Di Elena Capone
Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 5 giugno 2020, è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2020/741 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 2020, recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua.
Il Regolamento si applicherà a decorrere dal 26 giugno 2023, ogni volta che le acque reflue urbane trattate siano riutilizzate a fini irrigui in agricoltura a seguito del loro affinamento[1], in conformità all’articolo 12, paragrafo 1, della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane[2].
Il Regolamento è volto in particolare a promuovere ed incoraggiare un utilizzo sostenibile dell’acqua, inserendosi nell’ambito dell’azione comune disegnata dalla Direttiva Quadro sulle Acque (Direttiva 2000/60/CE), attraverso l’introduzione di una disciplina armonizzata per la gestione e il controllo dei rischi sanitari e ambientali, ed al fine di scongiurare eventuali danni connessi ad una scarsa qualità delle acque reflue affinate.
La nuova normativa, conformemente al piano d’azione sull’economia circolare, è volta ad incentivare la tutela delle risorse idriche attraverso il prolungamento del ciclo di vita dell’acqua, mediante il riutilizzo di quella già estratta, per rispondere alla crescente pressione dei cambiamenti climatici ed alla crescente antropizzazione, che rendono sempre più preoccupante il verificarsi di fenomeni naturali connessi alla scarsità di acqua.
È stato rilevato che in Europa circa il 40% del totale dell’acqua dolce prelevata è destinata all’agricoltura, contribuendo notevolmente all’esaurimento delle riserve di acqua dolce disponibili, questo fenomeno è particolarmente rilevante in un paese come l’Italia dove l’agricoltura è un’attività diffusa su larga parte del territorio nazionale.
Finora l’obiettivo del riutilizzo delle acque reflue è stato affidato ai singoli Stati membri essendo affidata al legislatore nazionale la disciplina sui requisiti tecnici da applicare per il riutilizzo delle acque reflue trattate in agricoltura; in Italia il D.M. n. 185 del 12 giugno 2003, adottato dal Ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, ha introdotto le norme tecniche per il trattamento delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali al fine di consentire il loro riutilizzo per molteplici scopi[3], tra i quali anche l’agricoltura[4], fissando standard specifici da rispettare a seconda della loro destinazione finale.
Le incertezze legate ai rischi sanitari connessi ad una scarsa qualità delle acque reflue trattate, oltre agli ingenti investimenti necessari per l’adattamento degli impianti di trattamento e l’assenza di incentivi per il riutilizzo delle acque affinate in agricoltura hanno comportato in tutta Europa la scarsa diffusione della pratica del loro riuso.
Da qui la necessità di prevedere, all’interno di un mercato aperto come quello europeo, norme minime per la qualità ed il monitoraggio delle acque affinate in relazione alla loro applicazione ai prodotti agricoli, affinché sia possibile individuare norme sanitarie e di igiene alimentare comuni a tutti gli Stati Membri[5].
Il Regolamento stabilisce la necessità di prevedere l’adozione di un piano di gestione dei rischi connessi all’impianto di trattamento e affinamento, ponendo al centro della disciplina l’attribuzione di responsabilità in capo al gestore dell’impianto di affinamento, con particolare attenzione in relazione ai rischi sanitari connessi all’utilizzo delle acque affinate. Individua nel c.d. punto di conformità, il punto a partire dal quale cessa la responsabilità del gestore dell’impianto di affinamento ed inizia quella del successivo soggetto coinvolto nel ciclo del riuso dell’acqua.
Le rispettive autorità competenti dei singoli Stati Membri, dovranno quindi provvedere affinché sia stabilito un piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua. Questo sarà elaborato dal gestore dell’impianto di affinamento, o da una delle altre parti responsabili, e dovrà basarsi sugli elementi individuati dall’allegato II del Regolamento stesso. Nello specifico, il comma 4 dell’art. 5, dedicato appunto alla gestione dei rischi, dispone che “Il piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua provvede in particolare a:
- stabilire le prescrizioni necessarie per il gestore dell’impianto di affinamento oltre a quelle specificate nell’allegato I, in conformità dell’allegato II, punto B), per attenuare ulteriormente i rischi prima del punto di conformità;
- individuare i pericoli, i rischi e le adeguate misure preventive e/o le eventuali misure correttive in conformità dell’allegato II, punto C);
- individuare ulteriori barriere nel sistema di riutilizzo dell’acqua, e stabilire ulteriori prescrizioni, necessarie dopo il punto di conformità per garantire che il sistema di riutilizzo dell’acqua è sicuro, comprese le condizioni relative alla distribuzione, allo stoccaggio e all’utilizzo, se del caso, e individuare le parti responsabili del rispetto di tali prescrizioni.”.
Al fine di ridurre i passaggi della catena del “sistema di riutilizzo dell’acqua”[6] il Regolamento raccomanda inoltre che l’identità del gestore dell’impianto di trattamento e quella del gestore dell’impianto di affinamento coincidano[7].
