e cioè il commercio di animali selvatici – sono state trasportate vive[ii] in mercati di tutto il mondo dove la promiscuità e l’assoluta mancanza di igiene hanno favorito il contagio umano; questa quindi la seconda causa diretta del balzo alla nostra specie.

Ma vi sono altri comportamenti riconducibili alla volontà dell’uomo e quindi del tutto intenzionali, che hanno favorito il fenomeno in maniera indiretta: si tratta di quelle stesse condotte che vengono associate alle cause del cambiamento climatico (o meglio, in questo momento, della “crisi climatica”, come scrive Ruggero Tumbiolo nel suo articolo, sempre pubblicato in questo numero speciale di RGAOnline “L’avanzata del male comune”), e cioè l’inquinamento dell’aria dovuto all’incremento incontrollato delle emissioni industriali e civili, del traffico aereo, che comporta effetti diretti sugli ecosistemi terrestri, la distruzione delle foreste e degli habitat più sensibili, i disequilibri degli ecosistemi marini determinati dall’azione inquinante dell’uomo, e – ancora – l’innalzamento delle temperature e l’intervento di fenomeni atmosferici eccezionali, che hanno cagionato lo spostamento delle specie animali sempre più in prossimità dei centri abitati per cercare il cibo oramai non reperibile nei propri habitat originari.

Vi sarebbero, quindi, alcune chiare identità eziologiche tra il cambiamento climatico e la diffusione del Covid-19.

Ne è convinta Inger Andersen, direttrice esecutiva del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), che lancia un vero e proprio grido di allarme, avvicinando il Covid-19 ad altri recentissimi fenomeni a suo avviso tutti determinati dall’azione umana sul clima, quali i devastanti incendi australiani di inizio anno e l’invasione delle locuste in Kenya (la peggiore degli ultimi 70 anni).

Insieme a lei[iii] altri scienziati denunciano con vigore l’insuccesso della separazione tra le politiche ambientali e le politiche sanitarie, e richiamano i governi ad azioni immediate di responsabilità per ripensare all’intera materia in modo unitario.

Il rapporto tra la tutela dell’ambiente e la salute è una questione la cui soluzione dipende da scelte politiche e legislative complesse; come noto, in Italia, i due ambiti sono separati quanto all’attribuzione della competenza legislativa: l’art. 117 della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente (e dell’ecosistema), mentre la tutela della salute è una materia di competenza concorrente[iv].

Anche a prescindere dalla politica di regolamentazione delle due materie in generale, la scienza sta ponendo in evidenza il fatto che la relazione tra il cambiamento climatico e la salute pubblica stia diventando sempre più stretta e pericolosa.

Lo studio che più di recente ne ha posto in evidenza le strette connessioni, portando all’attenzione i pericoli degli effetti del cambiamento climatico su ciascuna delle fasce di popolazione è il report di Lancet del 2019, dal titolo molto significativo “The 2019 report of The Lancet Countdown on health and climate change: ensuring that the health of a child born today is not defined by a changing climate[v].

Lancet – sulla scia del World Scientists’ Warning of Climate Emergency sottoscritto da 11.000 scienziati di 153 paesi[vi] – ci mostra i rischi specifici ai quali è esposto un bambino, nato nel 2019, nel corso della sua vita, in rapporto agli indicatori che collegano il cambiamento climatico e gli effetti negativi sulla salute.

Un uomo nato oggi sarà esposto a un mondo con temperature di oltre quattro gradi più alte rispetto a quelle dell’era pre-industriale, e dovrà affrontare situazioni e pericoli legati al cambiamento climatico che avranno una diretta influenza sulla sua salute, diversi nelle varie fasi della sua esistenza dall’infanzia, attraverso l’adolescenza, all’età adulta fino alla vecchiaia.

Dei quarantuno indicatori esaminati dalla ricerca, alcuni sono tristemente premonitori della tragica epidemia del Covid-19: Lancet esamina in particolare il rischio di trasmissione della dengue (un virus trasmesso dalle zanzare, sempre composto da una molecola di RNA ma appartenente alla famiglia delle Flaviviridae, diversa dai coronavirus, responsabile di febbri emorragiche) e il contagio da vibrioni (questi, invece, batteri che causano malattie diarroiche), con il rischio di patologie particolarmente critiche nell’infanzia.

Crescendo, lo stesso uomo, a partire dalla fase dell’adolescenza sino all’età adulta e alla vecchiaia, sarà esposto ad ulteriori pericoli e rischi causati dal cambiamento climatico: in particolare a causa dell’inquinamento atmosferico, esacerbato dall’innalzamento delle temperature, potrà subire danni progressivi al sistema cardiocircolatorio, ai polmoni e agli altri organi vitali, e sarà soggetto a fenomeni di accumulo di sostanze inquinanti (soprattutto polveri sottili) nell’organismo.

Questi stessi indicatori citati dalla ricerca di qualche mese fa, prima che l’epidemia scoppiasse o quantomeno fosse resa nota, sono divenuti tristemente famosi in questi giorni come chiari elementi di aggravamento del rischio di contagio da Covid-19 nei pazienti cardiopatici e con patologie respiratorie croniche.

