Quando catturare non basta

01 Mag 2022 | articoli, editoriale

di Stefano Nespor

Ho dedicato l’editoriale del mese di maggio 2021 alle conclusioni del rapporto pubblicato da Carbon Tracker, un centro di studi britannico che studia i problemi della transizione energetica, in base alle quali, con le conoscenze tecnologiche attualmente esistenti è possibile catturare entro la fine del decennio energia solare e energia eolica in quantità superiore di circa 100 volte all’attuale fabbisogno mondiale (https://carbontracker.org/reports/the-skys-the-limit-solar-wind/).

La questione, concludeva il rapporto, non è né scientifica né tecnica, è politica: dipende dai Governi abbandonare i combustibili fossili. È questa anche la convinzione di gran parte di coloro che si battono per ottenere dai Governi impegno e risultati nel contenimento del cambiamento climatico.

Purtroppo, la situazione è diversa (e spero che quell’editoriale non abbia creato troppe illusioni).

Certamente, c’è una responsabilità della politica e dei Governi se per decenni sono stati ignorati o sottovalutati i pericoli ripetutamente indicati dagli scienziati.

Ma la questione è anche e soprattutto tecnica e scientifica ed è posta in evidenza da quel “catturare” delle conclusioni del Rapporto che ho sopra evidenziato.

Perché un conto è catturare, altro conto è conservare e trasportare.

È una differenza che nelle scienze che si occupano dell’ambiente ha avuto sempre un peso consistente.

L’esempio più noto è offerto dall’Argentina, un paese le cui sconfinate pianure consentivano di allevare milioni di capi di bestiame, ampiamente eccedenti il fabbisogno della scarsa popolazione. Tutto cambia nel 1876 allorché il fisico francese Jacques Tellier, incaricato di trasportare dall’Argentina nel suo paese un carico di carne precedentemente macellata, progetta un impianto per conservare a bassa temperatura la carne per oltre tre mesi, installato direttamente sulla nave.

La scoperta contribuì al miracolo economico dell’Argentina che diviene uno dei paesi più ricchi del mondo, anche se solo per pochi decenni (la singolare vicenda dell’ascesa e decadenza di questo paese è oggetto di studio di molti storici dell’economia).

La stessa tecnologia è oggi utilizzata per la pesca oceanica.  Per il trasporto del pesce catturato fino ai luoghi distanti centinaia o migliaia di chilometri dove è consumato si è dovuto attendere che fossero messe a punto tecniche per la preparazione e la conservazione del pesce fresco per molte settimane (è la stessa tecnologia che ora sta producendo l’estinzione di molte specie ittiche: una delle migliori dimostrazioni che le tecnologie non sono buone o cattive, tutto dipende da chi le usa).

All’inverso, è la mancanza di tecnologie adeguate che determina la maggior parte degli sprechi alimentari nel mondo. Lo studio pubblicato dalla FAO nel 2013  “Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources” (FAO – News Article: What governments, farmers, food businesses – and you – can do about food waste) ha dimostrato che il 54% degli sprechi alimentari a livello mondiale si verifica durante la raccolta del cibo, soprattutto in Asia e in Africa, dove mancano le tecnologie idonee per raccoglierlo e conservarlo. Nei paesi ricchi invece gli sprechi (il 40% del cibo prodotto) avvengono prevalentemente nella fase del consumo e anche in questo caso sono in parte provocati da inadeguate tecnologie di conservazione.

Questi esempi (ma se ne potrebbero fare molti di più) dimostrano che allevare, coltivare, catturare non basta se non si sa come conservare e trasportare.

Torniamo ora all’energia solare. Anch’essa, dopo essere raccolta e catturata, deve essere conservata e trasportata per essere utilizzata nei periodi nei quali non è disponibile in quantità sufficienti per il fabbisogno energetico. Può accadere per ragioni climatiche e geografiche (è il caso di molti paesi, tra cui i paesi del Nord dell’Europa) o atmosferiche perché le nuvole impediscono ai raggi del sole di raggiungere la superficie terrestre. In Germania questi eventi atmosferici sono indicati con un’espressione densa di poesia: Dunkelflaute (Flaute, oltre lo strumento musicale, designa anche la depressione o la stagnazione, quindi significa “stagnazione buia” per la mancanza di raggi solari).

La soluzione che tutti conosciamo per conservare l’energia sono le batterie. Sono usate per molte necessità, dai telefoni cellulari ai veicoli elettrici, e stanno diventando sempre più economiche. Ma la loro carica non dura molto e richiedono materiali che, ancor più del petrolio, sono concentrati in pochi paesi (nel 2020 il 70% del cobalto è stato importato dalla Repubblica del Congo, con metodi sui quali tutti chiudono gli occhi, come è accaduto per l’importazione di gas e petrolio dalla Russia).

Del problema della conservazione e della raccolta dell’energia solare ed eolica si stanno occupando molti Governi e sono in corso ricerche per scoprire e mettere a punto tecnologie per immagazzinare energia in grandi quantità, ampliando il potere delle batterie oppure progettando meccanismi e strumenti nuovi. Per limitarci a noi, un recente studio, realizzato con fondi della Commissione dell’Unione europea “Energy Storage Study – Contribution to the security of electricity supply in Europe”, analizza le diverse opzioni di conservazione e raccolta dell’energia per garantire l’approvvigionamento costante in una rete europea dell’energia e illustra le difficoltà tecniche da superare.

La conclusione è che saremo davvero in grado di contenere il cambiamento climatico non solo quando saremo in grado di catturare l’energia solare (e questo obiettivo è agevole da raggiungere, secondo lo studio che ho citato sopra), ma anche quando avremo messo a punto tecnologie per conservare e raccogliere l’energia catturata, un obiettivo che appare assai meno agevole da raggiungere.

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