L’art. 6 del Regolamento subordina l’attività di produzione ed erogazione delle acque affinate al rilascio di un permesso che stabilisca gli obblighi del gestore dell’impianto sulla base del piano di gestione dei rischi, nel quale dovrà essere specificata la classe di qualità delle acque affinate e la destinazione d’uso delle colture per le quali sono consentite, nonché le condizioni minime da rispettare per il corretto monitoraggio della qualità dell’acqua.
Le ricerche condotte per l’adozione del Regolamento in commento hanno stimato che il riutilizzo delle acque reflue urbane adeguatamente trattate comportino un impatto ambientale minore rispetto ad altri metodi di gestione idrica quale la desalinizzazione o i trasferimenti d’acqua mediante trasporto[8]. Inoltre, il riutilizzo dell’acqua a fini irrigui in agricoltura consente di recuperare i nutrienti dalle acque affinate, come ad esempio azoto, fosforo e potassio, consentendone la loro applicazione ai raccolti mediante metodi di fertirrigazione, riducendo così la necessità di applicazioni integrative di concime minerale e restituendo tali nutrienti ai suoli e alle colture. In tal senso pertanto il Regolamento vuole incoraggiare i gestori degli impianti di affinamento e gli utilizzatori finali a collaborare tra loro, in modo che la qualità dell’acqua affinata prodotta soddisfi le esigenze specifiche del tipo di colture cui sono destinate e delle tecniche di irrigazione dell’area servita, prevedendo la possibilità di dettare prescrizioni specifiche in materia di qualità dell’acqua che possano essere applicate ad una fase successiva all’affinamento per raggiungere il grado di qualità specificamente richiesto per l’irrigazione.
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NOTE:
[1] L’Art. 2, Regolamento (UE) 2020/741, ne inquadra infatti l’ambito di applicazione prevedendo altresì che uno Stato membro possa decidere, motivandolo innanzi alla Commissione, di non utilizzare le acque affinate ad usi irrigui qualora ricorrano i seguenti criteri: “a) le condizioni geografiche e climatiche del distretto idrografico o parti di esso; b) le pressioni sulle altre risorse idriche e lo stato di queste ultime, compreso lo stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei di cui alla direttiva 2000/60/CE; c) le pressioni sui corpi idrici superficiali in cui le acque reflue urbane trattate sono scaricate e lo stato di tali corpi idrici; d) i costi ambientali e in termini di risorse che comportano le acque affinate e altre risorse idriche.”. L’esenzione tuttavia è limitata a cinque anni.
[2] L’articolo 12, paragrafo 1, della Direttiva 91/271/CEE dispone infatti che “Le acque reflue che siano state sottoposte a trattamento devono essere riutilizzate, ogniqualvolta ciò risulti appropriato. Le modalità di smaltimento devono rendere minimo l’impatto negativo sull’ambiente.” https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31991L0271&from=IT;
[3] Art. 1 comma 1 D.M. n. 185 del 12 giugno 2003 “… attraverso la regolamentazione delle destinazioni d’uso e dei relativi requisiti di qualità, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori e favorendo il risparmio idrico mediante l’utilizzo multiplo delle acque reflue.”
[4] Il D.M. n. 185 del 12 giugno 2003 è stato adottato in attuazione del D. Lgs. n. 152, del 11.05.1999, recante “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”.
[5] Art. 1 Regolamento (UE) 2020/741 “1. Il presente regolamento stabilisce le prescrizioni minime applicabili alla qualità dell’acqua e al relativo monitoraggio, nonché disposizioni sulla gestione dei rischi, e sull’utilizzo sicuro delle acque affinate nel quadro di una gestione integrata delle risorse idriche. 2. Finalità del presente regolamento è garantire la sicurezza delle acque affinate a fini irrigui in agricoltura, onde assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana e animale, promuovere l’economia circolare, favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, e contribuire agli obiettivi della direttiva 2000/60/CE affrontando in modo coordinato in tutta l’Unione il problema della scarsità idrica e le risultanti pressioni sulle risorse idriche, e contribuire di conseguenza anche al buon funzionamento del mercato interno”.
[6] L’Art. 3, Regolamento (UE) 2020/741, al n. 15) definisce “«sistema di riutilizzo dell’acqua»: l’infrastruttura e gli altri elementi tecnici necessari alla produzione, all’erogazione e all’utilizzo delle acque affinate; esso comprende tutti gli elementi dal punto di entrata nell’impianto di trattamento delle acque reflue urbane fino al punto cui le acque affinate sono impiegate a fini irrigui in agricoltura, comprese le infrastrutture di distribuzione e stoccaggio, ove applicabile.”.
[7] Il considerando 25 del Regolamento specifica infatti che “Ai fini del presente regolamento è opportuno che le attività di trattamento e quelle di depurazione delle acque reflue urbane possano avvenire all’interno di uno stesso luogo fisico, mediante la stessa struttura o attraverso più strutture separate. Inoltre, il gestore dell’impianto di trattamento e il gestore dell’impianto di affinamento dovrebbero poter coincidere.”
[8] Si veda il considerando 9 del Regolamento.