La relazione pericolosa, quindi, tra cambiamento climatico e Covid-19 si estende dalla causalità originaria alla causa dell’aggravamento della morbilità e della letalità dei suoi effetti.

D’altro lato, sono moltissime le immagini di questi giorni che ci mostrano come l’epidemia di Covid-19 abbia avuto effetti positivi sul cambiamento climatico portando ad una riduzione visibile delle emissioni soprattutto di biossido di azoto in Cina e anche nelle nostre città italiane.

Alla vista delle immagini satellitari della pianura padana, davanti alle fotografie dei germani nei canali di Venezia, di fronte all’acqua limpida degli stessi canali pieni di cefali ci siamo tutti un po’ emozionati pensando di assistere alla riconquista da parte della natura dei suoi spazi, invasi e violentati dall’uomo.

E ci siamo consolati per le limitazioni imposte alla nostra libertà, aprendo la finestra di casa e sentendo un’aria più pulita, come di montagna.

Ma anche questa consolazione non è durata a lungo.

Siamo stati bruscamente riportati alla realtà dall’articolo di Gabriele Crescente su Internazionale[vii] che ci ha riferito l’opinione di Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia per cui, a seguito delle grandi crisi economiche (come quella che si è inevitabilmente aperta in tutto il mondo a causa del lockdown), il calo delle emissioni è stato di brevissima durata e la ripresa economica ha portato a un’impennata delle stesse emissioni in termini di quantità e rapidità.

Ha posto l’accento sulla c.d. “intensità di emissione” corrispondente alla quantità di gas serra emessa per ogni unità di ricchezza prodotta: questa grandezza varia in diminuzione sulla base dell’avanzamento della scienza e del progresso tecnologico che investe in efficienza energetica e in nuove tecnologie meno inquinanti.

La paura è che la crisi economica determini una mancanza di risorse per l’investimento nei progetti green a favore di tecnologie meno costose e già disponibili, e certamente molto più inquinanti: si paventa un ritorno da parte della Cina alla costruzione di nuove centrali a carbone per accelerare la ripresa dell’economia.

Si rischia, quindi, che il Covid-19, anche dopo il suo contenimento, determini altri effetti devastanti, passando ad essere causa anziché effetto del cambiamento climatico, in un boomerang di ritorno a emissioni più inquinanti e intense.

Mi sembra che sia lo stesso articolo a suggerire la soluzione per evitare che ciò accada o comunque per limitarne gli impatti negative: si deve investire sempre di più nella ricerca e nello studio, aumentando le conoscenze e migliorando la tecnologia ed applicandola sulla base delle esperienze passate. Studio, pensiero e conoscenza sono i valori essenziali che ci distinguono e che soli possono salvarci.

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Maschietto_COVID and Climate Change

Note:

[i] Altre cause individuate dalla letteratura scientifica sono riconducibili al “furto di terra” dovuto allo sfruttamento delle risorse minerarie ovvero al consumo di suolo per la costruzione delle abitazioni o degli altri complessi insediativi.

[ii] Il Prof. Andrew Cunningham direttore della Zoological Society di Londra ha rilevato che lo stress emotivo cui sono sottoposti gli animali selvatici nel trasporto e nella detenzione in piccole gabbie per la vendita nei mercati comporta uno stato di stress nell’animale che incrementa le secrezioni e le escrezioni, facilitando cosi’ la diffusione anche degli agenti patogeni di cui è – come osservato nel testo – serbatoio.

[iii] Le opinion sono riportate dal Guardian nell’articolo del 25 marzo scorso: Coronavirus: ‘Nature is sending us a message’, says UN environment chief: https://www.theguardian.com/world/2020/mar/25/coronavirus-nature-is-sending-us-a-message-says-un-environment-chief

[iv] Ciò non toglie naturalmente che – come chiarito in diverse pronunce dalla Corte Costituzionale – la legislazione regionale possa approntare misure ambientali in vista di una maggiore tutela della salute, comunque nel quadro della legislazione nazionale e con un riguardo agli altri interessi tutelati. Si vedano, ad es. sentenze Corte Cost. n. 225/2009 (red. Maddalena), n. 233/2009 (red. Finocchiaro), n. 285/2013 (red. Cassese) per cui “In questo ambito, «non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente», anche se le Regioni possono stabilire «per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela più elevati», pur sempre nel rispetto «della normativa statale di tutela dell’ambiente» (sentenza n. 61 del 2009). Al contempo, «i poteri regionali “non possono consentire, sia pure in nome di unaprotezionepiùrigorosadellasalutedegliabitantidellaRegionemedesima, interventi preclusivi suscettibili […] di pregiudicare, insieme ad altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio […]» (sentenza n. 54 del 2012)”.

[v] Il documento è liberamente scaricabile al sito https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)32596-6/fulltext

[vi] In occasione del quarantesimo anniversario dalla Conferenza di Ginevra sul Clima del 1979, cfr. BioScience, Volume 70, Issue 1, January 2020, pp. 8–12.

[vii] https://www.internazionale.it/opinione/gabriele-crescente/2020/03/19/coronavirus-clima

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